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Documenti, 13/2020

A servizio della Chiesa locale

Messaggio alle Pontificie opere missionarie

Francesco

Il 21 maggio papa Francesco avrebbe dovuto partecipare all’Assemblea generale annuale delle Pontificie opere missionarie, l’organismo principale della Chiesa cattolica per aiutare i missionari e le giovani Chiese nell’annuncio del Vangelo e nella testimonianza di carità. L’incontro è stato rinviato per le restrizioni imposte dal coronavirus, ma nell’ambito di «un percorso di riconsiderazione… che volete sia ispirato dalle indicazioni del papa», il 21 maggio stesso Francesco ha voluto offrire alcuni «criteri e spunti generali» in un Messaggio inviato all’organizzazione.

L’indicazione è a rifuggire l’autoreferenzialità e recuperare l’originario radicamento nella base ecclesiale, «come una rete capillare diffusa nel popolo di Dio, pienamente ancorata e di fatto “immanente” alla rete delle preesistenti istituzioni e realtà della vita ecclesiale, come le diocesi, le parrocchie, le comunità religiose». Con un’applicazione precisa anche sul versante economico: «Se in alcune aree la raccolta di donazioni viene meno, anche per l’affievolirsi della memoria cristiana... può venire la tentazione di risolvere noi il problema “coprendo” la realtà e puntando su qualche sistema di raccolta più efficace, che vada alla ricerca dei grandi donatori». Ma «la sofferenza per il venir meno della fede e anche per il calare delle risorse non va rimossa, va messa nelle mani del Signore. E comunque è bene che la richiesta di offerte per le missioni continui a essere rivolta prioritariamente a tutta la moltitudine dei battezzati».

A 25 anni dalla Ut unum sint

Francesco

Il 25 maggio ricorrevano i 25 anni dell’enciclica di Giovanni Paolo II Ut unum sint sull’impegno ecumenico (25.5.1995). Nell’occasione, papa Francesco ha inviato una lettera al presidente del Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, il card. Kurt Koch (www.vatican.va).

Dopo la visita apostolica a Bose

Comunità monastica di Bose, fr. Enzo Bianchi

Con un comunicato del 26 maggio la Comunità di Bose ha dato notizia delle conclusioni raggiunte dalla Santa Sede a seguito della visita apostolica svoltasi tra dicembre 2019 e gennaio 2020: i monaci Enzo Bianchi, Goffredo Boselli, Lino Breda e la monaca Antonella Casiraghi «dovranno separarsi dalla Comunità monastica di Bose e trasferirsi in altro luogo, decadendo da tutti gli incarichi attualmente detenuti». Tali conclusioni sono contenute in un «decreto singolare» firmato il 13 maggio 2020 dal segretario di Stato card. Parolin e approvato in forma specifica da papa Francesco. Il card. Parolin ha inoltre inviato al priore Luciano Manicardi e alla Comunità una lettera nella quale è tracciato «un cammino di avvenire e di speranza, indicando le linee portanti di un processo di rinnovamento». Dopo un’iniziale opposizione di alcuni interessati, documentata tra l’altro da un Comunicato ufficiale di fr. Enzo Bianchi, fondatore di Bose, il 1° giugno «la Comunità di Bose ha accolto la notizia che il suo fondatore, fr. Enzo Bianchi… ha dichiarato di accettare, seppure in spirito di sofferta obbedienza, tutte le disposizioni contenute nel Decreto della Santa Sede del 13 maggio 2020».

Disponibile per tutti

«È risorto il terzo giorno»

Lettura biblico-spirituale dell'epidemia di coronavirus

Conferenza episcopale italiana – Commissione per la dottrina della fede, l’annuncio e la catechesi

«Il virus ha assestato un colpo fatale al delirio di onnipotenza, allo scientismo autosufficiente, alla tendenza prometeica dell’uomo contemporaneo. Ha creato una profonda inquietudine, quasi un trauma planetario, specialmente nelle zone ricche e industrializzate della terra: uno smarrimento speculare rispetto al senso di sicurezza che diventava facilmente spavalderia. Improvvisamente, anche questa parte di umanità ha dovuto fare i conti con il limite, con la propria consegna nelle mani di altro da sé, con una grossa pietra all’ingresso del sepolcro». Colmando il rischio di un vuoto, la Commissione episcopale per la dottrina, l’annuncio e la catechesi della CEI presieduta dal vescovo mons. Erio Castellucci ha pubblicato il 23 giugno 2020 una traccia di riflessione dal titolo «È risorto il terzo giorno». Una lettura biblico-spirituale della pandemia.

