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Attualità
Attualità, 10/2020, 15/05/2020, pag. 270

Dibattito - Scuola e università: anche a distanza

Ragionare di didattica a partire dalla sperimentazione di questi mesi

Stefano Camasta

Azionata come un paracadute d’emergenza, la didattica a distanza (DaD) nel sistema italiano dell’istruzione può essere considerata anche come una radiografia e un crivello. La radiografia ci mostra il bicchiere mezzo pieno (o mezzo vuoto) della nostra scuola e della nostra università. Sgombrato il campo da trionfalismi e bocciature, è un fatto che senza piattaforme digitali e dispositivi elettronici in questa emergenza non sarebbe stato possibile nessun tipo di contatto tra docenti e studenti, e va dato atto al nostro sistema dell’istruzione di essersi messo al passo con i tempi in questi ultimi anni, sia pure in modo non omogeneo. 

Azionata come un paracadute d’emergenza, la didattica a distanza (DaD) nel sistema italiano dell’istruzione può essere considerata anche come una radiografia e un crivello.

La radiografia ci mostra il bicchiere mezzo pieno (o mezzo vuoto) della nostra scuola e della nostra università. Sgombrato il campo da trionfalismi e bocciature, è un fatto che senza piattaforme digitali e dispositivi elettronici in questa emergenza non sarebbe stato possibile nessun tipo di contatto tra docenti e studenti, e va dato atto al nostro sistema dell’istruzione di essersi messo al passo con i tempi in questi ultimi anni, sia pure in modo non omogeneo. Anche da parte degli studenti e delle loro famiglie c’è stata una significativa accettazione di questa nuova modalità d’apprendimento, specialmente per i gradi più alti d’istruzione.

Chi si concentra sulla metà vuota del bicchiere, ha buon gioco a ricordare i limiti quantitativi, come la quota (minoritaria ma certamente inaccettabile) di alunni o studenti non raggiunti dalla scuola digitale, o qualitativi della proposta didattica via chat o classroom, che può essere stimolante per alcuni ma assai poco coinvolgente per tanti altri; per non parlare della sua sostanziale inefficacia per l’apprendimento delle fasce più giovani di età.

In parte si tratta di limiti connaturati agli strumenti e alle circostanze, in parte forse scontiamo ritardi più propriamente nostrani e quindi colpevoli. Se il nostro sistema d’istruzione, a tutti i livelli, saprà cogliere le indicazioni provenienti da questo grande e inaspettato stress-test che rappresenta la DaD, certamente avremo preziose piste di lavoro per il futuro.

Fin qui la radiografia. Ma ancora più interessante può essere l’involontaria funzione di crivello della DaD rispetto alle consolidate prassi didattiche, quelle in presenza, a cui speriamo di poter tornare al più presto, ma non senza averle prima riconsiderate criticamente proprio alla luce di questa forzata sperimentazione di didattica a distanza.

La relazione fisica non è accessoria

Credo che oggi più di ieri, a tutti i livelli del sistema di istruzione, sia chiaro un punto: la didattica senza relazione in presenza è un’altra cosa. Ammesso e non concesso che anche a distanza rimanga un fondo più o meno significativo di trasmissione del sapere, certamente senza la relazione fisica della compresenza nello stesso spazio formativo tra docenti e discenti viene meno non un accessorio ma una parte sostanziale del processo d’insegnamento-apprendimento; nella scuola dell’infanzia e in quasi tutte le classi della primaria viene meno addirittura il fondamento stesso d’ogni possibilità di comunicazione educativa.

Questo non significa allora che negli strumenti che oggi supportano la DaD (dalle piattaforme di condivisione alle infinite risorse della Rete, dall’uso quanto più possibile esperto dei devices alle potenzialità degli scambi in remoto) non siano insite utilità imprescindibili per il futuro; anzi l’esperienza di questi mesi di scuola e università digitale probabilmente ha già ampliato e di molto il ventaglio di strumenti di cui potrà opportunamente servirsi la didattica in presenza di domani.

Qualche parziale ma spero significativo esempio: quale insegnante, domani, potrà fare a meno della piattaforma digitale scolastica (classroom, drive, moodle, o altro che sia) nell’organizzazione e nella comunicazione della sua didattica? E quali studenti (e quindi famiglie) potranno fare a meno di devices e reti Wi-Fi che consentano loro un utilizzo efficace di quegli strumenti? La fruizione in streaming delle lezioni universitarie potrà ancora essere un’eccezione e non una regola nelle attività accademiche?

Ma torniamo al tema della relazione come fondamento d’ogni dimensione di insegnamento-apprendimento. Come è stato sottolineato anche da Federico Bertoni nel breve saggio Insegnare (e vivere) ai tempi del virus (ebook Nottetempo, Milano 2020, cf. in questo numero a p. 289), la DaD, con i suoi vantaggi e i suoi enormi limiti, crea i presupposti per rinnovare alcune routine consolidate della didattica in presenza, mostrandosi in modo ambivalente come un serbatoio di esperienze positive da mantenere anche in futuro per affiancare e arricchire la scuola e l’università che già conoscevamo, e insieme come un vaglio con cui mettere a prova organizzazioni e metodi ormai consolidati, e in parte superati, del nostro sistema d’istruzione, specialmente nei suoi livelli più alti e specializzati.

