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VI domenica del tempo ordinario | Figli del Regno

Sir 15,15-20 (gr.); Sal 118 (119); 1Cor 2,6-10; Mt 5,17-37

          Nel cuore del Discorso della montagna sembra esserci una contraddizione: da un lato si afferma che nulla sarà abolito della Legge e dai Profeti (cf. Mt 5,17), mentre dall’altro si ripete «Udiste che fu detto agli antichi... io però (de) vi dico» (Mt 5,21.27.31.33.39.43). In realtà, se al centro di tutto c’è la persona di Gesù, le due parti si sostengono a vicenda. Si tratta non di sostituire una Legge con un’altra, bensì di portare a compimento quanto contenuto nella Legge e nei Profeti (le due parti principali della Bibbia ebraica). Ancora una volta conviene ripetere con Ireneo di Lione che Gesù «portò ogni novità portando se stesso».

          Gesù aveva appena proclamato le Beatitudini. Dopo aver descritto la condizione dei discepoli, ora indica loro come devono comportarsi. Proprio in questa luce va letta la sezione nota con l’improprio titolo di «antitesi» (Mt 5,20-47). Essa è contraddistinta dalla ripetuta presenza dell’espressione «fu detto agli antichi». Siamo di fronte a un «passivo divino», vale a dire a una forma retorica in cui il complemento di agente sottointeso allude a Dio. Gesù non si oppone al contenuto della Legge. Quel «ma (de)» non è avversativo. In questo brano infatti ci si riferisce sempre a precetti biblici: non uccidere (cf. Es 20,13), non commettere adulterio (cf. Es 20,14), non giurare il falso (cf. Lv 19,12). Analogo discorso vale per la possibilità di ripudiare la propria moglie (cf. Dt 5,18), per la cosiddetta «legge del taglione» (cf. Es 21,24) e per l’amore del prossimo (cf. Lv 19,18; nella Bibbia ebraica è invece assente il comandamento di odiare il proprio nemico).

          Ogni lettore delle «antitesi» è chiamato a decidere se l’insegnamento di Gesù costituisca una Legge nuova oppure se sia da intendersi come un’interpretazione messianica della Torah (Legge). A essere vera è la seconda alternativa, e proprio in questo senso va intesa la premessa che nulla sarà abolito della Legge e dei Profeti. Di certo, non significa andare contro la Legge esigere più di quanto la sua lettera richiede. Le parole di Gesù impongono, infatti, un comportamento in cui non ci si trattiene solo dall’uccidere ma persino dall’insultare; analogamente esse vietano non solo di tradire il proprio coniuge, ma anche di desiderare di farlo, e comandano di essere fedeli alla parola data senza bisogno di ricorrere a giuramenti. Se leggessimo un altro paio di versetti scopriremmo che occorre lasciarsi togliere tanto la tunica quanto il mantello e porgere l’altra guancia quando si è percossi su quella destra. Infine si è chiamati ad amare i nemici e a pregare per i propri persecutori (Mt 5,44). Sono tutti modi di agire conformi a coloro che Gesù chiama beati. La radicalizzazione e l’intensificazione dei precetti sono compiute nell’orizzonte di un Regno fattosi vicino; esse sono tipiche dello stile di vita dei figli del Regno.

          Ma per noi le «antitesi» cosa vogliono dire? Per come va il mondo, il non uccidere, il non commettere adulterio, il non giurare il falso e così via, appaiono imperativi violati già troppo di frequente per richiedere impegni maggiori. È così; nulla cade di quanto fu detto agli antichi; i comandamenti devono ancora essere messi in pratica. E allora? Chiedere perdono a chi si è insultato, sentirsi responsabili dei propri desideri e comprendere quanto sia grave non mantenere fede alla parola data per la sola ragione di averla data sono atti che ci rendono consapevoli di quanto ci manca per essere davvero figli del Regno. Esserne coscienti rinnova in noi il bisogno di ripetere con il salmo: «Crea in me un cuore puro» (Sal 51, 12 ). «Beati i puri di cuore perché vedranno Dio» (Mt 5, 8 ).

 

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