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Attualità
Attualità, 22/2017, 15/12/2017, pag. 649

Chiesa - Social media: parroci nella Rete

Spunti (anche per vescovi) per un buon uso di tastiera e mouse

Guido Mocellin

La frequentazione del web e segnatamente l’utilizzo dei social network sono diventati un tratto caratterizzante la vita quotidiana e le relazioni umane intrattenute da ciascuno di noi. Se dunque, come è capitato più di una volta nel corso del 2017, un prete diviene improvvisamente protagonista delle cronache, non solo ecclesiali, a motivo di un post pubblicato sul proprio profilo Facebook, è perché i ministri di Dio non fanno eccezione, anzi: a seguito della rivoluzione digitale, è probabile che oggi un verso come il celeberrimo «Neanche un prete / per chiacchierar» cantato da Adriano Celentano in Azzurro non avrebbe troppo senso: in qualunque momento della giornata basterebbe andare on-line per trovare più di un sacerdote con il quale chattare.

 

La frequentazione del web e segnatamente l’utilizzo dei social network sono diventati un tratto caratterizzante la vita quotidiana e le relazioni umane intrattenute da ciascuno di noi. Se dunque, come è capitato più di una volta nel corso del 2017, un prete diviene improvvisamente protagonista delle cronache, non solo ecclesiali, a motivo di un post pubblicato sul proprio profilo Facebook, è perché i ministri di Dio non fanno eccezione, anzi: a seguito della rivoluzione digitale, è probabile che oggi un verso come il celeberrimo «Neanche un prete / per chiacchierar» cantato da Adriano Celentano in Azzurro non avrebbe troppo senso: in qualunque momento della giornata basterebbe andare on-line per trovare più di un sacerdote con il quale chattare.

Comunità digitale

Anche prescindendo da ricerche specifiche,1 è sufficiente l’esperienza digitale di ciascuno di noi, specie se proiettata anche sulla vita ecclesiale, per rilevare la quantità di preti attivi nella Rete, sia attraverso blog e profili personali sui social network, sia in quanto gestiscono direttamente i siti e le pagine delle parrocchie nelle quali esercitano il ministero. Come accade per tutti gli altri utenti, i contenuti che questi pastori veicolano sono molto diversi a seconda dell’intenzione con la quale ciascuno di essi decide di segnare con la propria presenza la Rete.

Su richiesta del quotidiano Avvenire ho abbozzato, qualche mese fa, una classificazione,2 assumendo come falsariga un ormai lontano studio del pastoralista austriaco P. Zulehner che i lettori de Il Regno certamente ricorderanno.3

Il caso, diciamo così, virtuoso è rappresentato da chi, in quanto «uomo di Dio aperto al tempo», guarda al digitale come a un ambiente dove, positivamente, annunciare e testimoniare il Vangelo e continuare l’azione pastorale. Talvolta lo fa con straordinaria passione. Si rende disponibile ad aprire siti istituzionali di parrocchie, oratori, gruppi e li gestisce con metodo, postando regolarmente contenuti originali o comunque riorganizzati a uso e consumo della comunità (fisica e digitale) alla quale vuole rivolgersi.

Racconta, con parole e immagini, la vita della parrocchia che guida per valorizzarla agli occhi di chi ne è lontano e per confermare chi invece ne è già parte attiva. Se proprio non corrisponde al tempio in cui si raduna l’assemblea liturgica, della quale può comunque arrivare a condividere qualche foto e qualche video, certamente per lui la Rete è un grande oratorio, ma anche un’aula di catechismo, una sala della comunità, un campo estivo, persino una silenziosa cappella.

Anche se, come sottolineano tanti e qualificati esperti in materia, non deve rimanere legato a un modello di comunicazione «da uno a molti», né tantomeno considerare la Rete un semplice amplificatore di contenuti – dalla lectio divina all’avviso della salsicciata – provenienti dalla pastorale ordinaria, è quest’ultimo tipo di presenza quella che sta dando i frutti più interessanti.

