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L’etica oltre la sessualità: il caso di Torino

Una bambina di undici anni abusata sessualmente resta incinta. È nigeriana come il suo stupratore di ventiquattro anni più vecchio di lei. Quando la mamma della piccola se ne accorge, a causa di un rigonfiamento della pancia, la porta in ospedale e, d’accordo con i medici, si procede con l’interruzione di gravidanza. Il tutto si consuma a Torino in un quartiere di periferia. Questa la cronaca di un fatto drammatico che coinvolge persone diverse e vede azioni ignobili in un’escalation di violenza.

Reazioni e questioni etiche

Le reazioni sono innumerevoli e sdegnate. Chiedono la castrazione fisica dello stupratore, un recrudimento della legislazione considerata troppo blanda nel punire il reo, applaudono alla soluzione abortiva come unica soluzione per superare il problema.

È sconcertante che nessuno spenda una parola per il bimbo innocente di quasi sei mesi cui non è stato permesso di vedere la luce. Allo stesso modo nessuno si ferma a riflettere sul degrado umano che coinvolge tutti gli attori di questa tristissima vicenda. Del resto neppure ci si indigna del fatto che nella civile ed evoluta Italia il lavoro obblighi dei genitori a lasciare la notte i propri figli piccoli in casa di estranei.

Da un punto di vista etico le questioni sono molte e complesse ben oltre l’aspetto sessuale. Come cercare di orientarsi? Quali criteri e principi seguire? In concreto: che cosa è bene fare? Difficile una risposta univoca, chiara, capace di distinguere di netto il bene dal male scegliendo il primo e rigettando, condannandolo senza appello, il secondo.

In questa vergognosa vicenda bene e male si intrecciano come le esistenze disperate dei diversi soggetti coinvolti. Tuttavia il punto centrale è dato dai protagonisti principali: la bambina e il bimbo cresciuto in lei. Loro sono le vittime innocenti di questa assurda, se non fosse tragicamente vera, storia. Quale è il bene di entrambi? Come cercarlo per poterlo attuare nel modo migliore possibile nel concreto di questa realtà familiare e sociale caratterizzata da povertà culturale, economica, contesto di immigrazione e ghettizzazione? Certamente aggiungere altro male a quello già sovrabbondante è semplicemente diabolico: l’aborto non può essere la soluzione ma un ulteriore aggravamento del dramma in corso. Tuttavia la sua semplice condanna rischia di diventare un boomerang nell’opinione pubblica rafforzando la corrente che lo sostiene.

La responsabilità è collettiva 

Forse una parziale soluzione va cercata oltre la prospettiva teoretica incamminandosi sulla strada della condivisione e dell’accompagnamento.

Da questa storia, che non si sarebbe mai dovuta scrivere, emerge una povertà umana abissale di cui le istituzioni cittadine devono farsi carico ma emerge anche una responsabilità collettiva da cui nessuno si può smarcare. Infatti, se la violenza sessuale va eliminata senza sconti, al contempo questa famiglia, e molte altre simili, non possono essere lasciate sole nel lungo cammino verso una vita dignitosa ed un’integrazione sociale vera.

Punire il colpevole è essenziale ma permettere ad una bambina di undici i anni di ritornare a sperare nella vita come pure ad un bimbo innocente di nascere lo sono ancora di più. In ogni modo, oltre le molte parole che ognuno sente il dovere di dire, a questa piccola, diventata mamma troppo presto, cui alla violenza sessuale perpetrata per più di un anno si aggiunge la violenza della gravidanza interrotta, non basta che come società si chieda perdono.

 

Commenti

  • 15/02/2021 M. P.

    Bellissimo articolo, complimenti continuerò a seguirvi.

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