America Latina - COVID-19: la (poca) salute e il voto
Il 6 ottobre 2020 il continente americano registra la metà dei casi di COVID-19 del mondo e oltre la metà dei decessi, con più di 17 milioni di contagi e oltre 574.000 morti. Secondo quanto riferisce la Organización panamericana de la salud (OPS), l’epidemia si diffonde anche tra i giovani, i quali, pur senza presentare sintomi importanti, non sono esenti dallo sviluppare gravi patologie a seguito del virus. Permane la preoccupazione per i gruppi più fragili.
Il 6 ottobre 2020 il continente americano registra la metà dei casi di COVID-19 del mondo e oltre la metà dei decessi, con più di 17 milioni di contagi e oltre 574.000 morti. Secondo quanto riferisce la Organización panamericana de la salud (OPS), l’epidemia si diffonde anche tra i giovani, i quali, pur senza presentare sintomi importanti, non sono esenti dallo sviluppare gravi patologie a seguito del virus. Permane la preoccupazione per i gruppi più fragili.
Nella sua relazione settimanale la direttrice dell’OPS, Carissa F. Etienne, riferisce che «negli USA, che rappresentano più del 40% dei nuovi casi nella regione, le persone nere, ispaniche e indigene hanno una probabilità quasi 3 volte maggiore di contrarre il COVID rispetto alle persone bianche. E presentano una probabilità quasi 5 volte maggiore di essere ospedalizzate e il doppio delle probabilità di morire a causa del virus». Una fotografia in grado di descrivere sostanzialmente anche la situazione dell’America Latina. Nelle aree amazzoniche di Colombia e Brasile, i popoli indigeni hanno una probabilità 10 volte più alta di contrarre il virus rispetto agli altri gruppi.
Secondo un’indagine della Johns Hopkins University, tra i 10 paesi con più morti per COVID-19 ogni 100.000 abitanti figurano ben 6 paesi latinoamericani: Perù, Bolivia, Brasile, Cile, Ecuador e Messico. All’11 ottobre il primato dei contagi nell’area spetta sempre al Brasile che conta 5.055.888 casi con 149.639 decessi. Seguono la Colombia (894.300 casi e 27.495 decessi), l’Argentina (871.468 casi e 23.225 decessi), il Perù (843.355 casi e 33.158 decessi) e il Messico, che per numero di morti continua a collocarsi subito dopo il Brasile (809.751 casi con 83.507 decessi). E ancora il Cile (479.595 casi e 13.272 decessi), l’Ecuador (146.828 casi e 12.188 decessi) e la Bolivia (138.226 casi e 8.262 morti).
Quanto ai migranti e ai rifugiati, il 9 ottobre è stato siglato un accordo tra l’OPS e l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM) delle Nazioni Unite, con l’obiettivo di lavorare insieme per la salute e il benessere di circa 70 milioni di persone, che hanno difficile accesso ai servizi sanitari e financo all’acqua potabile.
Guardando avanti, già si pensa al vaccino. Vari stati del continente sono abituati alle vaccinazioni di massa e stanno aderendo al «Mecanismo COVAX», una coalizione attualmente di 172 paesi, volta ad accelerare la ricerca di un vaccino efficace e ad acquistare tempestivamente 2.000 milioni di dosi in modo da distribuirle per la fine del 2021 alle persone vulnerabili e ad alto rischio, nonché al personale sanitario in prima linea.
Alle urne Bolivia, Cile e Brasile
Un’occasione di rischio di contagio è anche la chiamata alle urne. E in questa fine 2020, non andranno al voto soltanto i cittadini USA. I primi convocati saranno i boliviani, che il 18 ottobre dovranno scegliere presidente, vicepresidente, senatori e deputati, dopo le vicende che portarono alle dimissioni Evo Morales il 10 novembre 2019 (cf. Regno-att. 2019,22, 664). La data delle elezioni, inizialmente fissata per il 3 maggio, è stata più volte posticipata.
A metà settembre la presidente ad interim Jeanine Áñez, ha ritirato il proprio nome tra i candidati, dopo che i sondaggi la davano retrocessa al quarto posto, verosimilmente a causa della sua gestione della pandemia, degli scandali per corruzione emersi nel corso del suo breve incarico, nonché della sua scarsa neutralità in un ruolo che doveva essere di garanzia, interpretato in maniera assai discutibile. La Áñez sarebbe inoltre entrata in concorrenza con Luis Fernando Camacho, rafforzando ulteriormente quelli che ora appaiono come i due candidati favoriti: Luis Arce Catacora del Movimiento al Socialismo (MAS), già ministro dell’Economia e delle finanze del governo Morales, e Carlos Mesa, già presidente della Bolivia dal 17 ottobre 2003 al 6 giugno 2005.
Il primo risulta più avanti nei sondaggi, ma senza raggiungere il 50% dei voti, né il 40% con un vantaggio del 10% sull’avversario. Il ballottaggio del 9 novembre si preannuncia quindi assai probabile. Sull’importante scadenza si è espressa anche la Conferenza episcopale boliviana, attraverso un comunicato della Segreteria generale del 2 ottobre, dal titolo Elezioni libere, in pace e democrazia: «Occorre dibattere idee, non squalificare persone. Avviare processi di cambiamento e non solo il cambiamento di governanti» hanno affermato i vescovi, ricordando che nessuno vuole tornare a vivere i conflitti sociali e le situazioni di violenza che portarono all’annullamento delle elezioni del 2019.
Il secondo Paese ad andare alle urne sarà il Cile, il 25 ottobre, per il «Plebiscito nazionale 2020», posticipato dal 26 aprile. I cileni si esprimeranno sull’avvio di un processo costituente che produca una nuova Carta costituzionale, superando l’attuale del 1980: un testo dell’era Pinochet, seppur riformato 52 volte.
Da ultimo andrà al voto il Brasile per le elezioni municipali, inizialmente previste per il 4 e il 25 ottobre e posticipate al 15 e 29 novembre (2o turno).
L’Organizzazione degli Stati americani con l’ausilio della OPS ha pubblicato una guida dettagliata al fine di aiutare i governi a ridurre al minimo i rischi di contagio in questi fondamentali appuntamenti della vita civile.
Gabriella Zucchi