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Attualità
Attualità, 20/2018, 15/11/2018, pag. 586

Ucraina - Ortodossia: la storia non è la soluzione

Thomas Bremer, Sophia Senyk

Nei primi giorni di settembre (cf. anche Regno-att. 16,2018,470) il conflitto che si andava addensando tra il Patriarcato di Costantinopoli e quello di Mosca sullo stato dell’Ortodossia in Ucraina ha subito un’accelerazione. Il Patriarcato Ecumenico, in risposta a una richiesta del presidente ucraino e del Parlamento, ha annunciato la preparazione del Tomos che avrebbe concesso l’autocefalia alla Chiesa ortodossa del paese e ha nominato due vescovi come esarchi.

Per reazione la Chiesa ortodossa russa ha interrotto la comunione tra i sacerdoti e i gerarchi e ha annunciato ulteriori misure se Costantinopoli avesse proceduto secondo le sue intenzioni. L’11 ottobre il Sinodo del Patriarcato Ecumenico ha confermato la sua decisione di concedere l’autocefalia e ha restaurato la comunione con l’auto-proclamato patriarca Filarete (Denysenko) così come con gli altri vescovi ucraini che erano sino ad allora scomunicati. Infine il 15 ottobre il Patriarcato di Mosca ha rotto la comunione ecclesiale con Costantinopoli.

La questione centrale è quella del territorio canonico. Mosca considera l’Ucraina un proprio territorio canonico e rivendica il possesso della Chiesa ortodossa ucraina, l’unica Chiesa canonicamente tale nel paese. Costantinopoli, d’altra parte, si considera come la Chiesa madre dell’Ortodossia in Ucraina ed esprime preoccupazione per l’unità nel paese. Chi ha ragione?

In questo conflitto entrambe le parti litigano con la storia. Su alcune cose sono d’accordo. Entrambe sono d’accordo che la Rus’ di Kiev, una forma premoderna di stato (una sorta di Commonwealth di signorie), accolse il cristianesimo da Costantinopoli nel X secolo. Quando il nucleo politico di questa formazione cominciò dal XII secolo in avanti ad espandersi a Nord, il metropolita mantenne il titolo «di Kiev» e la dipendenza da Costantinopoli fino a metà del XV secolo. Dopo l’unione di Firenze, i metropoliti, ora «di Mosca», smisero di chiedere d’essere confermati da Costantinopoli.

Tuttavia continuò a esserci un metropolita di Kiev, che a quel tempo stava nel Gran ducato di Lituania. Dopo l’unione politica tra Lituania e Polonia (1569), le condizioni per l’ortodossia peggiorarono nelle terre ucraino-bielorusse, e dopo che la gerarchia entrò in unione con Roma (1596), rimasero solo due vescovi ortodossi. Nel 1620 venne installato un metropolita di Kiev in comunione con Costantinopoli. Da lì in avanti il consenso tra i due patriarcati venne meno.

Quando il crescente stato russo con capitale a Mosca estese i propri territori su Kiev e sull’attuale Ucraina orientale alla fine del XVII secolo, secondo il Trattato di Andrusovo, entrambi i patriarcati raggiunsero un accordo in base al quale il metropolita di Kiev sarebbe stato nominato e consacrato da Mosca e avrebbe commemorato nel canone il patriarca ecumenico.

La successiva (non) commemorazione dei patriarchi ecumenici da parte dei metropoliti di Kiev lungo il tempo può servire da esempio della diversa interpretazione dei documenti ai quali oggi entrambe le parti fanno appello. Il fatto che il metropolita di Kiev abbia smesso subito di commemorare il patriarca di Costantinopoli può essere interpretato come una disobbedienza a un accordo, ma può anche essere visto come una conseguenza, e in alcuni casi come un riconoscimento, di ciò che realisticamente era loro possibile. La storia è piena di esempi di accordi o di articoli di accordi che semplicemente sono caduti in disuso.

Nell’attuale conflitto, entrambe le parti interpretano i documenti secondo le modalità che sostengono il rispettivo punto di vista. Nessuna delle due mostra di voler comprendere anche minimamente il punto di vista dell’altro. Ogni parte agisce come se i documenti fornissero prove chiare. Ma non è così.

Perché tornare a una Chiesa nazionale?

