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Attualità
Attualità, 16/2019, 15/09/2019, pag. 459

Francesco - Visita a Napoli (21 giugno): la pazzia dell’ospite

Il santo, il papa e le crociate

Daniele Menozzi

Papa Francesco ha pronunciato il 21 giugno scorso, in occasione del viaggio compiuto a Napoli, un denso discorso. Prendendo spunto dal convegno organizzato dalla Pontificia facoltà teologica dell’Italia meridionale su «La teologia dopo Veritatis gaudium nel contesto mediterraneo», si è soffermato sulla teologia dell’accoglienza. L’intervento, molto articolato e approfondito, merita attenzione sotto diversi profili.

Papa Francesco ha pronunciato il 21 giugno scorso, in occasione del viaggio compiuto a Napoli, un denso discorso. Prendendo spunto dal convegno organizzato dalla Pontificia facoltà teologica dell’Italia meridionale su «La teologia dopo Veritatis gaudium nel contesto mediterraneo», si è soffermato sulla teologia dell’accoglienza. L’intervento, molto articolato e approfondito, merita attenzione sotto diversi profili. Si può intanto cominciare a sottolineare l’interesse di un punto specifico per le sue ricadute su un dibattito attuale. Riguarda infatti la questione del rapporto tra cristianesimo e islam.

Il pontefice, dopo aver ricordato che per secoli atteggiamenti aggressivi e guerreschi hanno caratterizzato le vicende dei popoli abitanti lo spazio mediterraneo, aggiunge che anche i cristiani li hanno condivisi, dando vita a persecuzioni in nome della religione. A questo proposito cita un noto episodio della Chanson de Roland, un testo che ha segnato la sua formazione giovanile, come aveva accennato nella conferenza stampa durante il viaggio di ritorno dagli Stati Uniti nel settembre 2015.

Vi si narra che ai maomettani sconfitti viene offerta l’alternativa tra il fonte battesimale e la decapitazione. Per quanto la parola non sia esplicitamente citata, il riferimento storico va a quella relazione tra cristiani e musulmani che viene solitamente ricompresa sotto la generale categoria di «crociata».

A questo proposito Francesco si era già espresso nell’omelia pronunciata nella messa del 5 febbraio 2019 ad Abu Dhabi in occasione del viaggio negli Emirati Arabi Uniti. Aveva infatti citato l’art. XVI della Regula non bullata di san Francesco, un documento che non a caso è stato riproposto anche nel discorso a Napoli dello scorso giugno con uno scopo preciso: sottolineare che la conversione al cristianesimo si deve attuare solo attraverso la testimonianza di vita.

In quel passo l’Assisiate indica ai fratelli il comportamento cui devono attenersi coloro che vogliano recarsi presso i saraceni. Vi è tratteggiato in questi termini: «Che non facciano liti o dispute, ma siano soggetti a ogni creatura umana per amore di Dio e confessino di essere cristiani». Il pontefice commenta: «mentre tanti partivano rivestiti di pesanti armature, san Francesco ricordò che il cristiano parte armato solo della sua fede umile e del suo amore concreto».

Ancora una volta la parola «crociata» non è pronunciata. Francesco sembra infatti riservare il termine a iniziative pastorali o missionarie che, contraddicendo il nucleo fondamentale del Vangelo, la misericordia, non possono che portare a esiti disastrosi. Lo ha fatto, ad esempio nel febbraio 2014, nel discorso alla riunione della Congregazione per i vescovi; e, ancora, nel settembre del 2016 nel discorso ai partecipanti al corso di formazione per nuovi vescovi.

Ma è evidente che qui egli si riferisce alle spedizioni politico-militari che ebbero luogo nel Medioevo per liberare il santo sepolcro. Il suo intento pare evidente: mostrare che, nel momento stesso in cui si verificavano queste iniziative belliche, era presente nella Chiesa un’alternativa evangelica al loro svolgimento.

La manifestazione di questa posizione non può non essere messa in rapporto con alcune tendenze presenti nella Chiesa e nella società contemporanea. Basta pensare alla nostalgia di crociata che percorre i circoli del tradizionalismo cattolico. Ne ha fornito un panorama il recente saggio di R. Facchini («Sognando la christianitas, in T. di Carpegna Falconieri, R. Facchini [a cura di], Medievalismi italiani, Gangemi, Roma 2018, 34-40).

