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Attualità
Attualità, 10/2018, 15/05/2018, pag. 271

Dibattito - Violenze sui minori: laici, oltre il caso cileno

Per una risposta di lungo periodo

Juan Carlos Claret

Mentre stiamo chiudendo questo numero, sta avendo luogo a Roma l’incontro di papa Francesco con i vescovi cileni, 31 diocesani e ausiliari e 2 emeriti. Il papa, «richiamato dalle circostanze e dalle sfide straordinarie poste dagli abusi di potere, sessuali e di coscienza che si sono verificati in Cile negli ultimi decenni, ritiene necessario esaminare approfonditamente le cause e le conseguenze, così come i meccanismi che hanno portato in alcuni casi all’occultamento e alle gravi omissioni nei confronti delle vittime», recita il comunicato della Sala stampa vaticana del 12 maggio. Riportiamo qui di seguito, in una nostra traduzione dallo spagnolo, la dichiarazione del portavoce del Gruppo dei laici di Osorno, Juan Carlos Claret, resa nota il 3 maggio e pubblicata da Periodista digital, https://bit.ly/2Ihtus5 (M.E. G., D. S.).

 

 

Mentre stiamo chiudendo questo numero, sta avendo luogo a Roma l’incontro di papa Francesco con i vescovi cileni, 31 diocesani e ausiliari e 2 emeriti. Il papa, «richiamato dalle circostanze e dalle sfide straordinarie poste dagli abusi di potere, sessuali e di coscienza che si sono verificati in Cile negli ultimi decenni, ritiene necessario esaminare approfonditamente le cause e le conseguenze, così come i meccanismi che hanno portato in alcuni casi all’occultamento e alle gravi omissioni nei confronti delle vittime», recita il comunicato della Sala stampa vaticana del 12 maggio, il quale precisa che «non è previsto che papa Francesco rilasci alcuna dichiarazione né durante né dopo gli incontri, che si svolgeranno in assoluta confidenzialità».

L’invito a Roma, rivolto ai vescovi l’8 aprile scorso, è contenuto nella nota missiva che il papa ha rivolto ai presuli (cf. Regno-doc. 9,2018,293) e nella quale egli esprime – dopo aver visto le 2.300 pagine di resoconto del suo inviato in Cile mons. C. Scicluna – «dolore e vergogna» e riconosce «d’essere incorso in gravi errori di valutazione» (per questa e altre richieste di perdono del papa, cf. in questo numero a p. 319).

Il tutto ha radici lontane: lo scandalo di Karadima e le vittime che cercano ascolto presso i vescovi ma non l’ottengono sono eventi che datano almeno dagli anni Ottanta; ma tutto riesplode nel gennaio 2015, quando papa Francesco nomina vescovo di Osorno mons. Juan Barros (cf. Regno-att. 4,2015,239), accusato da una vittima di Karadima di aver assistito agli episodi di violenza accertati: monta una forte protesta in diocesi e si forma un gruppo di sacerdoti e laici che manifesta contro Barros, il quale invia più volte una lettera di dimissioni tuttavia respinte dal papa.

Di tutto questo vi è un riverbero anche sulla Pontificia commissione per la tutela dei minori, quando si tenta di far entrare come membro una delle vittime cilene, ma la nomina viene ostacolata – pare – dal cardinale emerito di Santiago del Cile, F.J. Errazuriz, nonché membro del C9, d’accordo con l’attuale, mons. R. Ezzati (cf. Regno-att. 7,2016,217).

Il caso riemerge infine nel recente viaggio in Cile dove un’improvvida dichiarazione del pontefice a una cronista sull’«innocenza» di Barros (cf. Regno-att. 4,2018,71) viene prima precisata dal card. S.P. O’Malley, presidente della Pontificia commissione per la tutela dei minori (cf. Regno-doc. 3,2018,83) e poi ritrattata dallo stesso papa nel viaggio aereo di ritorno.

