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Documenti, 15/2002, 01/08/2002, pag. 499

La sapienza di Charles de Foucauld

Mons. Renato Corti, vescovo di Novara

«In un tempo di pluralismo culturale e religioso il servizio della Chiesa alla missione di Cristo, in favore di ogni uomo, è precisamente quello che ci è testimoniato da Charles de Foucauld mentre è immerso in un mondo non cristiano, dove intende vivere da “fratello universale”: è proprio lì che, con assoluta semplicità, dal mattino alla sera, il mistero di Cristo lo avvolge, lo spiega, lo trasforma, lo rende vicino a tutti, mentre egli custodisce dentro di sé la più grande novità».

Una riflessione spirituale dal titolo Quest'uomo mi ha fatto molta compagnia. La sapienza semplice e profonda di Charles De Foucauld, condotta da mons. Renato Corti a un convegno internazionale di studi organizzato dal Monastero di Bose nel centenario dell’installazione del monaco nel deserto, diviene anche una riflessione sullo stile evangelico della Chiesa e sulla necessità di assumere come riferimento centrale di ogni missione e pastorale l’ascolto della Parola. Mons. Corti rinviene la medesima ispirazione di fondo di Charles de Foucauld nella Novo millennio ineunte di Giovanni Paolo II: «un testo che è apparso a qualcuno “ovvio” e che, invece, ha la forza di dare uno strattone vero e proprio alla nostra pigrizia mentale e alla nostra mediocrità spirituale su alcuni elementi qualificanti per il servizio della Chiesa alla missione di Cristo».

Originale: stampa da supporto magnetico. Il convegno, dal titolo "Charles de Foucauld. L'eloquenza di una vita secondo l'Evangelo", era organizzato dalla Conferenza episcopale dell'frica settentrionale, dalla Fraternità generale delle Piccole sorelle di Gesù e dal Monastero di Bose, e quivi si è tenuto dal 24 al 26 maggio 2002.

 

In questi anni, Charles de Foucauld mi ha fatto molta compagnia. Non gliene sarò mai abbastanza grato. La mediazione concreta di quell'incontro è stato soprattutto René Voillaume: mi ha nutrito di cibo robusto, mi ha aiutato a guardare a me stesso e alla mia esperienza religiosa senza infingimenti e con verità. Sono quarant'anni che usufruisco di questa compagnia.

Devo dire di più: Charles de Foucauld è diventato, e in maniera non secondaria, un educatore dei futuri preti del seminario di Milano. Mi riferisco all'anno propedeutico alla teologia e al primo anno di teologia. A quei tempi (1969-1980) svolgevo il compito di padre spirituale di circa un centinaio di aspiranti al sacerdozio. Senza forzature, un testo come Au coeur des masses (tradotto in italiano con il titolo Come loro) è diventato strumento di lavoro spirituale quotidiano degli alunni, nella scia dei classici che avevano molto influito sull�impostazione del cammino formativo quando io stesso ero alunno del seminario (penso, per esempio, a L'anima dell'apostolato di Chautard e a Cristo ideale del monaco e Cristo ideale del prete di Columba Marmion).

In quegli anni, che erano anche quelli del post-Concilio e anche quelli della contestazione, la proposta spirituale che emergeva, attraverso Voillaume, dalla grazia di Charles de Foucauld risultava capace di dare solide fondamenta a un�esperienza di fede, capace di reggere anche le tempeste, poggiando la casa della vita di quei giovani sulla roccia e non sulla sabbia.

L'aspetto paradossale di questo inserimento di Charles de Foucauld tra gli educatori del seminario è stato che, pur nella consapevolezza delle differenze specifiche della sua vocazione rispetto a quella di chi si orienta a diventare prete diocesano, venivano affermate e illuminate, attraverso di lui, non secondarie minuzie o addirittura indebite aggiunte, ma la profondità e la verità che andava assicurata a un autentico cammino verso il servizio ministeriale tipico del prete.

Un esempio: le indicazioni circa le caratteristiche normali della preghiera di fede (p. 113ss); o ancora, sul senso di essere permanenti in preghiera (p. 193ss); o ancora circa il senso dell'essere salvatori con Gesù: "Noi dobbiamo desiderare di condividere la sofferenza di colui che amiamo. Credo che, senza questi orientamenti fondamentali, non potremo né capire veramente il senso della nostra vita, né portarne il peso" (p. 181).

