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E non dissero niente a nessuno perché erano impaurite

Dal silenzio delle donne al silenzio sulle donne e sul loro vissuto: nel Lezionario del 1969 il racconto della risurrezione secondo Marco, che si proclama nella Veglia pasquale dell’anno B, terminava con il versetto 8 del capitolo 16, che non compare invece in quello del 1981.

Nel racconto della passione, morte e risurrezione di Gesù secondo Marco (quello che abbiamo letto la domenica delle Palme e, per la parte finale, durante la Veglia pasquale appena celebrata) la presenza delle donne è caratterizzata dal silenzio.

Dal silenzio delle donne…

Tace la donna anonima all’inizio del racconto (cf. 14,3-9), ma la sua comunicazione non verbale è ricchissima: viene, e lo fa portando un vasetto pieno di profumo, rompe il vaso e ne versa il contenuto sul capo di Gesù. Non cerca di esprimere con le parole ciò che sicurmente le urge nel cuore; si limita a dei gesti, ma quale pienezza trasmette con essi! Le parole, dice Gesù, le metteranno altri, perché «ovunque sarà proclamato il Vangelo, per il mondo intero, in ricordo di lei si dirà anche quello che ha fatto» (v. 9).

Tacciono le donne sotto la croce (cf. 15,40-41), fedeli compagne di cammino dalla Galilea a Gerusalemme. Non aprono bocca neppure mentre osservano le operazioni di sepoltura di Gesù: stanno zitte e osservano (cf. 15,47).

Poche parole per via, il giorno dopo di buon mattino (16,1-8) e solo le parole per dirsi la preoccupazione in ordine alla pietra. Poi ancora silenzio: alzano lo sguardo, osservano, entrano, vedono, si riempiono di paura, ascoltano le parole loro rivolte e la missione loro affidata. Non commentano, non rispondono, ma escono e fuggono impaurite senza proferire verbo. Un silenzio che l’evangelista, nel versetto finale, sottolinea: «E non dissero niente a nessuno, perché erano impaurite» (16,8).

Il silenzio delle donne al mattino di Pasqua non è di facile lettura, i commentatori ci hanno provato in tanti modi, non sempre favorevoli alle donne. Tuttavia è un silenzio che ci interpella e ci fa riflettere.

Potremmo fermarci a lungo a parlare di questo silenzio ma oggi è un’altra la sottolineatura che ci preme: purtroppo il silenzio delle donne si è trasformato sovente in silenzio “sulle” donne.

… al silenzio sulle donne

Non possiamo passare in rassegna qui tutta la storia dell’esclusione delle donne, del silenzio su di loro. Per segnalare, tuttavia, che questo ha percorso i secoli arrivando fino ai nostri giorni, vogliamo portare un esempio recente.

All’indomani del concilio Vaticano II, nel 1969, allo scopo di offrire – così come troviamo nella Costituzione sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium – «una lettura della sacra Scrittura più abbondante, più varia e meglio scelta» (n. 35) affinché «ai fedeli con maggiore abbondanza, vengano aperti più largamente i tesori della Bibbia in modo che, in un determinato numero di anni, si legga al popolo la maggior parte della sacra Scrittura» (n. 51), sono stati preparati i primi lezionari. Questi ponevano nella Veglia pasquale dell’anno B la pericope dell’evangelista Marco che abbiamo appena citato (cf. 16,1-8).

Nel 1981, allo scopo di migliorare l’offerta del lezionario, e quindi meglio perseguire gli scopi indicati dal Concilio stesso, attraverso aggiunte, omissioni, sostituzioni e spostamenti, è stata approntata l’Editio typica[1] di un nuovo lezionario.