I documenti non sono auto-evidenti. Sono stati scritti in un certo tempo, in un certo contesto e devono essere interpretati. E ogni interpretazione verrà fatta in un certo tempo e in un certo contesto. Per avvicinarsi al primo significato dei documenti e al possibile significato per l’oggi è necessario un approccio ermeneutico. Ma la storia non può provare chi ha ragione e chi ha torto nell’attuale conflitto.

Che cosa significa rispetto alla questione dell’autocefalia ucraina? Innanzitutto che non può essere risolta facendo riferimento al passato. Il problema principale è che non c’è un consenso su come ottenere l’autocefalia nell’Ortodossia.

Ci sono due modelli: 1) la Chiesa madre ha diritto di farlo o 2) è il Patriarcato di Costantinopoli che può farlo. Il santo e grande Concilio che si è incontrato a Creta nel 2016 non ha affrontato la questione poiché le Chiese prima del Concilio non sono riuscite ad accordarsi su un documento provvisorio. Anche i casi precedenti non sono a oggi di grande aiuto, poiché nella maggior parte dei casi Costantinopoli era anche la Chiesa madre.

A dire il vero la Chiesa ortodossa russa ha sottovalutato la situazione sociale ed ecclesiale in Ucraina e non comprende l’intensità del desiderio di una Chiesa autocefala nel paese – desiderio che esiste anche all’interno della Chiesa ortodossa ucraina, cioè la propria branca in Ucraina –. Ma è anche vero che questa Chiesa non ha chiesto l’autocefalia.

Il Patriarcato Ecumenico ha disprezzato questo fatto e ha agito come se in Ucraina non vi fosse una Chiesa canonica. Afferma di essere preoccupato per l’unità dell’Ortodossia in Ucraina, ma ignorando la Chiesa ortodossa ucraina si smentisce. Entrambe le parti ignorano l’altra, così come ignorano l’interpretazione dei documenti dell’altra parte.

In Ucraina il fattore politico, con un governo che usa tutti i mezzi per ottenere l’autocefalia, è venuto allo scoperto. Tuttavia l’autocefalia è un concetto ecclesiale e riguarda le strutture della Chiesa. Sforzandosi di ottenere una «Chiesa nazionale ucraina» nel contesto dell’aggressione militare russa, le élite politiche sperano di ottenere il consenso della popolazione nei propri confronti.

Esse non solo non riconoscono il fatto che l’Ucraina è un paese multietnico e multiconfessionale; ripetono anche il modello stato-Chiesa comune in Europa fino alla seconda metà del XX secolo. Non c’è alcun bisogno che uno stato indipendente abbia una Chiesa autocefala, come mostrano gli antichi patriarcati.

In uno stato moderno, democratico, filo-occidentale c’è forse spazio per una «Chiesa nazionale»? E per i cristiani praticanti potrebbe avere un senso?

Per essere chiari: preferiremmo che l’Ortodossia in Ucraina fosse autocefala e unita e pensiamo che alla fine accadrà. Una Chiesa ucraina autocefala potrebbe dare all’Ortodossia una Chiesa locale indipendente dalla quale potrebbero venire nuovi impulsi per la vita della Chiesa, la teologia, il dialogo ecumenico e le relazioni verso «il mondo».

Tuttavia il modo in cui l’autocefalia è attualmente ricercata, attraverso le forze politiche, atti unilaterali da Costantinopoli, proposte di legge di parte e discriminatorie e una messe di informazioni false e tendenziose, non è quello giusto.

Questo problema tocca molte questioni importanti, come la Tradizione, l’idea di «territorio canonico», la «Chiesa madre», le relazioni stato-Chiesa, l’unità panortodossa, tutte questioni che l’Ortodossia dovrebbe e deve affrontare. Ma la storia da sola non offre soluzioni alla questione ucraina.

 

Thomas Bremer,
Sophia Senyk
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* Il testo è una nostra traduzione, con alcune modifiche riviste dagli autori, di «Can History Solve the conflict about Ukrainian Autocephly?», pubblicato da Public Orthodoxy, il 12.10.2018, https://bit.ly/2z9jwTc.

Tipo Articolo - Inserto
Tema Ortodossi
Area EUROPA
Nazioni