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Giuseppe, il giusto

IV domenica di Avvento

Is 7,10-14; Sal 24 (23); Rm 1,1-7; Mt 1,18-24 

In due momenti chiave della sua vita, Gesù ha vicino uomini che non parlano.

Il primo - e di certo il più importante - è Giuseppe, che lo accoglie alla nascita e lo cresce nei cosiddetti «anni oscuri». Il secondo compare quando Gesù è in vista della sua morte, ed è Lazzaro di Betania. Di nessuno dei due sappiamo alcunché quanto alla loro vita e, benché siano importanti ai fini della storia, non abbiamo nessuna loro parola. Scompaiono dalle pagine degli Evangeli così come sono apparsi.

Giuseppe ha però una sua peculiarità: sogna. Come altri grandi personaggi del Primo Testamento può leggere la realtà e prendere decisioni in base ai sogni. Così Giacobbe (cf. Gen 28,10-22) e il figlio di lui Giuseppe, che chiude il ciclo delle storie del padre (cf. Gen 37-50). Egli è anzi definito dai fratelli baʿal haḥalomot, alla lettera «signore dei sogni» (cf. Gen 37,19).

Nel mondo antico il sogno era un fenomeno che veniva preso molto sul serio, quasi fosse una rivelazione in tono minore, tanto che esistevano veri e propri interpreti dei sogni in alcune culture (cf. Gen 41,8), non però nel mondo da cui proviene la Bibbia, secondo la quale – e l’antico Giuseppe lo sa – solo a Dio appartiene l’interpretazione (cf. Gen 41,16).

Nel caso che ci riguarda, all’inizio dell’Evangelo secondo Matteo, l’interpretazione non è necessaria: Giuseppe riceve due sogni, rispettivamente prima e subito dopo la nascita di Gesù, che semmai interpretano la realtà e lo aiutano a prendere difficili decisioni. Sono talmente chiari, alla luce dei fatti, che egli passa subito all’azione senza parlare, come aveva fatto Abramo (cf.Gen 12,4).

Si potrebbe dire che, se da una parte Matteo fa risalire la genealogia di Giuseppe al primo dei patriarchi (cf. Mt 1,1.17), Giuseppe affonda veramente le sue radici nelle loro storie e che, come il Battista è l’ultimo dei profeti, egli è l’ultimo patriarca che corona, col suo modo di essere e di agire, la serie degli uomini delle promesse. Ma conviene fermarsi ancora sul tema del sogno, che è peculiare di Mt 1-2.

Preoccupato del come regolarsi con Maria, Giuseppe riceve infatti un sogno il cui centro di interesse è «il bambino che è generato in lei» e il nome da dargli, Gesù.

A questo nome se ne aggiunge un secondo come riferimento alla profezia di Isaia. Il bambino quindi sarà Jeshuaʿ e ʿImmanu’el, ossia «Dio salva» e «Dio con noi». Il primo è un nome di grande significato, ma diffuso e comune; il secondo chiarisce «come» Dio salva.

Egli è il Dio-con-noi, nome che in qualche modo torna in Mt 28:20, quando Gesù si congeda dai suoi. In questo modo Matteo ci dà la chiave di lettura del suo Evangelo riprendendo in questo anche la rivelazione del Nome a Mosè (cf. Es 3,12).

In poche righe troviamo dunque riepilogata tutta la storia della salvezza dai patriarchi, all’esodo, ai profeti. E tutto si ricapitola nel «bambino che è generato in lei».

In linea generale però il sogno, come anche ogni segno, esige un’interpretazione. La Bibbia è molto attenta a evitare magismi. Vuole, semmai, un esercizio di intelligenza e di memoria che sostengano la giusta comprensione di questi fenomeni.

Infine un dettaglio: Luca affida il nome del bambino alla madre, così come matrilineare ne è la genealogia, Matteo fa riferimento a quello che sarà, per tutti, il padre. All’epoca forse ancora non valeva per gli ebrei il criterio della mater semper certa e Gesù tuttavia non parla mai del padre adottivo. Il silenzio di Giuseppe è anche silenzio su Giuseppe, che in Matteo scompare dalla scena al ritorno dall’Egitto, mentre in Luca appare brevemente, e ancora senza parlare, nell’episodio del fanciullo Gesù nel Tempio (Lc 2,41-50).

Del resto Giuseppe è un «giusto» (cf. Mt 1,19) e la funzione dei giusti nell’economia della salvezza è quella di mantenersi fedeli all’alleanza, di esserne quasi una memoria vivente, di parlare con il loro retto agire improntato alla misericordia di Dio, realizzando l’invito alla santità (cf. Lv 19,2) e alla giustizia più volte ripetuto, che il midrash parafrasa: «Come io sono misericordioso nei cieli siate voi misericordiosi sulla terra».

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