È da tempo, ad esempio, che soprattutto nella scuola secondaria s’invitano gli insegnanti a uscire da un modello esclusivamente o prevalentemente trasmissivo della didattica, quello secondo cui la lezione consiste in un continuo monologo del docente, intervallato qua e là da qualche feedback dei discenti. Nonostante le ottime ragioni per accogliere e attuare queste indicazioni, quanta parte dell’insegnamento è rimasto purtroppo ancora a esse impermeabile?

La DaD in questi casi può rappresentare davvero una sfida per il futuro, perché con tutti i suoi limiti porta però con sé elementi di economicità d’indubbia rilevanza: abbattendo infatti le tradizionali dimensioni del tempo e dello spazio, del volume e della massa della didattica, potrebbe definitivamente mettere in discussione forme e organizzazioni dell’insegnamento che non siano in grado di dimostrare in modo stringente l’insostituibilità della compresenza fisica di docenti e discenti, così complessa e costosa.

Ripensare i metodi della didattica in presenza

In modo provocatorio, insomma, si potrebbe dire che la DaD costringe i nostri sistemi formativi a un esame di coscienza: se ci accorgessimo che una quota non marginale delle nostre metodologie d’insegnamento consolidate non perderebbe granché della sua efficacia anche se fosse svolta a distanza, perché mai dovremmo continuare a realizzarla nel modo più dispendioso? Se la spiegazione in presenza di un teorema o della biografia di un autore non si discosta poi molto dalla trasmissione delle stesse informazioni a distanza, perché mai dovremmo continuare ad avere un insegnante diverso per ogni classe che ripete, magari solo con timbro e intonazione tutti suoi, sostanzialmente le stesse informazioni, davanti a masse di studenti quotidianamente radunate in aula?

Non basterebbe affidare in remoto questo compito a un solo collega, nell’ambito dell’istituto, o della regione o dell’intero paese? E in questo caso, ai tanti docenti che oggi occupano le migliaia di cattedre della scuola italiana, cosa resterebbe da fare?

Forse poco, se ragioniamo in termini d’immodificabilità di certi metodi didattici; infinite azioni di tutoraggio, arricchimento, recupero, personalizzazione, magari a classi aperte, se siamo disponibili a rivedere le nostre prassi, assumendo più sistematicamente gli orientamenti già da tempo promossi dalla ricerca metodologica, dalla «flipped classroom» alla didattica per competenze.

E in ambito accademico, non vale a maggior ragione la stessa logica? Ha ragione Bertoni a interrogarsi su un’introduzione sempre più pervasiva che un domani la DaD potrebbe avere anche nell’università. In un settore dell’istruzione già così sensibile alla concorrenza interna e internazionale e per necessità attento anche al risparmio dei costi, che cosa potrà trattenere rettori, consigli d’amministrazione e perfino gli stessi studenti dal considerare la didattica a distanza una soluzione molto più economica (quanto risparmierebbe ad esempio un fuorisede?) e almeno in parte altrettanto efficace della frequenza sistematica?

Rispetto a questo ragionamento, il semplice richiamo alla dimensione psicologica e relazionale che solo l’incontro fisico in aula è in grado di generare potrebbe risultare un argomento troppo debole per difendere l’esistente. Ormai la DaD ci ha dimostrato che un’alternativa a un certo modo unidirezionale d’intendere l’insegnamento in presenza esiste ed è naturale che qualcuno possa pensare che quello sia uno strumento su cui investire azioni di ricerca e risorse.

Senza un sistema didattico che davvero renda insostituibile, produttiva e fortemente caratterizzante la presenza fisica degli studenti e dei professori a lezioni, seminari, lavori di gruppo, team di ricerca ecc., come farà uno qualsiasi tra i nostri tanti atenei a fare delle sue aule e dei suoi docenti, anche in futuro, una vera attrattiva per gli studenti italiani e stranieri nell’era della DaD?

Di fronte a questi scenari, che la DaD non ha generato ma soltanto ha permesso d’immaginare e in parte sperimentare, la reazione degli addetti al nostro sistema dell’istruzione può essere di timore e di chiusura oppure d’apertura cauta ma intelligente, capace cioè di cogliere le recenti novità introdotte per necessità e pro tempore nel nostro sistema con sguardo critico ma pronto a modificare prassi e rigidità obsolete che altrimenti rischiano di essere progressivamente estromesse da strumenti più freddi ma potenzialmente anche molto più efficienti.

Il fatto che queste considerazioni rimangano un’astratta dissertazione o diventino un’impellente necessità, non dipende però solo dall’atteggiamento di esperti e addetti ai lavori. È facile intuire che la crisi economica che dovremo fronteggiare nei prossimi mesi e nei prossimi anni, a seconda della drammaticità delle sue dimensioni e delle sue ricadute sociali, potrebbe avere tutte le dirompenti energie per spazzare via remore e resistenze e trasformare in necessità obbligata quello che oggi appare come una mera speculazione.

Perciò, e a maggior ragione, meglio anticipare il cambiamento che subirlo in emergenza, proprio al fine di salvaguardare e valorizzare pienamente quella insopprimibile dimensione relazionale insita in ogni autentico processo d’insegnamento-apprendimento.

 

Stefano Camasta*

 

* Docente di Lettere della scuola secondaria di primo grado.

Tipo Articolo
Tema Scuola Cultura e società
Area EUROPA
Nazioni