Nel documento, col quale la Conferenza episcopale italiana riprende e affronta in chiave biblico-spirituale il dramma della pandemia, si fa tesoro «innanzitutto delle pagine della Bibbia, che raccontano le ultime ore dell’esperienza terrena di Gesù: in quelle pagine è riservato uno spazio aperto, in cui i credenti possono incontrare nuovamente il Signore, mentre i non credenti possono sentire accolte e custodite le loro domande».

La carità nel tempo della fragilità

Dopo la pandemia di COVID-19

Chiesa di Padova

«L’esperienza della fragilità, della paura, della malattia ha condizionato i nostri percorsi di questi ultimi mesi e ha condizionato le nostre scelte Il cammino esistenziale che ha coinvolto tutti, bambini e anziani, uomini e donne, si è incontrato e si è alleato con molte delle riflessioni pastorali e teologiche che arricchivano il dibattito delle nostre comunità e della nostra diocesi: esperienze e riflessioni si sono illuminate a vicenda». Così scrive nell’introduzione mons. Claudio Cipolla, vescovo di Padova, presentando il testo La carità nel tempo della fragilità, pubblicato l’8 giugno. Non una lettera pastorale, ma un insieme di riflessioni plurali scaturite durante la pandemia di COVID-19 e che intendono rappresentare una prospettiva pastorale da realizzare. Un documento che nasce dall’urgenza di dare una risposta alle persone fragili, quelle che già sono in difficoltà e quelle che si prevede cadranno vittime delle conseguenze del coronavirus sul piano economico e sociale. Mettendo al centro la ricchezza delle parrocchie, fatta di relazioni personali e capillari, si propone di declinare la carità in questo tempo come ascolto e fiducia, offrendo spunti operativi di attuazione.  

Per una normalità spiritualmente rinnovata

Dopo la crisi del coronavirus

Conferenza episcopale austriaca

Pubblicata il 27 maggio in vista della solennità di Pentecoste, che nelle Chiese germanofone è molto sentita, la lettera pastorale dei vescovi austriaci Per una normalità spiritualmente rinnovata affronta il tema della ripresa della vita «normale» dopo la crisi del coronavirus (è stata la prima conferenza episcopale a farlo).

«In questa fase critica auspichiamo una riflessione obiettiva sul passato e una convivenza costruttiva, cosa che è possibile in una democrazia viva. Il criterio decisivo deve essere il bene comune, senza per questo trascurare i diritti alla libertà dell’individuo. Per questa ponderazione, delicata ma necessaria, abbiamo veramente bisogno di uno Spirito nuovo! Il miracolo di intesa e cambiamento della prima Pentecoste è possibile, e necessario, anche oggi».

I doni dello Spirito sono quindi attualizzati nella fase di ricostruzione della società che i paesi colpiti dalla pandemia si trovano ad affrontare, con l’auspicio di un «patto nazionale di solidarietà per permettere un buon futuro a tutte le persone che vivono in Austria».

Un partenariato tra Europa e Africa

Card. Jean-Claude Hollerich SJ, card. Philippe Nakellentuba Ouédraogo, presidenti di COMECE e SCEAM

Uno dei punti programmatici della presidenza von der Leyen della Commissione europea è il rafforzamento di una collaborazione solida e reciprocamente proficua tra l’Europa e l’Africa, motivo per il quale è previsto per l’autunno di quest’anno il 6° Vertice tra l’Unione Europea e l’Unione Africana (uno dei grandi interlocutori esclusi dal precedente Accordo di Cotonou). In vista di tale appuntamento, per contribuire alle scelte della leadership politica gli episcopati dei due continenti il 10 giugno hanno pubblicato un comunicato congiunto, firmato dal card. Jean-Claude Hollerich SJ, presidente della Commissione degli episcopati dell’Unione Europea, e dal card. Philippe Nakellentuba Ouédraogo, presidente del Simposio delle conferenze episcopali di Africa e Madagascar, dal titolo Per un partenariato tra i nostri continenti incentrato sulle persone, equo e responsabile. «Fiorisca il giusto e abbondi la pace» (Sal 72).

Gli episcopati chiedono che il partenariato non sia una nuova «corsa all’Africa» ma abbia come obiettivo «lo sviluppo umano integrale, l’ecologia integrale, la sicurezza e la pace per le persone e l’attenzione ai migranti». Per esempio, occorre «smettere di ravvivare i conflitti nel continente africano attraverso esportazioni di armi europee incoerenti, non trasparenti e irresponsabili, e adottare misure efficaci contro il commercio illecito di armi».