La Rete è come l’ambone

Chi invece interpreta il ministero in termini più funzionali, come fosse una professione, attribuisce ai momenti trascorsi on-line il ruolo dello stacco ricreativo. Usa soprattutto i social network, dove coltiva rapporti personali e interessi che possono prescindere dalla missione apostolica. Non nasconde la sua identità di chierico, ma neppure la sbandiera: ai familiari e ai «vecchi amici» con i quali tiene i contatti essa è già nota (non fa differenza se usa un nickname), con gli altri pensa che sia meglio mantenere una certa riservatezza.

Internet corrisponde all’appartamento nel quale vive e dove raramente fa entrare i parrocchiani, o alla stanza che ha conservato a casa dei genitori. Questo modo di stare in Rete può diventare problematico allorché lascia intravedere delle controtestimonianze rispetto allo stato di vita del presbitero, ad esempio una qualche dipendenza.

C’è poi il caso di preti che, essendo meno divisi in sé stessi, trasferiscono e condividono on-line le proprie inclinazioni di uomini di Chiesa: scrivono o più spesso rilanciano materiali intorno agli studi biblici, alla ricerca teologica, alla liturgia, all’attualità ecclesiale, all’animazione della comunità, alla pietà popolare.

La loro identità sacerdotale è ben evidente, e le relazioni che coltivano sono di evangelica prossimità, ma non sempre si rendono conto che anche in Rete stanno esercitando il proprio ministero, anzi: può capitare che ne sottovalutino la dimensione pubblica, e dunque che si sbilancino, in un post o in un commento su un post altrui, in espressioni azzardate che invece tratterrebbero se fossero all’ambone. Quando sono su Internet è un po’ come se fossero nel loro studio e un po’ nella loro sagrestia.

Quest’ultima tipologia è quella più a rischio di vedere uno dei propri esponenti trasformarsi in «caso» mediatico. E quasi sempre secondo modalità traumatiche: per il presbitero in questione, raramente attrezzato a far fronte all’improvvisa fama, specie se negativa; per i membri della sua comunità, che, sollecitati dalle circostanze e dai media a entrare in scena, lo fanno in ordine sparso, senza rendersi conto delle possibili strumentalizzazioni; per le istituzioni alle quali il prete appartiene, a cominciare dalla diocesi e dal vescovo che la guida, inevitabilmente costretti dal modello mediatico della polarizzazione a definire senza alcuna sfumatura se sono «con» o «contro» il loro membro.

La responsabilità social

Utilizzando una formula che in passato ebbe un suo successo, verrebbe da dire che anche per i traumi di questa origine «prevenire è meglio che curare». Tra gli strumenti di profilassi sono davvero numerose le pubblicazioni, curate da presbiteri particolarmente esperti e/o da studiosi dei quali è nota l’ispirazione cristiana, che aiutano a conoscere le logiche degli ambienti digitali e quindi ad abitarvi secondo forme perlomeno coerenti, e possibilmente utili, all’esercizio del ministero sacerdotale e segnatamente al ruolo di guida di una comunità parrocchiale.4

Ma siccome la Rete spesso ha bisogno di rimedi pronti all’uso, ecco disponibili un po’ dappertutto brevi promemoria su come comportarsi o non comportarsi in Rete, che certamente ogni prete digitale potrebbe facilmente fare propri.

Il «Galateo social» di Avvenire, come ha spiegato a suo tempo Gigio Rancilio,5 riguarda solo la pagina Facebook del quotidiano, ma il criterio di fondo di mantenere nei messaggi e nei commenti «un tono civile» basterebbe a collocare nei giusti binari qualsiasi utente.

Bruno Mastroianni, infaticabile apostolo della possibilità di condurre sui social network una «disputa felice» (cf. nota 3), ha appena formulato6 una lista di suggerimenti «per curare il bon ton sui social», dei quali il primo vale da solo l’intera lista: «Non postare nulla che non ripeteresti in pubblico: lo sei».