Posso aggiungere che, in questi ultimi vent'anni, molti dei miei incontri con i sacerdoti, specialmente negli esercizi spirituali e nei ritiri, hanno trovato nelle lettere di Voillaume alle sue comunità, stimoli a una lettura coraggiosa dell'esistenza delle persone consacrate, in particolare dei sacerdoti, anche quando immersa nella prova (penso, per esempio, alle brevi e luminose pagine su "La seconda chiamata").

Ma vengo alla domanda precisa che viene posta a questa "tavola rotonda". Si parla della missione di Cristo e del servizio che la Chiesa è chiamata a dare a questa, che è l'unica vera missione. Non mi nascondo che la domanda è semplice e difficile nel medesimo tempo. Avverto che ci occorre chiarezza interiore, non così ovvia da possedere, e, passaggio non meno impegnativo, si tratta di intravedere un itinerario di vita che intenda tradurre, con qualche coerenza (sempre faticosamente recuperata) l'intuizione che ci è accesa nel nostro cuore.

Credo che l'attualità di Charles de Foucauld per il servizio della Chiesa alla missione di Cristo tra gli uomini sia già stata profondamente espressa da quanto è andato fin qui emergendo da tutto il Convegno. Posso dunque limitarmi a due tipi di annotazioni:

� il primo di tipo esperienziale, riconducibile a un viaggio che ho compiuto, sulle tracce di Charles de Foucauld, nel deserto del Sahara nel 1986, anno centenario della sua conversione cristiana;

� il secondo, legato alla responsabilità ecclesiale che, nel mio piccolo, come vescovo porto: che cosa hanno da dire oggi, nella Chiesa italiana (e anche a livelli più ampi), gli accenti di Charles de Foucauld?

 

 

1) Piccole note
di un diario di viaggio

Andando in Algeria e scendendo fino a Tamanrasset, ho tenuto un piccolo diario di viaggio. Registra soprattutto i colloqui che in quei giorni, in varie località che hanno segnato la vita di Charles de Foucauld, ho potuto avere, soprattutto con alcuni Piccoli fratelli. Qui ne riporto solo qualche elemento.

Tamanrasset

 

Dove comincia la missione? A Tamanrasset fr. Antoine Chatelard mi ha fatto capire che la continua evoluzione di Charles de Foucauld ha un principio-guida, già rintracciabile negli anni precedenti la conversione. Il principio è dedicarsi a quanto genera autenticità per la propria persona. Questo principio ha cambiato il rapporto con i suoi compagni di servizio militare. Sarà anche, più avanti, il senso del ricorso all'abbé Huvelin come uomo capace di aiutarlo a trovare, con oggettività, la verità di Dio e dell'uomo e a fare discernimento realistico sulla vocazione particolare che Dio aveva fatto affiorare in lui. Si può ben dire che Charles de Foucauld ha sempre cambiato ed è sempre rimasto se stesso.

 

C'è un'altra questione sulla quale frère Antoine mi ha fatto riflettere: riguarda la presenza e la testimonianza del cristiano nel mondo. A questo proposito � diceva � la vocazione di Charles de Foucauld a vivere il mistero di Nazaret è stata da lui letta, sempre più chiaramente, come vocazione apostolica. La tesi soggiacente a questa maniera di intendere la sua vocazione è che la missione di Gesù e il suo "lavoro" salvifico non incominciano con la vita pubblica, ma con l'incarnazione. La vocazione dei Piccoli fratelli � nella sua singolarità, che non pretende certo di esaurire il mistero della Chiesa e le vocazioni nella Chiesa � lo ribadisce.

Sembra di dover aggiungere che la presenza cristiana nel mondo islamico, dove non è possibile che ci si converta al cristianesimo (almeno in forma visibile), trova � nella particolare vocazione di Charles de Foucauld � un'indicazione profetica: in determinati tempi, luoghi e situazioni politico-religiose, la dedizione, l'accoglienza, la mitezza, il servizio, l'amicizia, lo sforzo della comprensione nell'amore, sono le sole (grandi) cose possibili. Vivere tutto questo è vivere, in una forma vera anche se certamente non unica, la missione.

Evidentemente questa indicazione non manca di essere problematica, soprattutto nei confronti di un cristianesimo che si vuole "militante". Ma, in realtà, Charles de Foucauld non vuole negare l'impegno della predicazione, dell'apostolato visibile, degli impegni "umanistici" della Chiesa. Vuole, forse, indicare altro.

