b
Blog

IV domenica di Quaresima | L’illuminazione del battesimo

1Sam 16,1.4.6-7.10-13; Sal 22 (23); Ef 5,8-14; Gv 9,1-41

            L’episodio del cieco nato è un segno, così come lo sono tutti i «miracoli» di cui parla Giovanni. È infatti tipico del quarto Vangelo ricorrere alla parola semeion («segno»). La prima volta avvenne a Cana (cf. Gv 2,11). Il termine è usato anche nel Vangelo di questa settimana, a proposito della guarigione del cieco nato (cf. Gv 9,16). Segno di che cosa? Sempre e comunque dell’operare del Figlio; ma nelle varie occasioni il significato della parola si determina via via con più precisione.

            A differenza di quanto avviene negli altri Vangeli, il cieco non è guarito perché grida di essere aiutato, non lo è neppure a motivo della sua fede (cf. Mc 10,46-52). È Gesù a prendere l’iniziativa senza essere supplicato. Lo fa perché siano manifestate le opere di Dio (cf. Gv 9,3). Nel «segno» si celebra la precedenza dell’operare del Figlio. Gesù fa del fango con la terra e la propria saliva, lo spalma sugli occhi del cieco e poi gli ordina di andarsi a lavare alla piscina di Siloe. Nell’etimo di quest’ultima parola c’è il senso di «inviato», termine applicato da Giovanni proprio a Gesù (cf. Gv 4,34).

            Inoltre si trattava della fonte dalla quale si attingeva l’acqua per le libagioni per la festa delle Capanne; circostanza che sarebbe servita a Gesù per riferirsi a un’acqua viva che simboleggiava il dono dello Spirito (cf. Gv 7,38-39). Si riacquista la vista a opera del Figlio inviato nel mondo e il suo suggello è un’acqua che rappresenta il dono dello Spirito.

            Oltre all’ordine di lavarsi in quella piscina vi è anche il gesto precedente, nel quale Gesù forma del fango non già con acqua ma con la propria saliva (vale a dire con qualcosa che esce dalla sua bocca). Il gesto richiama, con ogni evidenza, l’atto iniziale di Dio, che plasmò l’Adam (uomo) con la polvere del suolo e soffiò nelle sue nari un alito di vita (cf. Gen 2,27). Quello compiuto da Gesù è un atto creativo che, per definizione, precede ogni umana richiesta. All’inizio c’è sempre l’iniziativa di Dio. In termini teologici si potrebbe affermare che ciò rientra nella sfera della grazia.

            Di quale vita è segno la guarigione del cieco? Della nascita dall’acqua e dallo Spirito di cui Gesù aveva parlato nel colloquio notturno con Nicodemo (cf. Gv 3,5). Il buio della notte e quello della cecità sono sconfitti dalla rinascita battesimale. Si legge nel Catechismo della Chiesa cattolica (n. 1216): «”Questo lavacro è chiamato illuminazione, perché coloro che ricevono questo insegnamento [catechistico] vengono illuminati nella mente” (Giustino, Apologia I, 61, 12). Poiché nel battesimo ha ricevuto il Verbo, “la luce vera che illumina ogni uomo” (Gv 1,9), il battezzato, dopo essere stato “illuminato”, è divenuto “figlio della luce” (Veglia pasquale, benedizione dell’acqua battesimale) e “luce” egli stesso (Ef 5,8)».

            Il battesimo implica che la nascita nel seno di nostra madre non ci dà occhi sufficienti per vedere la luce di Dio. Per farlo occorre rinascere in acqua e Spirito. Tuttavia è vero che, nonostante quanto si è detto a proposito della grazia, il battesimo sacramentale, per i credenti, presuppone la fede. Per questo va chiesto. Non è però la nostra fede a compiere da sola la nuova nascita. Fin dalla quarta domenica di Quaresima gli occhi si dischiudono per guardare alla Veglia di Pasqua e alle sue luci al fine di riscoprire e rinnovare il senso del nostro battesimo.

 

Lascia un commento

{{resultMessage}}