Dopo aver inviato mons. C. Scicluna e mons. J. Bertomeu Farnós per un’approfondita indagine in loco, il papa scrive la lettera dell’8 aprile e riceve privatamente il 28 e 29 aprile a Santa Marta Juan Carlos Cruz, José Andrés Murillo e James Hamilton, le tre vittime di Karadima che più si sono esposte pubblicamente.

Sul che fare, Cruz, Murillo e Hamilton, in una conferenza stampa indetta a conclusione del soggiorno romano, hanno dichiarato: «Non spetta a noi portare avanti le necessarie trasformazioni nella Chiesa per porre fine all’epidemia dell’abuso sessuale e dell’insabbiamento». E hanno concluso con l’auspicio: «Speriamo che papa Francesco trasformi le sue parole di amore e di perdono in azioni esemplari. Altrimenti, tutto questo sarebbe lettera morta».

Riportiamo qui di seguito, in una nostra traduzione dallo spagnolo, la dichiarazione del portavoce del Gruppo dei laici di Osorno, Juan Carlos Claret, resa nota il 3 maggio e pubblicata da Periodista digital, https://bit.ly/2Ihtus5 (M.E. G., D. S.).

La dichiarazione

Papa Francesco ha incontrato le vittime di Karadima per chiedere loro perdono di persona. Gli interessati e l’opinione pubblica hanno evidenziato la novità di questo evento per un’istituzione che predica il perdono da 2.000 anni. In questo panorama, si sente spesso nelle comunità e in diversi ambiti ecclesiali la domanda: che cosa possiamo aspettarci da questa situazione?

Il problema della domanda sta nella sua formulazione: perché i laici possono solo aspettare? Perché ci sentiamo chiamati a essere spettatori del processo decisionale?

La crisi che attraversa la Chiesa è di tipo gerarchico, cioè è dei cardinali, dei vescovi e del clero. Per quanto molti di loro argomentino che siamo tutti corresponsabili, la verità è che sono loro a dover rispondere per aver lasciato le vittime sole. Non è solo la violenza che scandalizza, ma anche come si reagisce a essa, e nel caso cileno questo è stato l’aspetto più catastrofico.

Responsabilità, in definitiva, significa determinare chi deve rispondere per una situazione; di conseguenza come possono i laici rispondere per decisioni equivoche che sono state prese in luoghi nei quali non hanno accesso?

Dopo aver letto la lettera del papa (una lettera che non è stata rivolta alle comunità ma all’episcopato; cf. Regno-doc. 9,2018,293) non sono mancati vescovi, come Santiago Silva e Fernando Ramos, che hanno affermato di avere la coscienza pulita sulle informazioni fornite al papa, ma questo è in contraddizione con il trattamento che molti di noi hanno dovuto sopportare.

Perché quindi, invece d’accontentarci della richiesta del vescovo Ramos di identificare quanti presumibilmente hanno male informato il papa, non chiediamo anche che esplicitino le informazioni «corrette» che avrebbero inviato? L’arcivescovo Chomalí afferma che «è necessario che Karadima chieda perdono», quando tocca anche a loro dire la verità e capire che questi crimini non si risolvono con un perdono.

Come prima reazione alla lettera, il card. Ezzati e l’arcivescovo di Puerto Montt hanno chiamato il loro clero a dialogare e riflettere, mentre subito dopo hanno invitato le comunità a mettersi in uno stato di preghiera. Vale a dire, mentre i sacerdoti possono parlare in piedi, noi dobbiamo stare in ginocchio e in silenzio. Ma nei loro orientamenti pastorali 2014-2020 (n. 27) i vescovi non avevano riconosciuto che il laicato è l’immensa maggioranza del popolo di Dio, al cui servizio è la minoranza dei ministri ordinati?

Persino il presidente della Conferenza episcopale ha dichiarato con voce ferma che sta per proporre al papa un piano per il rinnovamento della Chiesa cilena. Una soluzione proposta dagli stessi che hanno scatenato la crisi?