Primo, che quando questa forma "pubblica" non fosse possibile, la missione della Chiesa non è ridotta al nulla, ma deve accentuare altre strade.

Secondo, che chi vive � anche per vocazione particolare � il mistero della vita pubblica di Gesù, non deve trascurare il fatto che il singolo cristiano e la comunità intera hanno una vera forza evangelica e sono seme che darà frutto buono solo nel caso in cui i grandi valori dell'amore ai fratelli, dell'accoglienza, del servizio, della vicinanza e della condivisione saranno la vera "spiegazione" del loro agire; e anzi, se tutto questo sarà inteso come imitazione di Gesù e partecipazione al suo compito di rivelazione a tutti gli uomini dell'unico vero Dio: quello che è definito dall'apostolo Giovanni come Amore e che, sulla croce, attesta questo suo nome in modo insuperabile.

El Golea. "Je veux crier l'Evangile par toute ma vie"

 

Da Tamanrasset passo a El Golea. In una splendida e grande oasi è sepolto Charles de Foucauld. Veramente egli è sepolto fuori dall'oasi, ai bordi del deserto. Il cuore è rimasto a Tamanrasset. Ho l'impressione che Charles de Foucauld sia solo anche nella sepoltura. Ho celebrato l'eucaristia su quella tomba.

 

Vi sta scritto, oltre la breve notizia biografica, "Je veux crier l'Evangile par toute ma vie". Mi colpisce quel crier, quando il termine più appropriato a Charles de Foucauld sembrerebbe essere silence. Ma forse si tratta precisamente di capire che cosa significhi dire "Voglio gridare il Vangelo con tutta la mia vita": con tutta la vita, con tutta la mia vita.

Charles de Foucauld è preso da Dio, desideroso di imitare Gesù, tende a imbevere tutte le fibre del suo essere nel Vangelo, così da esserne, almeno tendenzialmente, la manifestazione reale in tutto ciò che interessa la sua vita quotidiana. È diventando Vangelo vissuto che si diventa Vangelo gridato sui tetti. E inoltre, in Charles de Foucauld la prospettiva prevalente è che il Vangelo tocchi la sua vita, la sua vita personale. Sembra non pensare agli altri. In realtà, ci pensa, vuol essere missionario, ma nella forma di chi è proteso a comprendere e vivere il Vangelo perché gli altri, nel sacramento della sua persona stessa, incontrino il Vangelo.

 

Beni-Abbès: eucaristia e Vangelo,
i due pilastri della vita di Charles de Foucauld

 

Ho trascorso qualche ora nell'Hermitage costruito da Charles de Foucauld a Beni-Abbès, e che egli chiamava la sua "cattedrale": tre navate di un metro quelle laterali e di un metro e mezzo o due quella centrale. I muri sono spogli e però abbelliti dalla Via crucis, disegnata a penna su quadratini di legno e dalla pala d'altare su tela rappresentante, su fondo totalmente bianco, Gesù risorto che, a braccia aperte, mostra le piaghe delle mani e dei piedi e il cuore sormontato dalla croce. Il pavimento porta, in questo Hermitage, il deserto. È infatti di terra rossiccia, quella delle grandi e bellissime dune che stanno alle spalle del paese. E il deserto si fa sentire, in questo silenzio, con un soffio teso e vibrante, che risuona continuamente, battendo contro l'Hermitage,la sua musica pura e severa.

 

Qui Charles de Foucauld è venuto condotto dall�intuizione che, meglio che non in Palestina, avrebbe potuto vivere il mistero di Nazaret: essere tra gli ultimi, essere tra persone che ignorano Gesù, "discendere" come ha fatto il Verbo di Dio incarnandosi, imitare il Dio vicinissimo facendosi prossimo, manifestando il volto di Dio e predicando il Vangelo, più che con le parole, con lo sguardo, l'atteggiamento di accoglienza, e lasciare invadere il "monastero" da chiunque abbia necessità.

Con questa intenzione, illustrata dallo stemma "Jesus Charitas", Charles de Foucauld poggia la sua vita quotidiana su due pilastri: l'eucaristia e il Vangelo.

Eucaristia come "presenza" del Signore e come presenza dell'atto del suo sacrificio totale per amore degli uomini; Vangelo come parola con la quale oggi Gesù continua a parlargli.

Eucaristia e Vangelo diventano i "luoghi" della contemplazione, dell'intimità con Dio, dell'essere "nascosto con Cristo in Dio". E, in concreto, questa contemplazione assume rilievo assolutamente eccezionale se si pensa che egli si propone, come regola, undici ore di preghiera.

