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Attualità
Attualità, 16/2016, 15/09/2016, pag. 449

Ecumenismo: la stagione dei frutti

Daniela Sala

A guardare nell’insieme gli eventi di questo 2016 sembra di poter dire che la Chiesa universale, nelle sue diverse famiglie confessionali, stia cominciando a raccogliere i frutti di quel paziente, scrupoloso – per non dire spesso ingrato e doloroso – rammendo delle relazioni fraterne laceratesi nel corso del secondo millennio dell’era cristiana. È il compimento dei dialoghi teologici bilaterali sviluppatisi nel corso dell’ultimo mezzo secolo, da quando cioè il concilio Vaticano II ha permesso anche alla Chiesa cattolica di aderire formalmente al movimento ecumenico, già avviato da altre Chiese.

«Se non desistiamo, mieteremo» (Gal 6,9). Si poneva sotto questa epigrafe il progetto Raccogliere i frutti. Aspetti fondamentali della fede cristiana nel dialogo ecumenico, patrocinato dal card. Walter Kasper, allora presidente del Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, che aveva voluto raccogliere insieme i risultati dei dialoghi ecumenici bilaterali tra la Chiesa cattolica e le Chiese protestanti storiche (cf. Regno-doc. 19,2009).

E a guardare nell’insieme gli eventi di questo 2016 sembra di poter dire che la Chiesa universale, nelle sue diverse famiglie confessionali, stia cominciando a raccogliere i frutti di quel paziente, scrupoloso – per non dire spesso ingrato e doloroso – rammendo delle relazioni fraterne laceratesi nel corso del secondo millennio dell’era cristiana. È il compimento dei dialoghi teologici bilaterali sviluppatisi nel corso dell’ultimo mezzo secolo, da quando cioè il concilio Vaticano II ha permesso anche alla Chiesa cattolica di aderire formalmente al movimento ecumenico, già avviato da altre Chiese.

Bisogna metterli in fila gli innumerevoli incontri che si sono andati intensificando in questo ultimo periodo. Ci piace pensare che la svolta kerygmatica che papa Francesco ha conferito al magistero cattolico abbia contribuito a questa accelerazione.

Va ricordato anzitutto l’incontro di papa Francesco con il patriarca di Mosca e di tutta la Russia, Cirillo, avvenuto a Cuba il 12 febbraio scorso (cf. Regno-att. 2,2016,4; Regno-doc. 3,2016, 82). Poi l’incontro, nel nome della carità e dell’accoglienza verso i profughi a Lesbo, il 16 aprile tra Francesco, il patriarca ecumenico Bartolomeo e l’arcivescovo ortodosso greco Ieronymos
(cf. Regno-att. 6,2016,135; Regno-doc. 7,2016,205).

 Nel corso della 14a sessione plenaria della Commissione mista internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa, alla fine di settembre (cf. in questo numero a p. 465), la Chiesa di Roma e le Chiese ortodosse – che hanno tenuto a Creta nel giugno scorso il Santo e grande Concilio panortodosso (cf. Regno-att. 10,2016,261) – hanno raggiunto un accordo sulla sinodalità e il primato del successore di Pietro, cioè su come questo «primato», che è il ministero di unità tra le Chiese esercitato dal papa, possa essere inteso e accettato dalle Chiese non cattoliche, a condizione che venga ripristinato il suo pendant necessario che è la sinodalità, come avveniva nelle relazioni intraecclesiali nel primo millennio della Chiesa indivisa.

Ai primi di ottobre, poi, molti laici, preti e vescovi cattolici e anglicani si sono dati appuntamento a Roma per celebrare il 50° anniversario dell’avvio del dialogo anglicano-cattolico, con l’incontro nel marzo 1966 tra papa Paolo VI e l’arcivescovo di Canterbury Michael Ramsey e l’apertura del Centro anglicano a Roma (cf. in questo numero a p. 466). Il pomeriggio del 5 ottobre, ai vespri nella chiesa dei santi Andrea e Gregorio al Monte Celio, presieduti da papa Francesco e con la partecipazione dell’arcivescovo di Canterbury Justin Welby, i gesti e le parole hanno testimoniato un alto livello di comunione raggiunta: «Condividiamo una fede comune e in misura sostanziale un accordo nella fede», afferma la Dichiarazione comune sottoscritta dai due leader.

