Lettera degli arcivescovi
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Il 12 settembre 2021 gli arcivescovi di Luzon settentrionale nelle Filippine – mons. Marlo Peralta di Nueva Segovia, mons. Socrates Villegas di Lingayen Dagupan e mons. Ricardo Baccay di Tuguegarao – hanno pubblicato un Messaggio pastorale congiunto sulla cultura dell’omicidio e del saccheggio. Così descrivono la situazione del loro paese: «È come vivere nella valle della morte: uccisione di tossicodipendenti e oppositori; morte senza fine a causa della pandemia, morte a causa di un governo senza visione, morte a causa di una corruzione indecente che sembra battere ogni record». Negli ultimi anni (quelli della presidenza di Rodrigo Duterte) «più di 30.000 poveri filippini sono stati uccisi nella campagna contro le droghe illegali. Sono stati uccisi giornalisti, assassinati oppositori politici, eliminati giudici dei tribunali, colpiti preti e maltrattate e minacciate voci critiche».
Di fronte a questa situazione, a partire dagli insegnamenti del Vangelo e della dottrina sociale della Chiesa s’invoca una resistenza civile da parte dei cittadini, un’approfondita indagine su tutti i casi di corruzione ed elezioni libere nel maggio del 2022.
«Con la sospensione del referendum revocatorio e la creazione dell’Assemblea nazionale costituente, il governo ha usurpato al popolo il suo potere originario. E gli effetti di questo li subisce il popolo stesso, che vede peggiorare di giorno in giorno la propria situazione. Non ci sarà una vera soluzione dei problemi del paese finché il popolo non riprenderà pienamente l’esercizio del suo potere». In un paese ormai da tempo in una gravissima crisi politica, economica e umanitaria, con una dura nota intitolata Dio consolerà il suo popolo (Is 49,13) e pubblicata il 12 gennaio, a conclusione della CIX Assemblea plenaria (Caracas, 7-12 gennaio 2018), la Conferenza episcopale venezuelana ha denunciato il governo di Nicolás Maduro e le sue politiche, che hanno condotto il paese a una crisi umanitaria con malnutrizione acclarata e morti d’inedia, e ha chiesto l’apertura di corridoi umanitari e nuove elezioni con osservatori internazionali. «Se questo diritto fosse negato o fossero ostacolate le iniziative per realizzarlo, rimarrebbero solo due possibilità: la definitiva perdita della libertà, con tutte le sue conseguenze, o azioni di resistenza e ribellione contro il potere usurpatore».
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