Non si può non osservare che l'estrema semplicità di questa impostazione manifesta la sua capacità di ancorarsi all'essenziale: che cosa di più grande dell'eucaristia e del Vangelo? E non si può non osservare, a proposito del Vangelo, che la sua scelta di fare lectio divina ogni giorno, su testi brevissimi (per lo più di un solo versetto), evidenzia che, realmente, ogni giorno voleva imbeversi del Vangelo per essere "Vangelo vivente", "gridato con tutta la sua vita".

Viene spontaneo domandarci che cosa dire di noi, che leggiamo pagine e pagine della Scrittura, senza contemplare la Parola. E che dire, ancor di più, di chi forse predica molto di più di quanto ascolti il Vangelo.

 

 

2) Charles de Foucauld,
un dono per il futuro della Chiesa

Mi spiace dirlo, ma mi sembra che oggi Charles de Foucauld non sia � come si suol dire � "sulla cresta dell'onda". Altri accenti sembrano prevalere in una certa atmosfera ecclesiale che si respira e talvolta nello stile che appare nel nostro lavoro educativo e pastorale, nonché nella vita stessa di noi sacerdoti e religiosi.

Se mi chiedo come mai questo avvenga, trovo più di una risposta. Una è il timore che Charles de Foucauld conduca sulla strada della rinuncia alla proclamazione aperta dal Signore, in favore di un certo intimismo giudicato insufficiente e non persuasivo.

Un'altra risposta sta nella tentazione di pensare che la comunicazione del Vangelo non richieda, in maniera indiscutibile, che ci si disponga a ritenere che non solo i contenuti del Vangelo sono importanti, ma anche lo stile evangelico secondo il quale renderli udibili e palpabili.

E tuttavia, mi sembra di dover dire che, anche senza chiamarlo per nome, oggi Charles de Foucauld venga evocato, e forse implorato, nelle indicazioni di fondo che, dopo il giubileo dell'incarnazione, lo stesso Giovanni Paolo II ha voluto esprimere nella Novo millennio ineunte: un testo che è apparso a qualcuno "ovvio" e che, invece, ha la forza di dare uno strattone vero e proprio alla nostra pigrizia mentale e alla nostra mediocrità spirituale su alcuni elementi qualificanti per il servizio della Chiesa alla missione di Cristo.

"Un volto da contemplare"

 

Ciò è vero anzitutto per l'accento cristologico di tutto il documento e per l'invito, esplicito soprattutto nel secondo capitolo, a contemplare il volto di Cristo. Questo invito è capace, da solo, di far riflettere sull'opportunità straordinaria che la Chiesa continuamente ha di immergere i fedeli nel mistero di Cristo contemplando e celebrando, lungo l'anno liturgico, i misteri di Cristo.

 

A nulla, più che a questa costante immersione, i pastori di anime dovrebbero dedicarsi. E ciò è da intendersi in una duplice direzione: quella di coltivare il nostro rapporto amoroso con Cristo, crescendo nell'amore e nell'imitazione, e quello, ancor più decisivo, di riconoscere il rapporto che Cristo ha con noi e la sua volontà di essere in relazione con ogni uomo, anche con chi nemmeno lo conosce.

L'Assemblea generale dei vescovi italiani, cui ho partecipato in questi giorni, ha dedicato il tempo più ampio delle sue giornate a Gesù Cristo, nel quadro degli Orientamenti per il decennio Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia. In questo documento tutta la prima parte è dedicata a Gesù Cristo, l'inviato del Padre. Opportunamente, con l'intervento di un teologo, è stato rimarcato, in particolare, che "l'intimo rapporto che, in forza dell'incarnazione, si stabilisce tra la vita eterna e la "storia di Gesù", ci porta a dover ammettere che il volto eterno del Dio trino non può manifestarsi ed essere accolto nella fede senza questa storia" (Marcello Bordoni).

E si citava Tertulliano, e il suo De carne Christi, là ove richiama allo scandalo dell'incarnazione e della croce: "Non toccate l'unica speranza del mondo intero. Perché distruggere la necessaria vergogna della fede? Quel che a Dio non conviene, a me conviene: solo salvo se non sarò confuso a causa del mio Signore" (5, 1-8).

