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Fratelli tutti: un’enciclica per la pace

Se Laudato si’ poteva essere detta un’enciclica per la terra, Fratelli tutti rimanda piuttosto alla pace, radicandola nel grande tema della fraternità e della carità.

Se Laudato si’ indicava come importante fonte di ispirazione il patriarca ecumenico Bartolomeo di Costantinopoli, qui il riferimento si allarga ancora, persino al di là del mondo cristiano, rimandando al grande imam Ahmad Al-Tayyeb e al testo con lui siglato ad Abu Dhabi, di cui l’enciclica «raccoglie e sviluppa grandi temi» (n. 5).

San Francesco e altri fratelli

Permane, invece, il riferimento a Francesco d’Assisi, da cui è tratto l’incipit del testo («“Fratelli tutti”, scriveva san Francesco d’Assisi per rivolgersi a tutti i fratelli e le sorelle e proporre loro una forma di vita dal sapore di Vangelo», n. 1), ma anche la concreta indicazione di un rapporto con l’alterità nel segno del rispetto e del dialogo (la memoria della sua visita al sultano Malik-al-Kamil in Egitto, al n. 3).

Ne emerge l’indicazione di una «fraternità aperta, che permette di riconoscere, apprezzare e amare ogni persona al di là della vicinanza fisica, al di là del luogo del mondo dove è nata o dove abita» (n. 1). 

Un’ispirazione che, nelle conclusioni, Francesco ribadisce di avere tratto dal Santo di Assisi, ma «anche da altri fratelli che non sono cattolici: Martin Luther King, Desmond Tutu, il Mahatma Gandhi» e da «un’altra persona di profonda fede (...), il beato Charles de Foucauld» (n. 286).

In poche parole egli riconosce un debito che lo pone in rapporto con alcune delle grandi tradizioni spirituali ed etiche dell’umanità, a disegnare ancora una volta un pensiero profondamente cattolico e al contempo pronto a interpellare uomini e donne.

Lo confermano del resto le preghiere che concludono l’enciclica: ancora una volta due, la prima rivolta al Creatore, la seconda cristiana ecumenica, carica di valenze trinitarie. Come già in Laudato si’, la volontà di apertura e di dialogo non si traduce, dunque, in alcun modo in dismissione di ciò che è specifico della tradizione cristiana: «Altri bevono ad altre fonti. Per noi, questa sorgente di dignità umana e di fraternità sta nel Vangelo di Gesù Cristo» (n. 277). Al contrario trova in esso salde radici, per declinarsi peraltro in parole condivisibili anche da chi in tale tradizione non si riconosce. Torna alla mente la Pacem in Terris di Giovanni XXIII, con il suo impegno a tradurre la densità del biblico shalom nel linguaggio – così laico e aconfessionale – dei diritti umani.

Antropologia relazionale

Fratelli tutti – lo dichiara lo stesso Francesco – è anche il frutto delle meditazioni del tempo della pandemia, che hanno mostrato un mondo interconnesso e al contempo lacerato da violenza, indifferenza all’altro e competizione: un mondo chiuso (c. I).

Dinanzi a esso il pontefice rimanda a un riferimento evangelico carico di valenza etico-teologica, come la parabola del buon samaritano (c. II): là egli coglie l’icona di un rapporto con l’alterità che non la vive come minaccia o nel segno della distanza indifferente, ma che si carica di positiva passione e di cura.

Non a caso egli rimanda al testo di Gaudium et spes, n. 24, a ritrovare quell’antropologia relazionale che i padri conciliari attingevano da una lettura sapiente del Vangelo: non nel ripiegamento su di sé, ma nel rapporto vivo con l’alterità, l’essere umano ritrova se stesso, in una pratica di dono e di servizio. 

Proprio a partire da tale nocciolo densamente teologico, ampiamente evocato da testi dell’uno e dell’altro Testamento (e della tradizione ebraica con un riferimento talmudico a Rabbi Hillel al n. 59), il pontefice affronta nei capitoli successivi alcuni dei grandi nodi della convivenza contemporanea.

La sfida è quella di disegnare una via diversa da facili populismi nazionalisti e da liberismi individualisti, da relativismi che rinunciano alla ricerca della verità e da assolutismi generatori di violenza. Emerge un’idea di popolo e di comunità in cui la rete di legami e il tessuto di valori concretamente sperimentati crea cultura e un’amicizia sociale forte, ma non per questo rende impermeabili alle altre culture; è al contrario la stessa fraternità – anche proprio nella sua dimensione di universalità – a trovare alimento in essi.

Il radicamento locale non va dunque contrapposto a una responsabile apertura globale: sono piuttosto poli di riferimento complementari, ambedue necessari al nostro essere relazionale.

Un lessico della fraternità

Tornano così fin dai titoli dei capitoli parole come apertura (contrapposta alle ombre della chiusura), incontro (c. VII), dialogo (c. VI), a indicare una via che interessa il cuore e la pratica – in particolare quella della «migliore politica» (c. IV) – ma anche l’essere stesso delle religioni (c. VIII).

Dovremo tornare ampiamente su questi temi, che sarebbe impossibile affrontare in poche righe; alcuni elementi meritano però fin d’ora di essere segnalati.

Penso in particolare alla forte attenzione per le persone migranti, nei confronti della quali egli ripropone i quattro verbi «accogliere, proteggere, promuovere e integrare» (n. 129): le frontiere non possono porre limiti alla fraternità e c’è un bene comune che va al di là di esse.

Penso ancor più alla condanna della guerra (nn. 256-262) e della pena di morte (nn. 263-270), accomunate sotto lo stigma della negazione violenta dell’alterità. 

Ancora una volta da Francesco viene una parola potente e coraggiosa, che merita di essere letta e ascoltata in tutta la sua densità, senza cedere alla tentazione di limitarsi a pochi spunti giornalistici.

Solo un appunto verrebbe da fare: forse una maggior attenzione per la dimensione complementare della sororità avrebbe arricchito un testo che sul versante delle relazioni di genere sembra avere decisamente meno spunti da offrire. La lungimiranza inclusiva della parola di Francesco – così efficace nel disegnare indicazioni importanti per il vissuto di una società plurale e interconnessa – avrebbe forse potuto esplorare meglio anche quest’area, così delicata.

 

Simone Morandini è coordinatore del progetto «Etica, teologia, filosofia» della Fondazione Lanza e insegna all’Istituto di studi ecumenici San Bernardino di Venezia; è coordinatore del blog Moralia.

Commenti

  • 27/10/2020 A.T.

    Condivido molto la riflessione finale: invisibilità delle donne! Semplicemente non esistono. Per un testo che parla di dialogo, apertura all'altro... diverso, non una parola sull'altra... diversa: la prima alterità, così radicata da non essere neanche vista. Eppure è già da un po' che le donne alzano la voce, ma questa va a sbattere contro un muro di gomma... amo e sostengo papa Francesco, ma qui ha il fiato un po' corto.

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