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Bioregno II - Un nuova saggezza: la bioetica globale

Di fronte alla parola bioetica, il pensiero va quasi naturalmente a questioni legate all'ambito della medicina o, più in generale, a quello dell'esistenza umana nella sua dimensione biologica.

In effetti, la riflessione bioetica proposta dalla grande maggioranza dei testi in circolazione - che muova da un approccio basato su principi o che prenda a forma in relazione alle virtù o alla cura; che sia centrata sulla legge o sulla responsabilità; che si declini come laica o come religiosamente fondata - tratta comunque delle vicende di uomini e donne e delle scelte che essi/e si trovano ad affrontare in tali ambiti. Non a caso essa nasce a partire dalla tradizionale etica medica, pur ripensata in contesti decisamente nuovi.

Una parola e i suoi significati

In realtà quando il termine è stato coniato, il suo significato era abbastanza diverso, che però è poi caduto quasi completamente in disuso nella riflessione successiva. Il primo ad usare la parola bioetica sembra, infatti, essere stato nel 1970 l'oncologo Van Resslaer Potter, che l'ha poi ripresa l'anno successivo per la raccolta di saggi in cui proponeva una nuova riflessione etica (Bioetica, ponte verso il futuro; ed. it. Sicania, 2000).

Quella che disegnava l'autore americano era un'etica della vita in senso ampio, in grado di misurarsi con le sfide globali alla sopravvivenza dell'umanità - a partire dall'inquinamento e dal suo impatto sulla salute umana e più in generale dell'ecologia.

Era una "nuova saggezza", capace di offrire "la conoscenza di come usare la conoscenza". Era cioè un'etica che - aldilà della nefasta separazione tra le due culture - muovesse da una comprensione della vita stessa ampiamente radicata in quel sapere biologico che egli compendiava nei 12 postulati enunciati nel capitolo I.

Origini cui ritornare?

Di fronte alle aporie in cui così spesso sembra trovarsi oggi la riflessione bioetica, il nome di Van Resslaer Potter viene talvolta evocato come punto di riferimento, cui ritornare per una prospettiva più ampia.

In realtà, rileggendo la raccolta di saggi del 1971 non poche sono le ingenuità, che impediscono passaggi troppo facili. Il riferimento alla rilevanza etica della biologia è così immediato da sfiorare lo scientismo; minimale l'attenzione per le mediazioni necessarie ad un autentico argomentare morale; francamente superficiale la netta contrapposizione tra un'etica fondata sulla scienza e l'insieme delle etiche religiose.

L'ampiezza dell'intenzione si declina cioè in tale opera pionieristica in una prospettiva ancora ristretta, non veramente all'altezza di un punto di vista specificamente morale.

Allargare l'orizzonte

Eppure vi sono anche indicazioni importanti, che meritano una considerazione più attenta. Da un lato l'istanza metodologica di articolare la riflessione etica su solide competenze scientifiche, che non si limitino alla comprensione di fenomeni particolari, ma sappiano misurarsi con un'effettiva percezione della vita nella sua complessità biologica.

Dall'altro l'esigenza di allargare lo spettro di interesse della bioetica stessa alla considerazione di quello che K.Danner Clouser nell'edizione del 1974 dell'Encyclopedia of Bioethics chiamava bioregno, a disegnare una correlazione forte con l'etica ambientale. Impensabile, in effetti, una bioetica che continui a concentrarsi in modo esclusivo sulla vita individuale o sulla dimensione clinica senza coglierne la correlazione - ad esempio - con fenomeni globali come il mutamento climatico.

È del resto in tale prospettiva che l'espressione bioetica globale è stata ripresa negli ultimi decenni, ad esempio da Henk Ten Have, direttore emerito della divisione di Etica della scienza e della Tecnologia dell'UNESCO, disegnando un orizzonte valorizzato in Italia anche dalla Fondazione Lanza. 

Il problema è quello di perseguire tali istanze con attenzione ed equilibrio. Da un lato la valorizzazione della dimensione scientifica entro la bioetica andrà bilanciata con un'approfondimento dell'orizzonte umanistico in cui essa si inscrive (come fa ad esempio U. Curi nel suo recente Le parole della cura, 2017), qualificandola cioè anche davvero come bioetica.

Dall'altro, occorrerà evitare che la correlazione con l'etica ambientale si trasformi in identificazione (magari con pericolose pretese di assorbimento dell'una nell'altra): un approccio integrato non dovrà cancellare la specificità di punti di vista che hanno metodi e assiomi in parte diversi. La complessità della vita rimanda, insomma, ad una complessità dell'umano, che con essa si intreccia inestricabilmente. Un pensiero morale responsabile dovrà essere davvero fedele all'una e all'altra, accogliendone le sfide.

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