Le crociate piacciono allo scontro di civiltà

Si possono anche ricordare le pulsioni verso la guerra santa di tutti quegli ambienti, credenti o meno, che interpretano la situazione del mondo attuale come uno «scontro di civiltà»: le religioni, costituendo il fondamentale tratto identitario delle culture che si fronteggiano, fornirebbero l’inesauribile alimento del sacro al ricorso alla violenza bellica (M. Graziano, Guerra santa e santa alleanza, Il Mulino, Bologna 2014).

Ma papa Francesco non intende solamente dotare i fedeli di strumenti per rafforzare la via, intrapresa dalla Chiesa postconciliare e culminata nell’incontro di Assisi dell’ottobre 1986: in un contesto generale in cui emergono forti tendenze alla sacralizzazione della guerra, i credenti vedono nelle religioni la radice di una sua delegittimazione. Vuole anche aiutarli a una ricomprensione della vicenda storica rappresentata dalle crociate medievali. Lo ha detto esplicitamente, nel luglio 2015, durante la conferenza stampa nel viaggio di ritorno da Asunción a Roma.

Prendendo spunto dall’esigenza dell’ermeneutica della contestualizzazione per una corretta intelligenza di un testo, ha fatto riferimento proprio all’esempio delle crociate per ricordare che solo collocandole nel loro tempo possiamo darne una corretta interpretazione.

Il pontefice riannoda così un filo che era andato perduto dopo la richiesta di perdono per le colpe della Chiesa al momento del giubileo del 2000. Allora diversi osservatori avevano ricordato che le crociate costituivano uno dei punti su cui la Chiesa doveva compiere, per una piena purificazione della memoria, un’adeguata rivisitazione storica. Come è comprensibile, quelle vicende non furono esplicitamente rievocate nella solenne cerimonia con cui il 12 marzo 2000 Giovanni Paolo II chiedeva perdono per il ricorso dei fedeli ai metodi dell’intolleranza nella pur doverosa difesa della verità.

Ma il tema scompare anche dal suo successivo insegnamento. Probabilmente non fu estranea a questo atteggiamento la rumorosa difesa delle crociate di settori dell’episcopato: i ripetuti interventi sul tema di mons. Luigi Negri ne sono un esempio. In ogni caso Wojtyla si limitò, nel corso di un incontro ad Atene con l’arcivescovo Christodoulos, capo della Chiesa ortodossa greca, a sottolineare il pentimento dei cattolici per il saccheggio di Costantinopoli avvenuto nel corso della quarta crociata. Il rapporto con l’islam risultava escluso da questo orizzonte.

Francesco sembra dunque riproporre la questione della rivisitazione storica delle crociate. Si pone così una domanda inevitabile: la sua lettura dell’atteggiamento di san Francesco corrisponde all’effettiva realtà storica? Negli ultimi anni sulla questione si sono moltiplicate le pubblicazioni. Riguardano soprattutto l’incontro che si verificò nel giugno 1219, nel corso della V crociata, tra l’Assisiate e il sultano Malik-al Kâmil. Gli studiosi si sono schierati al proposito su fronti contrapposti.

Qualcuno sostiene, irridendo al mito di un Francesco «pacifista» costruito nel corso del Novecento, che il Poverello non può che essere iscritto, come tutti i suoi contemporanei, dentro l’ambito dell’ideologia di crociata. L’esempio più noto è il volume dell’arabista John Toland, Il santo dal sultano, (Laterza, Roma – Bari 2009). Non è stato difficile sottolinearne una fragilità sostanziale. Nella pur ricca citazione di fonti non c’è mai un riferimento a uno dei documenti direttamente scritti da san Francesco (cf. A. Marini, «Storia contestata: Francesco d’Assisi e l’islam», in Franciscana 14[2012], 1-54).

Superare le crociate

Facendo invece leva proprio su tali documenti, in primo luogo la differenza tra la Regula non bullata (1221) e la successiva Regula bullata (1223), altri studiosi, ad esempio Grado Merlo (I francescani e le crociate, in A. Cacciotti e M. Melli [a cura di], Biblioteca francescana, Milano 2014, 17-30) hanno visto san Francesco prospettare un «superamento della crociata». Nonostante che anche autori che lavorano con acribia filologica sulle fonti francescane come Raimondo Michetti alimentino ancora dubbi sulla possibilità di discernere esattamente le intenzioni che hanno mosso l’Assisiate in quella circostanza («Francesco e l’islam», in M. Benedetti e T. Subini [a cura di], Francesco da Assisi, Carocci, Roma 2019, 339-350), pare ormai difficile sostenere che egli non proponesse un comportamento alternativo a quello dei crociati.

