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Il granello di senape

XI domenica del tempo ordinario

Ez 17,22-24; Sal 92 (91); 2Cor 5,6-10; Mc 4,26-34

Secondo il Vangelo di Marco, Gesù inizia il proprio insegnamento espresso in parabole parlando alle folle da una barca ormeggiata sul mar di Galilea (Mc 4,2). Finito di parlare, la sera di quello stesso giorno, rivolto ai discepoli, disse: «Passiamo all’altra riva» (Mc 5,35), cioè verso Gerasa, nel territorio della Decapoli (Mc 5,1).

Le parabole sono pronunciate a distanza e preludono a un ulteriore allontanamento; esse costituiscono una forma di comunicazione sospesa tra due sponde: da un lato c’è la folla che ascolta senza decifrare appieno il senso di quanto da lei udito, dall’altro ci sono i discepoli a cui è dato di comprendere. Il tema, sviluppato in Matteo (cf. 13,3-23), è già presente in Marco: «Senza parabole non parlava loro ma, in privato, ai discepoli spiegava ogni cosa» (Mc 4,34). In precedenza, in modo ancor più esteso, si era detto: «A voi è stato dato il mistero del regno di Dio; per quelli di fuori tutto avviene in parabole» (Mc 4,11).

La forma parabolica contraddistingue una fase della vita pubblica di Gesù già molto diversa da quella dell’annuncio diretto con cui iniziò la sua predicazione. Sono passati solo pochi capitoli, ma il clima è diventato molto differente. Non si proclama più: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al Vangelo» (Mc 1,14). In principio l’invito era rivolto a ognuno e si parlava di Regno che sta per venire e non già di una realtà che cresce a poco a poco.

Le parabole non sono allegorie in cui a ogni particolare si deve attribuire anche un senso «altro». In esse la difficoltà non si trova nel rendere trasparenti le immagini. Il loro senso ambivalente sta tanto nella forma quanto nel loro venire dopo l’annuncio del Regno rivolto a tutti. Per il loro semplice esserci le parabole segnano una specie di «rimpicciolimento». L’immagine del chicco di senape ben s’attaglia a questo processo. Il seme è la parabola stessa nella quale si è nascosto l’annuncio del Regno. Il chicco rappresenta anche il piccolo gruppo dei discepoli, i soli ai quali è «dato il mistero del regno di Dio» (Mc 4,11).

Il chicco di senape sono i Dodici. Essi formano un piccolo numero rispetto alla folla che ascolta senza ben comprendere. L’annuncio diretto proposto da Gesù non è stato ascoltato; per questo egli ora lo affida ai discepoli. Tutto diviene più lento: molto seme va disperso o cresce stentatamente (cf. Mc 4,3-7), solo un resto darà frutto abbondante (Mc 4,8). La speranza ora è affidata al chicco di senape, vale a dire a una realtà che, nonostante la sua piccolezza, è in grado di crescere.

Tuttavia bisogna sempre tener presente che non si trattò della realtà iniziale. In principio c’era non il seme della parabola ma l’albero del buon annuncio del Regno. Vi è una diminuzione, ma ciò non comporta la fine di ogni speranza, visto che al piccolo resto è concesso di crescere. Si tratta di un’esperienza che nella vita della Chiesa ha avuto luogo varie volte e che oggi comprendiamo più che in altre epoche.

Se il diminuire conducesse all’estinzione non ci sarebbe via di uscita. La speranza invece non scompare se assume l’aspetto, umile ma non vinto, del granello di senape. Tuttavia forti sono ancora le resistenze nella Chiesa a pensarsi come minuscoli semi, troppo spesso ci si crede ancora alberi senza accorgersi che rami, fusto e radici si stanno seccando. Nella nostra società i credenti sono una minoranza. A elaborare questa prospettiva sono oggi soprattutto gruppi di orientamento esclusivistico e tradizionalista; occorre invece che la prospettiva sia consapevolmente assunta, sotto un’angolatura ben diversa, anche da coloro che prendono a modello il chicco di senape.

 

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