b
Blog

Diecimila talenti e cento denari

XXIV domenica del tempo ordinario

 

Sir 27,30-28,7 (gr); Sal 103 (102); Rm 14,7-9; Mt 18,21-35

 

Oggi la liturgia ci propone una via alternativa rispetto al Vangelo di domenica scorsa. Sette giorni fa si era letto: «Se tuo fratello commette una colpa contro di te»; questa frase costituiva allora il preludio a un itinerario aperto verso vari – ma anche tutt’altro che garantiti – tentativi di riconciliazione (Mt 18,15-17). In quei versetti non appariva mai un riferimento al perdono.

L’«altra storia», quella odierna, inizia con la domanda di Pietro: «Signore, se il mio fratello commette colpe [alla lettera «peccherà»] contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?» (Mt 18,21). Le parole dell’apostolo restano nella memoria soprattutto per la misura limitata entro la quale pensano di dover imbrigliare il perdono; tuttavia non va dimenticato che è stata proprio quella domanda a spostare il discorso dalla sfera dell’ammonimento all’atto di perdonare. Le parole di Pietro favoriscono il passaggio a un’altra logica. Trascritta in termini della vita comune, la successione proposta dal Vangelo va, in effetti, capovolta. In Matteo si passa dall’ammonimento al perdono, nelle nostre vite il perdono è invece l’indispensabile precondizione per essere nelle condizioni di ammonire chi ci ha offeso.

Tutta la parte conclusiva del 18° capitolo di Matteo è dominata dalla necessità di conservare una «proporzione» all’interno di una «sproporzione». Anche il «settanta volte sette» umano è solo un piccolo riflesso rispetto all’infinito perdono divino. Di solito la parabola del «servo spietato» è, opportunamente, letta nel segno della «proporzione» contenuta nel Padre nostro: «Rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori» (Mt 6,12; Lc 11,4); «Se voi infatti perdonerete agli altri le loro colpe, il Padre vostro che è nei cieli perdonerà anche a voi; ma se voi non perdonerete agli altri, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe» (Mt 6,14-15). Eppure non bisognerebbe trascurare in essa la presenza della «sproporzione», vale a dire l’enormità del debito che abbiamo nei confronti di Dio; tema un tempo posto, persino in modo ossessivo, al centro della vita di fede e ora in larga misura evaporato come nebbia al sole.

Ai nostri giorni ci si muove all’interno di un paradosso: si crede in un Dio sempre disposto a perdonare, mentre si stempera a tal punto la dimensione del peccato da non essere più consapevoli dell’enormità del debito che abbiamo contratto nei confronti del Padre. Nella parabola le cose non stanno così: il rapporto tra diecimila talenti e cento denari, dicono gli studiosi, è di circa uno a seicentomila. Per quanto grave sia la colpa commessa contro di noi da un altro essere umano, essa è ben piccola cosa rispetto al peccato che si evidenzia quando ci si pone di fronte a Dio.

Ma in che consiste l’enorme quantità di questi diecimila talenti fatti di peccato? Sono debiti. Che significa? I debiti indicano la dimensione della colpa non quando li si contrae, ma quando non li si restituisce. Il nostro peccato rientra più nella dimensione dell’omissione che in quella dell’azione. Davanti a Dio ci cogliamo sempre molto al di sotto di quanto siamo chiamati a essere; di fronte a lui ci avvertiamo lontani dalla condizione che costituirà la nostra salvezza. Per questo necessitiamo di essere perdonati. Rispetto a Dio non si tratta tanto di singole colpe, quanto della nostra condizione di peccatori, mentre nei confronti degli altri è in gioco sempre e solo una serie di colpe specifiche. Il cuore della «sproporzione», sia rispetto alla colpa sia rispetto al perdono, si colloca esattamente in quest’ambito.

Lascia un commento

{{resultMessage}}