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Attualità
Attualità, 6/2019, 15/03/2019, pag. 133

Protezione dei minori - Intervista a mons. Scicluna: una Chiesa modello

Maria Elisabetta Gandolfi

Il nome di Charles Scicluna, arcivescovo di Malta dal 2015 e segretario aggiunto presso la Congregazione per la dottrina della fede (CDF) dal novembre 2018, è legato alla questione delle violenze sui minori. Tracciamo con lui un bilancio a un paio di settimane dal vertice in Vaticano di tutti i presidenti delle conferenze episcopali.

 

 

Il nome di Charles Scicluna, arcivescovo di Malta dal 2015 e segretario aggiunto presso la Congregazione per la dottrina della fede (CDF) dal novembre 2018, è legato alla questione delle violenze sui minori.

Di formazione giurista e canonista, dal 1995 è sostituto promotore di giustizia presso il Supremo tribunale della Segnatura apostolica; il 21 ottobre 2002 è nominato promotore di giustizia della CDF, dopo la promulgazione (30.4.2001) del motu proprio Sacramentorum sanctitatis tutela, con il quale Giovanni Paolo II centralizza la celebrazione dei processi canonici contro i chierici accusati di violenze sui minori presso l’ex Sant’Uffizio.

Protagonista del Convegno svoltosi alla Pontificia università gregoriana nel febbraio 2012 (cf. Regno-att. 4,2012,75), il 6 ottobre 2012 papa Benedetto XVI lo nomina ausiliare di Malta. Riprende la sua presenza come membro della CDF nel 2013 e due anni dopo diventa presidente del Collegio per l’esame dei ricorsi alla sessione ordinaria della Congregazione.

Tracciamo con lui un bilancio a un paio di settimane dal vertice in Vaticano di tutti i presidenti delle conferenze episcopali.

– All’incontro in Vaticano si è molto insistito sulla necessità che i vescovi denuncino i casi di violenza sui minori alle autorità competenti e che le vittime siano invitate a farlo. In Italia, dove l’Accordo di revisione del Concordato non prevede l’obbligo di denuncia da parte del vescovo, il card. Bassetti ha dichiarato che caldeggerà nell’Assemblea di maggio la discussione del tema. Quali passi a suo avviso è necessario compiere perché i vescovi siano motivati ad andare in questa direzione, già discussa in Italia in occasione della pubblicazione delle linee guida del 2011?

«Innanzitutto vorrei dire che bisogna sempre seguire i dettami della legge civile che si applicano in una nazione concreta, in questo caso l’Italia. Il primo mio consiglio chiaro e senza dubbi è che occorre seguire le indicazioni della legge civile che, per esempio, considera il favoreggiamento un reato anche se non obbliga in tutti i casi a denunciare.

In secondo luogo occorre appoggiare il diritto alla denuncia della vittima o dei suoi tutori. Infatti ogni cittadino leso nella sua incolumità ha il diritto di denunciare questo crimine allo stato. E anche se la Chiesa non ha l’obbligo di denuncia, ha comunque il dovere morale d’appoggiare l’esercizio di questo diritto, se la persona lo desidera. Infatti la giurisdizione della Chiesa si basa su una sottomissione volontaria dei fedeli alla Chiesa mentre la giurisdizione dello stato è coercitiva: una violenza sessuale è un delitto canonico ma allo stesso tempo un reato civile. Per questo l’interfaccia tra realtà ecclesiale e civile deve essere osservata, valorizzata e rispettata nel valutare la tragedia di una violenza.

L’indicazione che la Santa Sede ha sempre dato, e particolarmente dal 2011 con la lettera circolare della Congregazione per la dottrina della fede agli episcopati nel mondo, è che bisogna seguire sempre i dettami della legge civile e questo è un dato molto chiaro anche per quanto riguarda i vescovi italiani».

– In questi giorni si parla del caso del card. Pell. Al di là del merito (cf. in questo numero a p. 136), non pensa che esso configuri il rischio che la giurisdizione civile possa influire sulle questioni interne alla Chiesa con una nuova ridefinizione – nei fatti – del rapporto tra stato e Chiesa? E laddove le libertà civili non sono rispettate potrebbe esservi un pericolo per la libertà religiosa?

«Questo è un argomento molto importante: la libertà della Chiesa e la sua autonomia. Tutto questo è sancito dalla costituzione pastorale Gaudium et spes del concilio ecumenico Vaticano II, laddove parla del rapporto di giusta autonomia tra stato e Chiesa. Bisogna rispettare la giurisdizione civile e difendere la giusta libertà della Chiesa.

Il diritto canonico ha un proprio procedimento penale, ha criteri di prova propri e ha anche una propria particolare finalità che è compatibile con la giurisdizione civile nel senso che è autonomo: nel diritto canonico si guarda allo scandalo causato per i fedeli e alla possibile riforma morale del reo e alla restituzione della giustizia. L’ordinamento civile ha altre finalità ma le due giurisdizioni possono convivere e autonomamente guardare alla stessa realtà anche se da prospettive diverse.

Naturalmente ogni decisione sul campo civile ha ricadute in campo canonico e questo fa parte della vita della Chiesa, anche se il perno fondamentale rimane quello della garanzia della libertà della Chiesa».

– All’incontro si è chiesta ai vescovi l’accountability, termine laico per indicare che il «rendere conto» è un aspetto fondamentale dell’esercizio della collegialità. Pensa che ci si stia muovendo verso una riforma della collegialità episcopale e in particolare delle conferenze episcopali, come ipotizzato da papa Francesco in Evangelii gaudium (cf. n. 32)?

