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Immacolata concezione di Maria | Una solennità poco compresa

Il commento di Piero Stefani alle letture della solennità dell'Immacolata concezione di Maria, 8 dicembre 2016

Gen 3,9-15.20; Sal 97 (98); Ef 1,3-6.11-12; Lc 1,26-38
Un mistero poco compreso

Alle spalle di precomprensioni errate opera l’ignoranza. Non basta però fermarsi a questa prima, inoppugnabile constatazione. Occorre spingersi più in là, e domandarsi perché la non conoscenza si addensi proprio su quell’argomento e non su un altro.

L’«immacolata concezione» è un esempio lampante di questa situazione. La maggior parte delle persone, a cui il termine non sia ignoto, ritiene che riguardi il concepimento verginale da parte di Maria, e non già il suo essere nata senza peccato originale. Ciò non dipende certo dal fatto che la liturgia proponga come Vangelo il racconto dell’annunciazione (Lc 1,26-38) e non già quello della nascita di Maria conservato solo nei Vangeli apocrifi. Le ragioni sono altre. Tra esse primeggiano da un lato l’antica convinzione cattolica che attribuisce una visione solamente funzionale alla sessualità, e dall’altro la difficoltà di dare credito alla visione dogmatica che sta dietro a questa solennità. In definitiva in questo comune fraintendimento operano vecchi residui e nuove difficoltà.

Nell’insegnamento cattolico la rivalutazione di una sessualità coniugale anche non connessa in modo diretto alla procreazione è prospettiva relativamente recente. È stato un cambio di orizzonte, che ha dischiuso una serie di questioni in precedenza inimmaginabili. Per essere solo apparentemente banali, il ragionamento che si fa è, su per giù, riconducibile a questi termini: se la sessualità è una realtà buona e potentemente inscritta nel nostro essere, perché va esercitata solo nell’ambito matrimoniale? Perché mai occorre un sacramento per trasformare in atto buono un comportamento che prima avrebbe comportato un peccato? La risposta a simili interrogativi, siano o non siano posti, è affidata a una prassi che, pure nell’ambito dei credenti, si attiene sempre meno, o non si conforma affatto, alle norme in linea di principio ancora valide.

L’altro pregiudizio riguarda il sacramento del battesimo e il suo legame con il peccato originale. Un tempo era credenza comune che la creatura umana nascesse bisognosa di una salvezza soprannaturale, e che solo il battesimo la mettesse nelle condizioni di godere della vita eterna; per questo motivo ci si affrettava a battezzare i neonati. Ora la convinzione, almeno espressa in questi termini, si è dissolta. È divenuto perciò difficile credere che solo Maria sia nata senza peccato originale, quando non si scorge traccia di esso né nel proprio figlio appena nato, né in figli o nipoti che crescono non battezzati ma circondati da affetto ricevuto e dato.

La solennità resta perciò, nei suoi contenuti, poco compresa. Molti, quindi, continuano ad assumere l’«immacolata concezione» come sinonimo di «concepimento verginale». Stando così le cose, forse un modo pastoralmente adeguato per celebrare questa solennità sarebbe proprio quello di assumerla come occasione per ripensare a fondo il senso del nostro battesimo. Vale a dire giudicarla un’opportunità per guardare, paradossalmente, a quel che Maria non fu.

In virtù della sua unicità, ella non ebbe bisogno dell’atto che sigilla il nostro essere credenti. Tuttavia è proprio il sacramento del battesimo a renderci simili a lei. Quello che ci accomuna è la fede che Maria ebbe, e che il battesimo presuppone. Riflettere sul significato autentico del battesimo comporta dunque pensare sia al vero senso della fede, sia all’opera di salvezza compiuta da Dio in Maria.

 

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