Anche don Marco Sanavio, direttore dell’Ufficio comunicazioni sociali della diocesi di Padova, ha curato la diffusione di sei «Consigli etici per l’ambiente digitale», denominati «Ethical Brainframe».7

Vi si legge che «comprendere equivale a interpretare», e ci si riesce meglio se ci si «libera da pregiudizi, precomprensioni e distorsioni»; che «bene/male» rimangono tali e «violenza e odio» non sono moralmente meno gravi se «mediati dall’elettronica»; che in Rete occorre «rispetto», ovvero «riconoscere la dignità che ciascuna persona e relazione porta intrinsecamente con sé, anche nella mediazione digitale».

Lo scopo dell’iniziativa, spiega don Sanavio, è «fornire una cornice di riferimento per l’assunzione di responsabilità nell’ambiente digitale». Di responsabilità si parla sia nel consiglio della «percezione» («mediata dalle tecnologie digitali, può distorcere il senso di responsabilità» e «l’impatto di attacchi e vessazioni»), sia in quello della «verifica» (è una «seria e doverosa responsabilità morale verificare le informazioni» ricevute e/o trasmesse). Valido per ogni abitante della Rete, l’appello al senso di responsabilità non può non suonare particolarmente forte nelle orecchie e sulle tastiere degli «uomini di Dio».

 

Guido Mocellin

 

1 Tra esse ricordo quella presentata al convegno «Churchbook. Tra social network e pastorale», organizzato dal Centro di ricerca sull’educazione ai media all’informazione e alla tecnologia (CREMIT) dell’Università cattolica (Milano, 29.5.2014), che stimava al 20% la percentuale dei parroci su Facebook. È reperibile sul sito www.cremit.it.

2 L’articolo, che viene qui ripreso e ampliato, è intitolato «I preti blogger gettano la rete» ed è stato pubblicato su Avvenire  l’11.4.2017,18 (speciale «Porta parola»); nella stessa pagina sono presentati anche tre «casi» relativi a singoli sacerdoti o gruppi di sacerdoti.

3 P.M. Zulehner, A. Hennesperger, «Preti nella cultura contemporanea», in Regno-att. 14,2001,483-498.

4 Tra quelli usciti negli ultimi due anni segnalo: B. Mastroianni, La disputa felice. Dissentire senza litigare sui social network, sui media e in pubblico, Franco Cesati editore, Firenze 2017; C. Meneghetti, Elementi di teologia della comunicazione. Un percorso tra etica e religione, Libreriauniversitaria.it, Padova 2015 (rispetto al nostro tema interessa la parte III); A. Palermo, La Chiesa mediale. Sfide, strutture, prassi per la comunicazione digitale, con prefazione di I. Maffeis e postfazione di M. Padula, Paoline, Milano 2017 (la cui bibliografia suggerisce molteplici approfondimenti); A. Spadaro, Quando la fede si fa social, EMI, Bologna 2015 (imposta il tema in dieci rapidissime lezioni); G. Tridente, B. Mastroianni (a cura di), La missione digitale. Comunicazione della Chiesa e social media, EDUSC, Roma 2016; Id. (a cura di), #Connessi. I media siamo noi, EDUSC, Roma 2017.

5 G. Rancilio, «Il galateo social di Avvenire. Cosa è e perché è nato», in Avvenire 22.1.2016.

6 Glieli ha chiesti S. Colombano per il suo Galateo & Bon ton. Moderno (ma non troppo), Franco Cesati editore, Firenze 2017.

7 Li si ritrova nel sito della Chiesa di Padova www.diocesipadova.it. Cf. la presentazione che ne ho fatto per Avvenire il 15.11.2017, 2: «Sei consigli etici e un punteruolo: per ricordarci della responsabilità».

Tipo Articolo
Tema Cultura e società Pastorale - Liturgia - Catechesi
Area EUROPA
Nazioni

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