In un tempo di pluralismo culturale e religioso il servizio della Chiesa alla missione di Cristo, in favore di ogni uomo, è precisamente quello che ci è testimoniato da Charles de Foucauld mentre è immerso in un mondo non cristiano, dove intende vivere da "fratello universale": è proprio lì che, con assoluta semplicità, dal mattino alla sera, il mistero di Cristo lo avvolge, lo spiega, lo trasforma, lo rende vicino a tutti, mentre egli custodisce dentro di sé la più grande novità.

Rimanere sempre discepoli

 

C'è anche un altro invito forte nella proposta della Novo millennio ineunte per il futuro: è quello di intendere il compito apostolico anzitutto e sempre come invito a fare l'esperienza del discepolato, lasciandoci costantemente plasmare dalla Parola e dalla grazia del Signore.

 

L'apostolo non è mai un "ex" circa la sua chiamata a essere discepolo. Le forme secondo le quali i cristiani sono chiamati a essere apostoli sono molteplici (e anche le più semplici e umili sono grandi); ma per tutti sta l'invito di Gesù a poggiare, anzitutto, quella casa che è la loro vita, sulla roccia: "Chi ascolta queste mie parole e le mette in pratica... ".

Su questo punto gli Orientamenti dei vescovi italiani usano parole belle e forti: invitano a bramare il latte della parola di Dio, di cui parla Pietro nella sua prima lettera, così come il bambino appena nato brama il latte della madre (cf. n. 47).

Non si può negare che, su questo punto, emergono valide testimonianze di singole persone e di intere comunità. Ma non riesco a non soffrire toccando con mano, qua e là, dei "muri di gomma" e una sottovalutazione sostanziale del valore decisivo riconoscibile nell'affrontare ogni giornata in ascolto del Signore, nell'attraversarla splendendo "come astri nel mondo, tenendo alta la parola di vita" (Fil 2,15), e nel chiuderla trovandoci di nuovo nell�intimità con lui per chiedergli: "Che ne dici, Signore?". E per dirgli: "Grazie".

Plasmati e custoditi dall'eucaristia

 

C'è un terzo invito nella Novo millennio ineunte e negli Orientamenti pastorali dei vescovi italiani. Riguarda l'eucaristia. Si tratta di riconoscerla per il mistero che esprime. Si tratta di non tradirla, ma, al contrario, di assecondare la grazia di cui ci alimenta come singoli e come Chiesa.

 

È impressionante il peso dato da Charles de Foucauld all'eucaristia, anche in condizioni di estrema solitudine e povertà; talvolta senza neppure la possibilità di celebrare (gli capitò, un anno, anche a Natale). La sua "devozione", che potremmo dire forse poco benedettina, era profonda e vera. Era permeata dal senso e dalle intenzioni di Gesù nel dono totale di sé. E accoglieva, da questo mistero santo, i tesori di sapienza che rendono la vita umana, luogo certamente sempre un po' oscuro, qualcosa da cui traspare, come un'alba, la felicità della vita eterna.

Lo suggerisce ogni giorno la liturgia eucaristica al sacerdote celebrante, immediatamente prima di ricevere la comunione: "Il corpo di Cristo mi custodisca per la vita eterna. Il sangue di Cristo mi custodisca per la vita eterna". Che meraviglia quel verbo "custodire": fa pensare al grembo dell'amore di Dio; fa pensare al fatto che la sorte di Cristo risorto e vivo diventa la nostra.

 

 

Conclusione

"Sento che la Chiesa sta per scoprire la stretta attualità della sapienza evangelica scritta nella profezia di Charles de Foucauld". È Pier Angelo Sequeri a scriverlo e ad aggiungere che oggi s�intuisce "un impulso latente a un cristianesimo senza orpelli nel contesto delle condizioni di vita più comuni. La sua forma sarà decisamente più "domestica". Nel suo sviluppo, la forma parrocchiale e quella religiosa trarranno giusti motivi di ridimensionamento e di trasformazione e pertanto, vitalità adeguata alle virtualità di cui dispongono".

"Sono persuaso � nota ancora il teologo � che la generosa accoglienza della profezia di Charles de Foucauld sarà una benedizione per i tempi forti della nuova evangelizzazione che ci attende" (P.A. Sequeri, Senza tirarsi indietro, dalla Prefazione).

È anche la mia speranza.

 

Bose, 26 maggio 2002.

X Renato Corti,
vescovo di Novara

Tipo Documento
Tema Ecumenismo - Dialogo interreligioso
Area Italia
Nazioni