b
Blog

«Non è qui, è risorto»

Domenica di Pasqua

Vangelo della veglia, Lc 24,1-12.

Vennero per il corpo e non lo trovarono. Maria di Magdala, Giovanna, Maria di Giacomo e le altre donne, dopo aver preparato gli aromi profumati e dopo aver osservato il riposo del sabato (cf. Lc 23,56), si recarono al sepolcro per ungere il corpo di Gesù (cf. Lc 24,1). S’incamminarono per compiere un umile gesto di misericordia rivolto a chi non è più in vita. Il loro unguento non era «olio di esultanza» (Sal 45,8). Eppure fu proprio la volontà di compiere al mattino presto un atto di pietà rivolto a un cadavere a metterle nelle condizioni di udire le parole pronunciate dai due uomini in abiti sfolgoranti: «Perché cercate tra i morti colui che è vivo?» (Lc 24,5).

Le donne divennero le prime stupefatte testimoni dell’annuncio della risurrezione; lo diventarono perché, appena fu loro concesso, andarono al sepolcro a cercare un corpo che non trovarono. Non videro il Risorto, udirono solo una voce: «Non è qui, è risorto» (Lc 24,6). La risurrezione è sempre un «oltre», non è mai «qui», dove le nostre esistenze si consumano a opera della morte.

Le donne, al pari di noi, hanno solo ascoltato la parola dell’annuncio; se vi si presta fede le nostre vite mutano. Per Luca le donne cercarono di generare alla fede gli Undici e «tutti gli altri», ma non furono credute, anzi le loro parole parvero «come un vaneggiamento» (Lc 24,8-11). Da quel mattino a Gerusalemme, l’annuncio che tra i morti non c'è colui che è vivo pone tutti di fronte a una scelta: è la verità più alta o è un puro vaneggiamento? Occorre decidere. L’augurio tipico del mondo ortodosso, «Christòs anèsti - alithòs anèsti (Cristo è risorto  - è veramente risorto)», fa risuonare nel cuore della notte più santa dell’anno un avverbio che si oppone in modo frontale all’idea che si tratti di «vaneggiamento».

«Non trovarono il corpo del Signore Gesù» (Lc 24,3). Il Vangelo di Luca più volte, per indicare Gesù, aveva già fatto ricorso al termine «Signore» (Lc 7,13; 10,1; 11,39; 12,42; 13,15; 18,6; 19,8; 22,61), mai però fino alla mattina della risurrezione aveva introdotto la locuzione «Signore Gesù». La prima volta che compare è per indicare l’assenza del suo corpo, un vuoto che grazie alla parola diviene segno della presenza di colui che vive. La mattina del giorno di Pentecoste, nella sua predicazione, Pietro avrebbe detto alla folla dei suoi ascoltatori: «Sappia dunque con certezza tutta la casa d’Israele che Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso» (At 2,36). Ora anche per gli apostoli la risurrezione è diventata certezza di fede, non vaneggiamento.

Il primo passo della fede sta sempre nell’ascolto (cf. Rm 10,14). Paolo reinterpreta il passo del Deuteronomio: «Questa parola è molto vicina a te, è nella tua bocca e nel tuo cuore perché tu la metta in pratica» (Dt 40,14). Lo fa alla luce della Pasqua: «“Vicino a te è la Parola, sulla tua bocca e nel tuo cuore”, cioè la parola della fede che noi predichiamo. Perché se con la bocca proclamerai: “Gesù è il Signore!”, e con il tuo cuore crederai che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo» (Rm 10,9).

Per noi la fede nella risurrezione è, prima di ogni altra cosa, l’accoglimento di una parola ricevuta: «A voi infatti ho trasmesso, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto, cioè che Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture e che fu sepolto e che è risorto il terzo giorno secondo le Scritture e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici (...) Ultimo fra tutti apparve anche a me come a un aborto» (1Cor 15,3-8).

Noi siamo ancor più ultimi di Paolo, per noi non c’è stata alcuna apparizione; perciò, con un’inversione tipica dello spirito evangelico (cf. Mt 19,30; 20,16; Mc 10,31; Lc 13,30), rassomigliamo ai primi, anzi alle prime; crediamo in una testimonianza senza aver beneficiato di alcuna apparizione. È giunta a noi solo una voce: «Non è qui, è risorto»; ma, se il nostro cuore crede, il «non qui» diviene, nella speranza, già in qualche modo un «qui».

Lascia un commento

{{resultMessage}}