È urgente che i laici si mettano al lavoro. Non possiamo continua-
re ad addossare alle vittime questa responsabilità. Hanno già fatto abbastanza. Ma quale direzione prendere?

Nei social network e negli ambiti ecclesiali c’è unanimità nel chiedere un rinnovamento dell’episcopato. Ma questo sarebbe sufficiente? Negli esempi riportati sopra c’è un dato di fondo: la constatazione dell’asimmetria che esiste nella Chiesa tra clero e laicato. Se dobbiamo metterci all’opera dobbiamo puntare a correggere con misure a breve, medio e lungo termine l’asimmetria che ha trasformato la Chiesa in uno spazio pericoloso. Se si trascura quella disparità essa sarà un terreno fertile per l’abuso di potere, che può manifestarsi sessualmente.

Partecipare alla nomina dei vescovi

Pertanto, anche se a breve termine è necessario che ci sia un nuovo collegio episcopale, a medio termine dovremmo, ad esempio, iniziare a chiedere informazioni sulle scelte dell’episcopato, sulle relazioni che inviano a Roma e, perché no, partecipare al processo decisionale.

Come cambierebbero le cose se ci fossero donne che decidessero i criteri pastorali per il XXI secolo? E se avessimo accesso alle informazioni economiche delle nostre rispettive diocesi e parrocchie, anche se in realtà questo è un obbligo che i vescovi hanno assunto nel settembre 2016... e fino a oggi inadempiuto.

E a lungo termine? La cosa curiosa della lettera e del perdono del papa è stata l’ossessione della stampa e dei laici per sapere chi aveva mentito a Francesco. Vaticanisti e osservatori infatti prevedono profondi cambiamenti per migliorare i canali d’informazione del papa; ma è questo il problema?

No, il problema sta nel fatto che una persona sola prende decisioni rilevantissime che influenzano in un modo o nell’altro il lavoro di tutti. È urgente quindi ripensare il papato, perché è ovvio che a Roma continueranno ad arrivare verità e menzogne.

Quello che è qui affermato sono solo alcune misure per iniziare la discussione, mettendo sul tavolo la consapevolezza che i valori e le dinamiche che ispirano la democrazia dovrebbero essere adottati da un’istituzione che si riconosce esperta in umanità.

L’asimmetria denunciata, se corretta, può essere fonte di autorità e un modello democratico. Per raggiungerlo, molti hanno riposto la loro fiducia nel giudizio di papa Francesco, ma questo fine settimana, in cui era chiamato a indicare la fonte della nostra autorità in quanto cristiani, egli ha mostrato alle vittime un hotel, la Cappella sistina e le balconate del Palazzo apostolico.

Questo atteggiamento contrasta con quello di Lorenzo, santo di un’altra epoca, al quale le autorità romane chiesero le ricchezze della Chiesa, che pagò con la vita per aver risposto mostrando i poveri della città. Perché la tomba di san Pietro, le catacombe di Santa Domitilla o l’esperienza comunitaria narrata negli Atti degli apostoli non sono sembrati interessanti? La risposta è semplice: perché coloro che vivono questa esperienza di fede che dà autorità alla Chiesa, oggi ne sono emarginati.

Le vittime nella loro conferenza stampa hanno affermato che i cambiamenti non dipendono da loro. Quindi possiamo fidarci che vengano dalla gerarchia? È il tempo dei laici, altrimenti l’autorità rimarrà ai margini e il pericolo diventerà una regola generale nella Chiesa. Pertanto dobbiamo andare oltre il perdono del papa e, perché no, oltre il caso cileno.

 

Juan Carlos Claret *

 

* Portavoce delle laiche e dei laici di Osorno.

Tipo Articolo
Tema Minori Pastorale - Liturgia - Catechesi
Area AMERICHE AMERICA LATINA
Nazioni