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Coscienza personale ed etica civile

La coscienza è un sapere che viene dal confronto che la persona compie prima di prendere una decisione.

Moralia | Una collaborazione dell'Associazione teologica italiana per lo studio della morale (ATISM) con Il Regno.

Quattro voci

Non senza ragioni, san Tommaso fa derivare il termine coscienza dal latino cumscire: un sapere insieme, un movimento di ricerca condiviso (S. Th., I, q. 79, a. 13), caratterizzato dal tenere insieme l’universale e il concreto esistenziale. Carlo Maria Martini, approfondiva il valore della coscienza «nell’esperienza morale umana» come ciò che «si fa avanti in quanto voce che appella», e che «è immanente a ogni uomo e che stabilisce la condizione prima perché un dialogo morale sia possibile tra uomini di razze, culture, convinzioni diverse».

Il filosofo Jurgen Habermas vede nella coscienza quella specifica «consapevolezza morale» che si avvale di una «competenza di natura interattiva» e più specificamente di «interazione sociale». Il teologo Aristide Fumagalli nel suo importante saggio sulla coscienza la interpreta come «fenomeno relazionale», teologicamente animato dalla relazione tra lo Spirito divino e la libertà umana, e antropologicamente dal confronto e dialogo tra persone in cerca del bene.

Quattro riferimenti in cui la coscienza emerge come quello sfondo che rimanda sia a un sapere che scaturisce dal confronto che la persona compie prima di prendere una decisione, sia al tenere insieme l’universale e il particolare. Martini ne sottolinea anche la configurazione condizionale e «immanente» all’essere dell’uomo. Ma che in ultima istanza non costituisce affatto un luogo di ripiegamento solipsistico, né costituisce – contro l’enfasi moderna – l’affermazione di una autonomia individuale che basta a se stessa. Dal punto di vista anzitutto antropologico, la ricerca più recente non ha fatto altro che demolire la moderna concezione individualistica, intellettualistica e volontaristica, della coscienza. Approdando alla costitutiva figura dialogica della coscienza umana.

Un'opportunità promettente

Si tratta di una promettente opportunità per la ricerca etica, la quale potrebbe mettere in valore la sua iscrizione immediatamente «civile». Là dove per civile intendiamo – come evidenziava C. Lévi-Strauss – il fatto che le persone ordinarie si muovono «prima di ogni altra cosa» su contatti personali, legami di prossimità, relazioni di vicinato: vero nucleo fondante del civile che l’uomo apprende sia nei villaggi che nei quartieri delle città. Oggi non senza evidenti problemi e contraddizioni. Ma rimane il fatto che il «dato primitivo» non è l’io bensì quella rete di interazioni e di «pratiche» grazie alle quali i fenomeni acquistano un senso nell’esperienza vissuta della persona.

Appare questo l’aggancio fondamentale: la coscienza personale inizia in questo venire al significato della vita vissuta grazie all’interazione tra i cives nostri. Non ci sono cives al di fuori di questa relazione reciproca. L’etica civile dice il venire alla luce della coscienza personale nella reciprocità dei cives. Essa matura e si consolida in questa amicizia, che il civile di fatto (nel bene e nel male) ancora conserva.

La coscienza vive di amicizia-civile. Ed essa vacilla, si smarrisce, ogni volta che questa amicizia viene meno. Civile non è solo la coscienza che sa stare insieme, ma che si nutre di amicizia. E nell’amicizia cerca il bene, oltre l’utile e il piacere, come insegna Aristotele. L’utile e il piacere sono legati all’io, il bene ha il suo ethos nell’amicizia. Ed è sempre un bene-comune. Con un esito impegnativo per la coscienza: «omnia communia sunt». In cui la coscienza scopre di essere ingaggiata, pena il perdere se stessa.

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