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Indegno di slegare il sandalo

III domenica di Avvento

Is 61,1-2.10-11; Lc 1,46-54; 1Ts 5,16-24; Gv 1,6-8.19-28

 

Il Vangelo di questa domenica si ferma sulla soglia. Ancora un versetto e si sarebbe compreso quanto ora è sottaciuto; ma forse è bene che sia così: la sospensione è consona a chi è ancora nell’attesa.

Nella prospettiva di tutti e quattro i Vangeli, farsi un’immagine di Giovanni Battista equivale a confrontarsi con la persona prima seguita e poi abbandonata da Gesù. Per cercare di capire questo rapporto, stretto ma anche interrotto, occorre comprendere cosa s’intendeva per battesimo nel contesto giudaico dell’epoca. La storia del battesimo s’intreccia con le abluzioni rituali che in Israele caratterizzavano la preparazione dell’offerta dei sacrifici da parte dei sacerdoti (cf. Es 40,12-15). Esse erano particolarmente intense in relazione al Giorno dell’Espiazione (Yom Kippur), la solennità in cui si attuava la grande purificazione rituale volta a sanare le mancanze compiute nel culto. A poco a poco le acque lustrali estesero il loro simbolismo pure sul versante etico. La purificazione, oltre al rito, cominciò a coinvolgere la sfera del peccato personale e collettivo. Il linguaggio profetico si sarebbe attestato su questa posizione. Lo stesso vale per Giovanni.

«Vi aspergerò con acqua pura e sarete purificati» (Ez 36,25). Il lessico del rito ora viene dilatato fino a indicare una promessa di purificazione definitiva, compiuta dal Signore stesso. L’acqua diventa simbolo multiplo: oltre alla purità rituale e alle ripetute purificazioni per i peccati, essa allude all’atto finale compiuto da Dio, grazie al quale verrà cancellata ogni colpa. L’aspersione diviene l’immediata premessa al tempo della piena salvezza.

Giovanni giudicava il peccato una realtà che colpiva e ledeva l’intera persona. La maggior parte degli ebrei suoi contemporanei era convinta che il pentimento, seguito da un modo di agire conforme a giustizia, fosse un passaggio obbligato per ottenere la salvezza. Non tutti però ritenevano che questa pratica dovesse, secondo la proposta del Battista, essere accompagnata da un’immersione in acque purificatrici. Con ogni probabilità Giovanni credeva nell’esistenza di un’impurità conseguente al peccato che, al pari di tutte le altre, sarebbe stata eliminata solo grazie a un rito di purificazione. L’interiore e l’esteriore si univano per essere entrambi pronti all’incontro con Dio. I quattro Vangeli non erano nelle condizioni di recepire integralmente questa prospettiva. All’orizzonte stava per comparire Gesù.

Se il battesimo di Giovanni comportava la confessione dei propri peccati, si comprende la difficoltà di motivare la ragione per la quale Gesù si fece battezzare nel Giordano. Aveva, forse, anche lui motivo di pentirsi?

L’ostacolo viene affrontato in modi diversi a seconda dei Vangeli. Il più radicale fra essi è il quarto il quale, a differenza dei Sinottici, decide d’ignorare semplicemente il fatto: Giovanni battezza ma Gesù non si fa battezzare. Il battesimo riguarda noi, non lui. In ciò è contenuta la profonda verità secondo la quale la via della metanoia (penitente mutamento di mentalità) ci tocca sempre in prima persona. Essa è la strada obbligata per giungere a incontrare Dio, che ora si fa presenza nel Figlio suo venuto nel mondo. Proprio di ciò Giovanni diviene il testimone.

Il centro dell’attenzione si sposta su Gesù. Varcata la soglia, troviamo ora il versetto in cui Giovanni viene descritto come colui che addita Gesù quale agnello di Dio che toglie il peccato del mondo (cf. Gv 1,29). Basta questa riga per comprendere che a compiere l’autentico perdono dei peccati non è il battesimo amministrato al Giordano. A togliere il peccato sarebbe stato colui a cui Giovanni si dichiara indegno di slegare il laccio del sandalo (cf. Gv 1,27).

 

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