La pandemia in Africa e le sue conseguenze

Simposio delle Conferenze episcopali di Africa e Madagascar (SCEAM)

La pandemia da coronavirus, con poco meno di 300.000 affetti e 6.000 morti alla fine di giugno, ha colpito anche l’Africa, «già gravata dal debito e dove la disoccupazione continua a peggiorare, aggravando ulteriormente il fenomeno dell’impoverimento delle popolazioni». Tuttavia può diventare un’opportunità per trasformare in senso solidale i sistemi politici e quelli economici, attraverso la remissione del debito, una più equa ripartizione delle risorse e un investimento in ospedali, scuole, alloggi. È questo, in sintesi, l’appello lanciato il 31 maggio dai vescovi dell’Africa e del Madagascar nella dichiarazione Sul COVID-19 e le sue conseguenze. «Ascolta, o Dio, la voce del mio lamento, dal terrore del nemico proteggi la mia vita» (Sal 64,2), in cui i vescovi del Simposio delle conferenze episcopali di Africa e Madagascar (SCEAM) si rivolgono all’Unione Africana e alle agenzie di cooperazione internazionale per chiedere un fattivo sostegno per le proprie popolazioni. Chiedono inoltre ai leader africani di «garantire che le limitate risorse disponibili vengano impiegate per assistere coloro che hanno davvero bisogno di aiuto, in particolar modo i più poveri, e non finiscano invece nelle tasche dei politici attraverso pratiche di corruzione».

Il ministero del vescovo nel cambiamento

Serena Noceti

Il pontificato di Francesco, in particolare con l’esortazione apostolica Evangelii gaudium e la costituzione apostolica Episcopalis communio, nell’ambito di un progetto complessivo di riforma ha posto un’attenzione particolare sul ministero del vescovo. In questa luce «può risultare particolarmente significativo soffermarsi sul munus regendi ac pascendi e da questa prospettiva riflettere sull’identità del vescovo, sulla sua soggettualità peculiare e sull’esercizio di autorità nella Chiesa popolo sacerdotale, profetico, regale», come fa la teologa Serena Noceti in questo saggio dal titolo «Munus regendi ac pascendi del vescovo. Una riflessione a partire dai documenti del concilio Vaticano II», che nasce all’interno di una serie di seminari sull’esercizio dell’episcopato oggi promossi dalla presidenza dell’Associazione teologica italiana, a cui hanno partecipato teologi sistematici, canonisti e vescovi. È stato presentato in questa forma definitiva il 15 febbraio scorso.

L’esame di due passi dei documenti del concilio Vaticano II dedicati alla declinazione del munus «regale» nel ministero episcopale (Lumen gentium, n. 27 e Christus Dominus, n. 16) porta a concludere che «sta al vescovo, custode dell’unità del “noi” ecclesiale e garante della fede apostolica che fa Chiesa, trovare il punto di equilibrio tra realizzazione di cambiamenti e valorizzazione delle istituzioni ecclesiali esistenti».

L’isolamento della Chiesa

Timothy Radcliffe OP

«Questa crisi potrebbe rendere più profonda la nostra comunità su molti livelli». È lo stesso Timothy Radcliffe, già maestro generale dei domenicani, predicatore instancabile e apprezzatissimo in ogni dove, a offrire, in chiusura, la sintesi della conversazione tenuta lo scorso 4 giugno, in collegamento digitale dal convento di Oxford, all’ultimo di quattro appuntamenti organizzati dall’Azione cattolica di Carpi sul tema «“Non temete!”. Il dono della comunità, tra precarietà e ripartenze». Tramite l’isolamento sociale, ha sostenuto Radcliffe, ci confrontiamo con noi stessi e con gli altri. «Cadono le maschere. Questo potrebbe portare a una comunione più profonda. Possiamo empatizzare con gli altri solo se abbiamo il coraggio di affrontare noi stessi ed entrare nella cella della conoscenza di sé. Il dolore dell’esclusione dall’eucaristia potrebbe condurci a un desiderio più profondo per il Regno dove tutti saremo una cosa sola. Possiamo anche avere il coraggio di guardare la morte in faccia e di negarle la sua pretesa di regnare». Ma il passaggio più potente del suo intervento è quello finale, quando afferma che «mentre affrontiamo tutte queste questioni nuove e complicate, possiamo evadere dall’isolamento sociale della Chiesa, e cercare la comunione con tutti i cercatori di verità».