L’edizione in lingua italiana, che ha dovuto tuttavia attendere la revisione della traduzione CEI della sacra Scrittura del 2008, ha reso palesi le varianti apportate nel 1981, tra cui quella alla pericope marciana che, pur rimanendo collocata nella Veglia pasquale, anno B, si è trovata decurtata del versetto finale. Il testo che la liturgia offre ora al popolo di Dio radunato per la Pasqua, quello che abbiamo letto nella Veglia pasquale appena celebrata, è infatti ogni tre anni Mc 16,1-7.

Per quale motivo questa pericope è stata privata della sua, sia pure problematica, conclusione?

Non è facile dare risposta a questo interrogativo esplorando, sia pure con attenzione, riviste e libri. L’unica osservazione è reperibile in una nota pubblicata da Rivista liturgica nel 1983, quindi a distanza di poco tempo dall’uscita dell’edizione latina dei lezionari del 1981. Dentro un’analisi minuziosa e un confronto accurato delle varianti apportate, nel paragrafo riguardante il Triduo pasquale e il Tempo di Pasqua si trova scritto: «Nella Veglia Pasquale gli elementi da segnalare sono puramente formali… La pericope evangelica di Mc 16,1-7 proposta per il ciclo B omette, al contrario di quanto segnalato nei lezionari 1969, la lettura del v. 8. L’ascolto del testo: “Ed esse, uscite, fuggirono via dal sepolcro perché erano piene di timore e di spavento. E non dissero niente a nessuno, perché avevano paura” appare infatti non adeguato, anzi decisamente in contrasto con l’annuncio gioioso della risurrezione, introdotto del resto dal “Non abbiate paura!” del v. 6».

C’è un’espressione, tanto sintetica quanto efficace, che viene utilizzata quando si vuole ricordare lo stretto legame che esiste tra liturgia e fede, tra modo di pregare e modo di credere, un’espressione che afferma: lex orandi, lex credendi; la Chiesa crede come prega, la fonte della professione di fede è la preghiera e la celebrazione eucaristica ne è la forma più alta. Quello che noi andiamo esprimendo e affermando nella preghiera, attraverso i testi biblici e quelli liturgici, va radicandosi nella nostra esistenza e lo fa per via sperimentale piuttosto che concettuale, poiché sintonizza tutta la persona, investendone non solo la ragione ma tutte le facoltà sperimentali e la sfera affettiva.

Decurtare quindi una pericope della sua conclusione equivale a far passare alcune idee: quel testo non ha bisogno dell’ultimo versetto, perché in sé è completo anche senza; quel versetto anzi – stando al commento di cui sopra – depista l’ascoltatore dalla corretta comprensione che è di tono gioioso; l’ultimo versetto è addirittura inadeguato, fuori luogo, in contrasto; il comportamento delle donne è troppo sconcertante e inatteso, ci mette in difficoltà, crea più domande di quante siano le risposte che chi deve preparare l’omelia è in grado di dare…

La finale di Marco, nel momento in cui si voglia cercarne una lettura che non sia esplicitamente misogina, mette in difficoltà e la soluzione più semplice diventa nasconderla, comportarsi come se non ci fosse. Ma la liturgia è l’unico luogo oggi, per tante persone, di ascolto della parola di Dio, di incontro con i Vangeli. Eliminare un versetto da un brano centrale equivale a privare molti della possibilità di conoscerlo.

Le donne, con il loro comportamento, ci hanno costretti a pensare; togliere di mezzo questo versetto forse ci fa pensare meno, ma rappresenta un torto alle donne di tutti i tempi, alle tante discepole che, ancora oggi, cercano di seguire Gesù, riflettendo – dunque interrogando, dubitando, temendo, amando… – sul mistero della sua risurrezione dai morti.

 

[1] Cioè l’edizione latina valida per tutte le diocesi del mondo.

 

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Commenti

  • 09/04/2018 tinki2@virgilio.it

    In effetti la decurtazione fa capire il timore che suscitano domande a cui non si può dare risposte immediate e precise. E' il timore di un pensiero altro. Grazie dell'articolo. Emanuela Marsura

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