«Senz’altro c’è un’esperienza di collegialità affettiva che si vive nelle riunioni delle conferenze episcopali. L’incontro dei vescovi di una nazione ha una sua efficacia nell’istituire il dialogo necessario perché la Chiesa possa offrire per una data nazione una testimonianza univoca, una prospettiva forte, un impeto massiccio verso la carità. Senz’altro la salvaguardia dei nostri bambini è essenziale per il Vangelo; Gesù parla dei bambini come un segno del discepolo nel Regno. Chiede che la comunità non impedisca mai l’accesso dei bambini allo stesso suo cuore (cf. Mt 10,14).

I vescovi di tutto il mondo sotto la guida del santo padre hanno a cuore questa missione che deve essere essenziale alla vita della Chiesa: la garanzia che la Chiesa sia un porto sicuro per i bambini ma anche esempio – come lo stesso papa ha sollecitato nel discorso finale dell’incontro – e modello di come gestire queste realtà dolorose e possibilmente di prevenirle.

La questione dello statuto delle conferenze episcopali è sempre oggetto di discussione e d’approfondimento teologico. L’ecclesiologia del concilio Vaticano II indica che il vescovo in quanto vicario di Cristo nella sua diocesi ha un legame diretto di lealtà con la sede di Pietro perché Pietro è fondamento della nostra unità e noi come collegio dei vescovi viviamo la nostra missione cum e sub Petro.

A mio avviso tutti gli incontri e tutte le strutture intermedie che diano la possibilità di esercitare una collegialità affettiva non devono mai diminuire il primato di Pietro che presiede nella carità e ha una reale giurisdizione sui singoli vescovi, diretta e immediata. Ogni struttura che vogliamo fare evolvere in futuro deve rispettare questi principi portanti della nostra ecclesiologia».

– Per combattere il clericalismo, terreno di coltura favorevole all’insabbiamento dei casi, sono necessari secondo papa Francesco una maggiore sinodalità e partecipazione dei laici, una Chiesa più popolo di Dio che solamente gerarchica. Quali modifiche si potrebbero introdurre nel Codice di diritto canonico, perché questo non rimanga solo un appello?

«Prima di arrivare a cambiamenti nel Codice, nelle Chiese locali si possono fare evolvere strutture che possono operare già con il quadro legislativo attuale. Molto spesso comunque bisogna avere il coraggio di capire il momento e in particolare i segni dei tempi. Nulla vieta ad esempio che nell’investigazione previa il vescovo possa delegare compiti a esperti laici. Per quanto riguarda l’abilitazione dei laici per essere giudici e far parte del collegio dei consultori, questi sono aspetti che dipendono molto dalla volontà del legislatore, papa Francesco.

Occorre anche notare che questo discorso sta molto a cuore al papa e secondo me ci sono prospettive di importanti evoluzioni nel futuro, ma non sono in grado di dire oggi quali; vedo comunque che già nel modo di agire, nelle strutture che abbiamo già, un ruolo importante dei laici che può crescere. E inoltre il diritto canonico non è immutabile, anzi è sempre in continua evoluzione per rispondere alle esigenze concrete della Chiesa».

– Potrebbe essere utile un ruolo maggiore delle donne nei sinodi, come ha chiesto anche l’Unione delle superiore religiose in una conferenza stampa alla fine dell’incontro?

«Dipende molto dall’evolversi delle strutture canonistiche e anche di come si pensa al sinodo; abbiamo una nuova legge per il Sinodo dei vescovi, anche se rimane una struttura per i vescovi. Forse si può pensare ad altri tipi di incontri e condivisioni che diano un ruolo d’ascolto e da protagonisti a tutti i laici e non solo alle donne. L’incontro di febbraio è stato un esempio di come si possono strutturare realtà simili senza dover pensare di modificare la legge attuale del Sinodo dei vescovi. Così si potrebbero avere incontri nei quali la Chiesa venga rappresentata dall’idea del pellegrinaggio di tutti i battezzati.

Due esempi che si possono vivere a livello diocesano: il consiglio pastorale diocesano: non è una struttura obbligatoria ma può essere maggiormente valorizzata da noi vescovi, e l’assemblea diocesana: ci sono diocesi che ne organizzano e vi partecipano sia il clero sia i laici e discutono i segni dei tempi. Queste sono occasioni necessarie e utili ai fini del discernimento di quanto vuole il Signore: saper leggere i segni dei tempi come Chiesa pellegrina».

– Un’ultima domanda: quando pensa potrà essere portato a compimento lo studio da lei caldeggiato sui dati dei casi trattati dalla Congregazione per la dottrina della fede?

«Non credo si possano prevedere tempi stretti, perché abbiamo bisogno di persone qualificate che studino ogni posizione e ogni caso e poi ne traggano dei dati standard e infine statistici. Credo che una volta pubblicati questi dati saranno molto utili».

– Nel frattempo potrebbero fare un’operazione analoga singole diocesi o conferenze episcopali?

«Certamente. Un esempio per tutti rimane quello voluto dai vescovi statunitensi con gli studi commissionati al John Jay Institute for Criminal Justice (Regno-doc. 11,2011,337)».

 

Maria Elisabetta Gandolfi

Tipo Articolo - Inserto
Tema Minori Santa Sede
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