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La glorificazione del nome

V domenica di Quaresima

Ger 31,31-34; Sal 51 (50); Eb 5,7-9; Gv 12,20-33

Nel brano di Vangelo di questa domenica è contenuta la preghiera rivolta da Gesù al Padre perché egli glorifichi il proprio nome (cf. Gv 12,28). Ci si può chiedere: essa è in qualche modo l’equivalente del quarto Vangelo alla richiesta contenuta nel Padre nostro (testo sconosciuto a Giovanni), che chiede «sia santificato il tuo nome» (Mt 6,9; Lc 11,2)?

Gli ambiti sono marcatamente diversi. In Giovanni la dimensione pasquale è posta al centro, mentre non è presente nella «preghiera che Gesù ci ha insegnato». In virtù della Pasqua, nel quarto Vangelo (ma non nel Padre nostro) il nome è collegato a Gesù, anzi è Gesù stesso. Tuttavia tra le due domande sussistono pure alcune non trascurabili affinità. La santificazione e la glorificazione del nome comportano entrambe l’esistenza di un riconoscimento nell’ambito del mondo, e per comprenderlo bisogna rivolgersi anche ai profeti.

Vi è un passo del c. 36 di Ezechiele che può riassumersi pressappoco in questi termini: voi profanate il nome del Signore fra le genti quando il vostro comportamento si contrappone a quello conforme ai precetti del Signore. Si potrebbe perciò ironicamente affermare che a noi è dato il privilegio di profanarlo, mentre non ci è concesso fino in fondo quello di santificarlo.

Ezechiele infatti afferma che è il Signore stesso a rivendicare a sé la santificazione del proprio nome: l’atto di santificare è opera sua. Per così dire, l’uomo può imbrattare, ma è solo Dio che può far risplendere: «Santificherò il mio nome grande profanato fra le nazioni, profanato da voi in mezzo a loro» (Ez 36,22). Il Signore santificherà il proprio nome agendo e manifestandosi.

C’è un riferimento decisivo per capire il contesto, si tratta del richiamo alle genti (termine tradotto dalla CEI con «nazioni»): avete profanato il mio nome tra le genti, mentre io lo santificherò in mezzo a loro. Le genti sono i goyìm, vale a dire i non ebrei. Se il popolo d’Israele tradisce, il Signore non è riconosciuto, perciò il suo nome è profanato. Dio quindi sarà costretto a intervenire in prima persona; se invece il popolo testimonia la propria fedeltà, il nome del Signore d’Israele sarà santificato anche in virtù dell’azione umana. Nel quarto Vangelo, attraverso la pasqua, la santificazione diviene glorificazione.

Il passo di Giovanni inizia con un riferimento ai greci; siamo di nuovo nell’ambito delle nazioni (cf. Gv 12,20-21). Soltanto che adesso la via della glorificazione è diversa; ora essa passa attraverso la pasqua di Gesù. Si realizza così l’economia del grano, che dà frutto solo se muore (cf. Gv 12,24). Proprio la fecondità del chicco che muore fa sì che la glorificazione del nome del Padre coincida con quella del Figlio stesso: «È venuta l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato» (Gv 12,23).

In questo senso l’evento pasquale è unico e perciò universale: «E io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me» (Gv 12,33). L’espressione sta a indicare un riferimento paragonabile a quanto Giovanni aveva detto poco prima parlando di altre pecore, non ancora rinchiuse nello stesso recinto ma chiamate a essere radunate dall’unico pastore affinché si formi un solo gregge (cf. Gv 18,16). Il gregge e il «tutti» comprende tanto gli ebrei quanto i gentili.

 

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