Ma quale comportamento esattamente? Un recente libro, agile, ma bene al corrente dell’intenso dibattito storiografico, affronta la questione in modo originale. Ne è autore Giuseppe Buffon, un francescano, docente di Storia della Chiesa presso il Pontificio ateneo Antonianum di Roma, che ha voluto dare al lavoro un titolo inconsueto: Francesco. L’ospite folle. Il povero di Assisi e il Sultano (Terra Santa, Milano 2019). Il volume, senza trascurare le poche fonti dirette, passa in rassegna le varie interpretazioni date all’incontro tra san Francesco e al-Malik. Partendo dalle testimonianze, di poco a esso successive, di Giacomo da Vitry, vescovo di san Giovanni d’Acri e membro dell’esercito crociato, arriva fino ai nostri giorni. L’appendice finale è poi dedicata a una raccolta antologica di alcune di queste fonti.

Anche Buffon condivide la persuasione che Francesco si muova in maniera diversa rispetto all’ottica della crociata diffusa ai suoi tempi: non si rivolge al musulmano allo scopo di giungere a un suo cambiamento attraverso l’ausilio delle armi e della forza. Aggiunge però che la vera novità della vicenda di cui è protagonista l’Assisiate non è la mera separazione tra crociata e missione. In effetti anche altri personaggi dell’epoca, ad esempio il cistercense Rodolfo il Nero, avevano prospettato l’esclusione di qualsiasi mezzo coercitivo nell’apostolato, affidandolo alla sola predicazione della Parola.

L’originalità di Francesco consiste piuttosto nella pratica della sottomissione: essa comporta la rinuncia anche alla predicazione, per affidare la conversione al segno della sola testimonianza cristiana.

Il fuoco: simbolo dell’amore

Tuttavia il professore dell’Antonianum ritiene che il significato ultimo dell’incontro con il sultano non si possa ridurre all’individuazione in Francesco del simbolo dell’anti-crociata. Collega infatti l’asserzione di Francesco di essere, per volontà di Dio, «unus novellus pazzus in mundo» con l’ospitalità richiesta a chi professa una diversa religione.

Obiettivo del Poverello è un radicale ribaltamento di prospettive: non intende cercare il martirio per fede e non intende nemmeno convertire l’altro; si propone invece di convertire se stesso in vista di una più piena conformazione a Cristo che troverà poi espressione nelle stimmate. La «pazzia dell’ospite» – che, curiosamente converge, pur mutandone il segno, con la valutazione di follia con cui i Lumi avevano dispregiativamente connotato la figura dell’Assisiate prima della rivalutazione romantica – appare dunque il tratto distintivo di quell’inusuale dialogo.

Questa interpretazione costituisce senza dubbio un tentativo di comprendere la presentazione che Francesco fa nel Testamento della sua conversione come un completo capovolgimento di valori e un ribaltamento delle logiche ricevute. Resta peraltro il fatto che essa si fonda largamente sulla Legenda maior di san Bonaventura.

Non a caso nel libro di Buffon assume valore centrale – come testimonia anche l’interessante apparato iconografico, imperniato sulle rappresentazioni visive dell’episodio – un passo dell’ufficiale biografia bonaventuriana che gli storici ritengono scarsamente attendibile: la prova del fuoco che l’Assisiate avrebbe proposto al sultano come testimonianza della verità della fede cristiana. Quel fuoco non sarebbe il simbolo di una sfida diretta a garantire la veracità delle proprie affermazioni, bensì dell’ardente amore di Cristo che attira a sé il credente per trasformarlo completamente.

Si tratta di una lettura assai suggestiva, che in qualche modo vuole restituire una cifra sintetica per l’intelligenza di Francesco ben ancorata alla tradizione culturale degli ordini religiosi da lui originati. Sul rapporto tra cristianesimo e islam pare peraltro sufficiente attenersi a quel che gli storici hanno finora accertato: durante la V crociata, in un momento di tregua nell’assedio dei crociati a Damietta, Francesco, vincendo la resistenza del delegato papale, contrario a ogni trattativa con i musulmani, decise di muovere dall’accampamento crociato a quello del sultano.

L’incontro con quest’ultimo, sul cui svolgimento nulla sappiamo, non ebbe alcun esito significativo, né sul piano militare, né sul piano religioso. Ebbe però la conseguenza della redazione dell’art. XVI della Regula non bullata, una straordinaria testimonianza di fedeltà al Vangelo nei rapporti con il mondo musulmano che oggi la Chiesa può riscoprire come un’alternativa alle crociate effettivamente maturata durante il loro svolgimento.

 

Daniele Menozzi

Tipo Articolo
Tema Francesco Ecumenismo - Dialogo interreligioso Islam
Area EUROPA
Nazioni

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