b
Blog

Nel mondo della fretta, la sfida della pazienza

In una riflessione sulla pazienza, Romano Guardini ricordava un mito indiano che racconta di come Shiva abbia plasmato ogni cosa. Dopo aver creato il mondo con entusiasmo, comincia ad annoiarsi e a distruggere il mondo per fabbricarne un altro. Ma anche questo non lo soddisfa e perciò lo distrugge e lo ricrea e così via, in un movimento incessante. Di fronte a questo mito – osserva Guardini – risalta per contrasto il rapporto del Dio cristiano verso il mondo, fatto di infinita pazienza.

Già questa considerazione del filosofo tedesco, morto esattamente cinquant’anni fa, ci aiuta a collocare la pazienza entro una cornice molto più dignitosa di quanto comunemente si pensi. Nell’ottica di Guardini, la pazienza non è la rassegnazione impotente e spesso risentita di fronte all’inevitabile. Né è la virtù caratteristica di quella morale degli schiavi stigmatizzata da Nietzsche. Pazienza è partecipare dell’atteggiamento di Dio nei confronti del mondo e della storia.

Non c’è dubbio che molto oggi induca a ritenere la pazienza come una virtù superata o persino dannosa. Anzitutto l’accelerazione della vita che sperimentiamo continuamente, in un succedersi vorticoso di eventi che richiedono presenza attiva, prontezza d’animo, decisione immediata. E poi la constatazione che la politica non dà risposte alle nostre aspettative, che la società sembra incapace di valorizzare la nostra singolarità, insomma che il mondo non cambia mai. E ancora, la percezione della vanità della nostra esistenza, con buona pace di tutti i tentativi di esorcizzare la morte o di divinizzare la medicina. Tutte cose (ma l’elenco potrebbe continuare) che ci spingono a una rassegnazione amara o a una indignazione che rimane sterile. Se si è credenti, poi, non si percepisce forse la scoraggiante sproporzione fra la debolezza della Parola e le logiche che governano questo mondo?

Ma proprio questa Parola ci suggerisce due tratti della pazienza che sono imprescindibili per noi oggi.

Guardare il mondo nel suo dinamismo storico, capaci di “stare” in mezzo alla prova

Pazienza è anzitutto makrothymia, grandezza d’animo, longanimità. È la virtù dell’agricoltore che aspetta pazientemente il frutto della terra (cf. Gc 5,7); è la capacità di chi sa guardare le cose in grande, che sa valutare il tempo lungo, che sa guardare al mondo cogliendolo nel suo dinamismo storico, senza cedere all’impazienza superficiale dell’ideologia. Pazienza in questo caso è attesa sapiente, rispetto del tempo, e quindi anche riconoscimento della finitezza, della necessaria incompiutezza di ogni realizzazione storica e della storicità di ogni relazione con l’altro. Saper educare alla pazienza significa in questo caso educare all’arte del tempo, senza accelerazioni consumistiche e senza fughe misticheggianti. Pazienza è vivere il tempo in modo pienamente umano.

Pazienza è poi hypomone, perseveranza, costanza, capacità di stare in mezzo alla prova (cf. Gc 1,2-4). È la virtù di chi sa sop-portare le situazioni difficili, ma anche di chi sa sup-portare, sostenere se stesso ed altri quando la vita mette alla prova. La prova non è solo quella delle persecuzioni a motivo della fede, ma è quella a cui quotidianamente ci espongono le relazioni: con noi stessi e con gli altri. Non è questione di sopportazione passiva, ma di un positivo portare il peso dei rapporti, rifuggendo la tentazione di una fruizione strumentale di sé e degli altri. Saper educare alla pazienza significa allora educare a “rimanere” nella relazione, sostenendone la prova, la temporalità e la finitezza. Pazienza è vivere la relazione in modo umano.

Romano Guardini ricordava che Dio mostra un’infinita pazienza nei confronti del mondo e dell’uomo. Ma oltre a questo bisognerebbe dire – secondo Tomáš Halík – che anche noi uomini dobbiamo aver pazienza con Dio. Solo così infatti è possibile attendere e portare il peso della relazione con il Deus absconditus e il suo silenzio.

Lascia un commento

{{resultMessage}}