b
Blog

Domenica di Pasqua | Una vittoria nonviolenta

At 10,34.37-43; Sal 117 (118); Col 3,1-4; Gv 20,1-9

             Nel quarto Vangelo il primo riferimento alla somma verità di fede della risurrezione è affidato a un racconto molto animato con tre protagonisti: Maria Maddalena, Pietro e il discepolo amato da Gesù (cf. Gv 20,1-9).

            In quelle righe non vi è nulla di assertorio o di dogmatico. Vi è solo la descrizione di un andare e di un venire. La verità più alta della fede è introdotta da una narrazione fatta di personaggi che comunicano il loro preoccupato stupore, corrono e si attendono. È un quadro che ricorda una dinamica normale che può capitare anche a noi; ed è proprio ciò a renderla, paradossalmente, eccezionale. Siamo di fronte all’andamento consueto di chi torna subito indietro per dire: venite a vedere anche voi, ho scorto una realtà inattesa! Gli altri effettivamente si muovono e il più veloce aspetta chi lo segue in modo meno spedito.

            Detto in questi termini il quadretto costituirebbe un’esemplificazione dell’umano bisogno di comunicare. Dietro a quel «vieni a vedere» si scorge la propensione a condividere un’esperienza. Negli essere umani vi è una spinta interiore che ci sollecita a rendere partecipi gli altri. Si è creati per essere in relazione. Dal canto suo, nell’aspettare l’altro si esprime il senso di un’autentica attenzione nei riguardi del prossimo.

            Il racconto di Giovanni si spinge ben al di là di questa dimensione. Esso è ricco di significati simbolici. Tra essi vogliamo inserirne anche uno che, per quanto un po’ libero rispetto alla base testuale, è particolarmente evocativo. La scena proposta da Giovanni può attestare il fatto che la fede, anche ai suoi vertici, non è mai estranea a quanto vi è di autenticamente umano. Dio entra nella vita delle persone per salvarle così come sono. Presentare la risurrezione attraverso un racconto legato a personaggi può significare anche ciò.

            Tra le componenti descrittive, un ampio spazio è concesso al discorso sui teli e sul sudario avvolto in un luogo a parte (cf. Gv 20,6): il Risorto ha lasciato la tomba in ordine. La potenza della risurrezione che ha ridato vita a chi era morto non ha lacerato i tessuti. L’erompere dell’energia ha un passo misurato. Attraverso un quadro che pare presentarsi in modo fin troppo minuto passa un messaggio profondo. I lacci della morte sono vinti, ma non brutalizzati. Il sudario che copriva il volto di Gesù è ripiegato, non stracciato. La risurrezione è una vittoria contro la violenza della morte, non una vittoria violenta.

            La descrizione dei teli e del sudario ha un significato profondo. Esso si richiama direttamente alla comprensione di Gesù proposta dal quarto Vangelo. Per capirlo bisogna rifarsi alla scena dell’uscita dal sepolcro di Lazzaro (cf. Gv 11,45-54). Gesù lo chiama a gran voce, il suo amico esce dalla tomba «piedi e mani legati con bende e il suo viso avvolto nel sudario» (cf. Gv 11,44). Lazzaro non è nelle condizioni di liberarsi da solo, Gesù è invece per Giovanni colui che ha il potere di dare la propria vita e di riprenderla (cf. Gv 10,17-18). Nessuno deve scioglierlo dai lacci. La descrizione dei teli e del sudario è un modo simbolico per far capire chi è il Risorto. Per questo il discepolo amato «vide e credette» (cf. Gv 20,8); aveva finalmente capito che Gesù Cristo doveva risorgere dai morti (cf. Gv 20,10).

 

Osar Kokoschka, Risurrezione, 1916. New York, Metropolitan Museum of Art

Lascia un commento

{{resultMessage}}