b
Blog

Fango. La salute è in gioco

La storia dei drammi idrogeologici di Genova intreccia da sempre ponti e fango. Singolare è però l’ultima (e molto discreta) di queste accoppiate, annidata nel decreto sul ponte Morandi all’articolo 41, per «risolvere alcune criticità» della gestione dei fanghi di depurazione. Criticità «risolte» con una temporanea deregolamentazione di fatto, rispetto alla presenza di idrocarburi pesanti nei fanghi che la legge consente di spandere in agricoltura.

I rischi per la salute e l'ambiente 

Anello importante di un’economia circolare potenzialmente virtuosa, la questione fanghi ha visto impantanate negli ultimi mesi alcune regioni del Nord (più di tutte la Lombardia), con intere filiere dello smaltimento bloccate a causa di contraddittorie delibere regionali e sentenze della giustizia amministrativa: le prime tese a innalzare di molto i limiti di presenza degli idrocarburi, per consentire alle aziende del settore un lavoro più agevole, le seconde invece impegnate ad applicare un rigoroso principio di precauzione, fermando di fatto lo smaltimento e accumulando fanghi in condizioni – va detto – di una certa criticità anche ambientale.

Anzitutto quindi è stato un problema di competenze, che però rivela due cose. La prima è che da una parte la giustizia può essere a volte poco sensibile alle esigenze del mondo produttivo, con parametri eccessivamente precauzionali. E la seconda è che gli enti locali sembrano in certi casi più accomodanti verso istanze di profitti particolari di quanto non si sentano vincolati a garanzie per la salute pubblica. Ma è proprio alla salute pubblica che invece s’ispirano anzitutto i giudici.

Tutto questo poi avviene in presenza di indicazioni europee già operanti, relative ai marker di cancerogenicità da utilizzare. Ma – rivela l’ARPA della Lombardia – circa il 70% dei campionamenti, effettuati dalle aziende interessate in assenza di controlli di terzi, non risulta corretto.

La finestra aperta dal decreto Genova determina sforamenti possibili e meno rigorosamente controllabili, individuando sì valori soglia, ma calcolati non sulla parte secca poi sversata in agricoltura, bensì sul «tal quale», cioè sul fango così come esce dal depuratore. Che cosa significa? Vuol dire che, se per una stima – di per sé appropriata – la parte secca sarà mediamente pari al 25%, altrettanto mediamente la presenza di idrocarburi risulterà contenuta a livelli inferiori rispetto alla delibera lombarda.

Una domanda etica

Tuttavia la possibilità di diluire ulteriormente con parte liquida i fanghi campionati per le misure («tal quali»), in un settore a oggi privo di controlli terzi sistematici, consentirebbe di sversare idrocarburi in quantità decisamente maggiore a quei soggetti che, per difficoltà tecniche o interessi ecomafiosi, intendessero aggirare i parametri: il tutto con un costo in termini di salute pagato dai consumatori di prodotti agricoli.

«Fango è la vita», conclude amaramente Leopardi, ma di fango – ci ricorda Genesi – siamo anche plasmati. Sicuramente dal fango arriva ciò che mangiamo (scrive K. Capek che il giardiniere coltiva suolo, non fiori), e l’ambivalenza di una simbologia diventa qui una domanda etica che esige risposte al crocevia tra economia e politica.

Per evitare di infangare la qualità delle produzioni agroalimentari e la credibilità di un segmento così sensibile dell’economia circolare quale la lavorazione di rifiuti speciali, urgono una regolamentazione più chiara e sicura della materia, un sistema più stringente di incentivi/sanzioni a monte (lì dove, specie nelle grandi aree urbane, ancora ingenti quantità di idrocarburi finiscono nelle acque reflue) e rigorosi controlli dei campionamenti in filiera.

Lascia un commento

{{resultMessage}}