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A scuola finalmente! Le attese, le domande, la speranza

Tanti docenti dicono in questi giorni la gioia di rivedere finalmente i propri studenti, riprendendo dal 14 settembre a insegnare in presenza.

Finalmente...

Tanti presidi ancora lavorano duramente, per garantire nelle aule un metro di distanza tra le rime buccali degli studenti che vi seguiranno le lezioni. Gli stessi studenti attendono di rivedere i compagni, magari dopo mesi, mentre tanti genitori aspettano con ansia di poter tornare ad affidare i loro figli a istituzioni che se ne prendano cura e li formino, aiutandoli a crescere.

Tante attese, tante emozioni s’intrecciano a dire il ruolo centrale della scuola nei vissuti di tanti e nella dinamica sociale.

Finalmente – si dice – la politica torna a dare attenzione a essa; finalmente si ricorda che maxima debetur puero reverentia («al bambino si deve il massimo rispetto», Giovenale, Satire XIV, 47); finalmente – dopo anni di tagli e ristrettezze – ci si accorge della valenza strategica dei luoghi di istruzione e formazione.

...ma non come prima

Al contempo, però, molti si accorgono (improvvisamente?) che non sarà tutto come prima; che sarà una scuola diversa, anche in cose che di essa amiamo e apprezziamo; che le esigenze della sicurezza limiteranno i comportamenti possibili in classe.

Ecco, allora, immediata la contestazione: genitori che reclamano, insegnanti che dichiarano l’impossibilità di lavorare così, pedagogisti che analizzano acutamente l’inadeguatezza dell’orizzonte formativo che si va delineando. Un fuoco di sbarramento, in particolare, sulla didattica a distanza, ritenuta sempre e comunque inaccettabile (senza neppure distinguere tra diversi ordini di scuola). Ovviamente la didattica a distanza ha i suoi limiti, ma…. se nei prossimi mesi risultasse impossibile continuare sempre e dovunque a insegnare in presenza, si dovrebbero forse lasciare gli studenti a sé stessi?

La domanda si fa anche più acuta se consideriamo come quelle stesse misure di sicurezza che stanno risultando così onerose da realizzare – e problematiche da vivere – siano al contempo fragili e incerte quanto all’adeguatezza.

Ci si chiede, ad esempio, come mai si dichiari enfaticamente che gli studenti porteranno sempre la mascherina a scuola ... per poi aggiungere quasi sotto voce, «salvo quando saranno seduti al banco con la distanza di un metro».

Occorre chiarezza: secondo le attuali indicazioni (scrivo il 9 settembre) gli studenti potranno trascorrere le loro mattinate scolastiche restando quasi sempre senza mascherina e questo solleva pesanti interrogativi per la sicurezza loro, delle loro famiglie, del personale (docente e non). La distanza di un metro sarà davvero sufficiente in tal senso? E che impatto avrà l’affollamento dei mezzi pubblici (luoghi di contatto e di contagio quasi incontrollabili)?

Ignoramus: la riapertura delle scuole è anche un esperimento socio-sanitario...

In tale contesto vi sono poi elementi che stupiscono. La Regione Veneto, ad esempio, riserva «a casi particolari» l’uso delle mascherine FPP2 senza valvola, non consentendo quindi a molti docenti – magari non giovanissimi – di scegliere liberamente come proteggersi dal rischio di contagio in classe (potenzialmente alto).

Sarebbe eticamente discutibile una risposta all’esigenza di riapertura «a ogni costo» (necessaria anche per non bloccare il mondo del lavoro), che considerasse come un costo accettabile la perdita di qualche docente vicino alla pensione (come chi scrive). Forse si poteva operare meglio; forse l’attenzione della politica potrebbe trovare forme più adeguate per esprimersi...

Cercare la via

Lo abbiamo ripetuto più volte, anche in testi segnalati proprio su Moralia: questa pandemia ci ha introdotti in un tempo inedito, in cui molte cose si trovano ricollocate e vanno ripensate. Finché non avremo un vaccino efficace, pensare di fare «come prima» – quasi che il rischio di diffusione del contagio fosse alle nostre spalle – esprime solo una percezione distorta del presente.

Questi mesi ci hanno costretto a imparare che persino quei gesti, che abitualmente dicono affetto e vicinanza (un abbraccio, un bacio...), possono esprimere invece in questo contesto trascuratezza e pesante mancanza di attenzione; uno sguardo da lontano può al contrario caricarsi di tutta l’intensità di una relazione.

Forse anche nell’interazione in classe occorrerà portare a parola questa risemantizzazione della gestualità elementare. Forse occorrerà comprendere che distanze e precauzioni costringono sì a vivere diversamente l’azione educativa, ma sono esse stesse un grande gesto di educazione alla cura e alla responsabilità per chi ci è vicino. Sono formazione al «senso vissuto del bene comune» (S. Saccardi, Corriere fiorentino 5.9.2020); sono educazione civica in atto.

Non sarà facile trovare la via per vivere bene quest’anno scolastico, in un saggio discernimento che sappia bilanciare sicurezza, efficacia formativa e relazionalità. Certo, a ogni docente sarà richiesto un surplus di creatività, per mantenere un’interazione viva coi propri studenti, anche in condizioni anomale.

A tutti invece saranno richieste molta responsabilità, molta disponibilità a venirsi incontro, molta capacità di ascoltare saggiamente le diverse esigenze presenti. Soprattutto, molta speranza.

 

Simone Morandini è coordinatore del progetto «Etica, teologia, filosofia» della Fondazione Lanza e insegna all’Istituto di studi ecumenici San Bernardino di Venezia; è coordinatore del blog Moralia.

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