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Siate misericordiosi

VII domenica del tempo ordinario

1Sam 26,2.7-9.12-13.22-23; Sal 103 (102); 1Cor 15,45-49; Lc 6,27-38

 

«Siate misericordiosi (oiktirmones), come è misericordioso (oiktirmon) il Padre vostro. Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati, perdonate e vi sarà perdonato; date e vi sarà dato: una misura buona, pigiata, colma e traboccante vi sarà versata in grembo» (Lc 6,36-38).

L’espressione imitatio Dei rischia di essere considerata troppo ardita (se non empia) per chi ritiene Dio il «totalmente Altro». L’imitazione implica infatti una commensurabilità che sembra, per definizione, doversi negare nel caso del rapporto tra la creatura finita e il suo infinito Creatore. Eppure i Vangeli parlano il linguaggio dell’analogia. Per questa via essi propongono una rilettura che trascrive, all’insegna della misericordia e del «come», quanto nel Levitico era posto in termini di santità e di «perché»: «Siate santi perché io, il Signore vostro Dio, sono santo» (Lv 19,2).

Non si può essere santi come il Signore; si deve essere tali perché lui lo è. Si è invece chiamati a diventare misericordiosi come lo è lui. Il primato è quello della misericordia, che si manifesta nella forma della cura amorosa quotidianamente rivolta dal Padre alle proprie creature. Il termine scelto da Luca (oikiìrmones) allude alle materne viscere di misericordia (radice ebraica rchm, da cui utero) del Signore: «Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se costoro ti dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai» (Is 49,15).

Il passo lucano pone, subito dopo la grande massima di essere misericordiosi come il Padre, una serie di esemplificazioni legate al contraccambio: se non si giudica non si sarà giudicati, se non si condanna non si sarà condannati, se si perdona si sarà perdonati, se si dà si riceverà una misura piena. Sorge una domanda: in questi versetti si può ancora parlare di imitatio Dei?

Lo si può fare solo se si esclude ogni riferimento a un «per». Non si perdona per essere perdonati, non si dà per ricevere e così via. L’incommensurabilità di Dio torna in gioco, per paradosso, proprio nel momento dell’imitazione. Il Padre non ha necessità di ricevere nulla. Il suo agire misericordioso non è finalizzato ad avere alcunché in contraccambio. La creatura finita, al contrario, ha bisogno di ricevere, di non essere condannata e giudicata, di essere perdonata; tuttavia essa diviene misericordiosa come il Padre quando giudica, perdona e dà senza far conto di ricevere.

La vera esemplificazione dell’essere misericordiosi come il Padre la si trova nei versetti precedenti: «Amate invece i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperarne nulla, e la vostra ricompensa sarà grande e sarete figli dell’Altissimo, perché egli è benevolo verso gli ingrati e i malvagi» (Lc 6,35). In Matteo si legge che il Padre fa sorgere il sole e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti, sui buoni e sui malvagi (Mt 5,45-46).

La misericordia di Dio è verso tutti, compresi coloro che non lo riconoscono o lo negano nella pratica del loro vivere. Ciò rende il Padre il modello massimo di colui che dà «senza sperarne nulla» (6,35). Il Creatore di ogni cosa non ottiene ringraziamenti e benedizioni da una parte delle sue creature. Il Padre misericordioso è un Dio povero che dà e non riceve. O forse riceve qualche consolazione da chi nel mondo ha il disarmato coraggio di agire come lui, vale a dire cerca di essere misericordioso senza speranza di ricevere. Da ultimo riceverà («la vostra ricompensa sarà grande»), ma ciò avrà luogo proprio perché non ha agito al fine di ottenere una ricompensa.

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