b
Blog

«Benvenuto nella tua cassetta»: 13 punti morali sulla serie TV Tredici

Moralia | Una collaborazione dell'Associazione teologica italiana per lo studio della morale (ATISM) con Il Regno

«Benvenuto nella tua cassetta». Più o meno in questo modo si apre il sipario su ognuna delle 13 puntate della nuova serie TV, Tredici ovvero Thirteen reasons why, distribuita da Netflix dallo scorso 31 marzo. E, puntata dopo puntata (circa 55 minuti l’una), impariamo a conoscere e riconoscere le 13 persone (o situazioni) che hanno contribuito al suicidio di Hannah, diciasettenne americana. Le musicassette contengono 13 messaggi, 13 spiegazioni, 13 accuse che Hannah stessa incide e fa consegnare ai responsabili grazie a un “complice”, Tony.

Senza arrivare alla petizione di chi, su change.org (noto portale per le raccolte firme), richiede che venga introdotta la visione come obbligatoria nelle scuole superiori – e senza darne un giudizio cinematografico per cui non ho le competenze – mi sembra che Thirteen reasons why sia una serie da guardare perché mette in campo numerosi temi/dinamiche morali. E li colloca in un mondo adolescenziale non raccontato come un documentario, ma nemmeno in modo patinato o superficiale, né stereotipato all’eccesso. Un mondo in cui ci si può facilmente conoscere e riconoscere.

Questa serie ci costringe a fermarci a riflettere, ad assumere prospettive diverse, a cercare di capire, a rimetterci in gioco… – in alcuni passaggi come un pugno nello stomaco – come adulti e non come adultescenti.

Uno sguardo all'interno: 13 punti morali su cui riflettere 

Stilo, quindi, 13 spunti di riflessione morale che, nelle prossime settimane, verranno ripresi e analizzati su Moralia, anche senza un riferimento diretto alla serie TV (per non anticipare, spoilerare, la serie a chi volesse vederla). 

  1. Il suicidio adolescenziale. Ovviamente. Da cui prende avvio la serie. Un suicidio che Hannah pianifica nei dettagli (le “regole del gioco” delle cassette) – escludendo, però, i genitori – ma per il quale non ha il coraggio di chiedere direttamente aiuto. E il suicidio, anche in Italia, rimane drammaticamente la seconda causa di morte negli adolescenti.

  2. La normalità regna nella serie. Hannah è normale. Clay (il co protagonista) è normale. I ragazzi sono (quasi tutti) normali. Gli adulti sono (quasi tutti) normali. La scuola è normale. Il contesto sociale è normale. In questa normalità il male diventa eccezionalmente banale. E brutale.
  3. Nessuna delle persone ha una responsabilità diretta. Ed è vero. Più volte viene ripetuto che Hannah ha “deciso” di suicidarsi. Eppure ciascuno ha una precisa responsabilità in causa. Ecco allora l’importanza di imparare a distinguere e riconoscere i gradi della responsabilità, non come puro allenamento accademico ma come esercizio necessario di umanità.
  4. E ciascuno reagisce in modo differente, una volta compreso il proprio coinvolgimento. C’è chi nega (anche a se stesso) furiosamente. Chi tenta, imperterrito, di far ricadere su altri le proprie carenze. Chi vive il senso di colpa in modo eccessivamente e morbosamente psicologico. Chi, invece, riconosce la propria colpa sul piano morale, cercando, per quanto possibile, di “riparare”.
  5. Tutte le azioni, anche quelle ai nostri occhi più insignificanti, hanno delle conseguenze sugli altri. Spicca chiaramente la questione delle “strutture di peccato”, che Hannah riconduce all’«effetto farfalla».
  6. La prima puntata si focalizza un episodio di cyberbullismo (altri episodi di bullismo scandiscono la serie), con la conseguente riflessione sull’uso/abuso delle nuove tecnologie (non a caso Hannah usa delle cassette) nella sfaccettatura di un fenomeno, quello del bullismo, non certo recente.
  7. La violenza (psicologica, spirituale, fisica, sessuale, – attiva o passiva – che passa anche attraverso l’autolesionismo e il cutting) è un filo rosso che attraversa tutta la serie, in una spirale sempre più brutale. Ed assume inoltre dei connotati ben precisi: la violenza di genere che si dipana dallo slut shaming fino a due stupri.
  8. Un'altra violenza esplicita è quella della solitudine dovuta ad una radicale incapacità di comunicare: a sé stessi, tra coetanei, tra giovani e adulti… Quale è, oggi, il ruolo della comunicazione, della parola (e del silenzio), della verità nella riflessione ed educazione morale?
  9. Il tema dell’omosessualità – nel percepito e nel vissuto adolescenziale – viene presentato tra poche luci e tante, troppe ombre, capaci di generare angherie su di sé e sugli altri.
  10. Non mancano nemmeno gli abusi di alcol e sostanze stupefacenti, altro tema drammaticamente attuale, soprattutto nella forma compulsiva del binge drinking.
  11. Poche pennellate su alcuni contesti familiari, su alcuni back ground, sufficienti, tuttavia, a tematizzare nuovamente il tema della libertà (assoluta e relativa).
  12. La percezione del tempo degli adolescenti è diversa da quella degli adulti (durante la visione della serie si respira una sensazione oscillante tra una frenetica rapidità e un “per sempre” opprimente). Ad essa concorrono anche cause neurologiche. Tenendo conto di questo dato, in quale misura, in che modo, gli adolescenti e gli adulti formulano giudizi morali differenti?
  13. Ed eccoli, infine, questi “grandi”. Che poi siamo noi. Adulti o adultescenti?
Dio rimane all'"esterno"

A questo elenco di tredici spunti aggiungo un’ultima riflessione: in nessun passaggio della serie, in nessun dialogo, in nessuna scena, appare un’apertura al trascendente, nessun riferimento a nessun Dio, una prospettiva religiosa o, quantomeno, spirituale. Si tratta di un quattordicesimo spunto o di quella ragione che sostiene le altre ragione?

Appuntamento, quindi, alle prossime settimane, per la ripresa di questi temi con l’augurio che si generi un confronto vivace con i lettori anche in questo spazio virtuale.

Lascia un commento

{{resultMessage}}