Insieme vi è stato un riconoscimento sostanziale del magistero universale del papa, per quanto permangano alcuni ostacoli che non consentono di affermare che il traguardo della piena unità visibile è stato raggiunto. Sono ostacoli, però, che non hanno impedito a Francesco e all’arcivescovo Welby d’inviare a coppie, come i 72 discepoli di Gesù, 38 vescovi per la missione di annunciare il Vangelo.

Infine, il 31 ottobre papa Francesco per la Chiesa cattolica e il vescovo Munib Younan e il rev. Martin Junge, rappresentanti della comunione di 145 Chiese della Federazione luterana mondiale, ospiteranno insieme nella cattedrale di Lund, in Svezia, la commemorazione congiunta della Riforma, dando avvio alle celebrazioni del suo 500° anniversario, da quando nel 1517 nella città tedesca di Wittenberg il monaco agostiniano Martin Lutero rese pubbliche le sue tesi sulla riforma della Chiesa.

Sarà la prima volta nella storia che i cattolici e i luterani commemoreranno congiuntamente l’anniversario della Riforma a livello globale (cf. in questo numero a p. 468). Questo evento epocale riflette i progressi fatti in 50 anni di dialogo internazionale cattolico-luterano, e che recentemente sono stati raccolti ed evidenziati in un documento del dialogo cattolico-luterano negli Stati Uniti, che mostra come condividiamo un’unità imperfetta ma reale (cf. Regno-doc. 13,2016,409).

Forse ci siamo finalmente convinti di quanto afferma il decreto Unitatis redintegratio del concilio Vaticano II: «Riconoscere le ricchezze di Cristo e le opere virtuose nella vita degli altri, i quali rendono testimonianza a Cristo talora sino all’effusione del sangue, è cosa giusta e salutare: perché Dio è sempre mirabile e deve essere ammirato nelle sue opere. Né si deve dimenticare che quanto dalla grazia dello Spirito Santo viene compiuto nei fratelli separati, può pure contribuire alla nostra edificazione. Tutto ciò che è veramente cristiano, non è mai contrario ai beni della fede a esso collegati, anzi può sempre far sì che lo stesso mistero di Cristo e della Chiesa sia raggiunto più perfettamente» (n. 4; EV 1/515s).

È l’ecumenismo del riconoscimento reciproco, dell’accoglienza, dell’unità attraverso la diversità. Un radicale cambiamento di paradigma, che consente di riconoscere la legittima e necessaria differenza nella comunione, di condividere con gli altri i propri doni, di amare e desiderare quello che appare buono e attraente nelle altre tradizioni, di riconoscere il proprio bisogno di aiuto.

Come ha detto Francesco nell’esortazione Evangelii gaudium: «Sono tante e tanto preziose le cose che ci uniscono! E se realmente crediamo nella libera e generosa azione dello Spirito, quante cose possiamo imparare gli uni dagli altri! Non si tratta solamente di ricevere informazioni sugli altri per conoscerli meglio, ma di raccogliere quello che lo Spirito ha seminato in loro come un dono anche per noi» (n. 246; EV 29/2352).

Di strada da fare ce n’è ancora tanta, ma, dopo l’entusiasmo degli inizi e la sobrietà delle stagioni più sterili, è arrivato il momento della fattività: di fronte alle ferite e alle violenze di un mondo frantumato, di fronte alla violenza verso le persone e le comunità cristiane (soprattutto in Oriente) i segni di divisione tra cristiani aggiungono ulteriore difficoltà e contraddicono la testimonianza del Vangelo. È il momento che le Chiese riconoscano e facciano conoscere a tutti il volto della riconciliazione e che comincino a pensare a qualche struttura di comunione.

Anche gli appelli alla pace innalzati nell’incontro interreligioso di Assisi (cf. in questo numero a p. 461) acquisterebbero una forza nuova.

 

Daniela Sala

Tipo Articolo
Tema Ecumenismo - Dialogo interreligioso
Area
Nazioni

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