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Moralia Blog

Apartheid climatico? I diritti e la terra

Il mutamento climatico – specie se non adeguatamente contrastato – mette a rischio 50 anni di progressi nello sviluppo, nella salute globale e nella riduzione della povertà.

Lo segnala il relatore speciale delle Nazioni Unite sulla povertà estrema e i diritti umani, Philip Alston, presentando il rapporto su «Cambiamento climatico e povertà» pubblicato il 25 giugno 2019: 

«il riscaldamento globale potrebbe spingere più di 120 milioni di persone nella povertà entro il 2030 e avrà l'impatto più grave nei paesi poveri, nelle regioni e nei luoghi in cui le persone povere vivono e lavorano».

Come sottolinea la sintesi del rapporto, «anche negli scenari migliori, centinaia di milioni dovranno affrontare insicurezza alimentare, migrazioni forzate, malattie e morte. Il mutamento climatico minaccia il futuro dei diritti umani». Con un incremento di 2° rispetto alle temperature dell’era preindustriale – non il peggiore tra gli scenari possibili –, tra 100 e 400 milioni di persone si troveranno esposte alla fame, mentre tra uno e due miliardi non potranno avere un’adeguata disponibilità d’acqua.

Misurarsi con gli impatti

È finito ormai il tempo in cui ci si interrogava se vi fosse un riscaldamento globale; già la Laudato si’ di papa Francesco – ormai oltre quattro anni fa – evidenziava come ormai ciò che conta sia misurarsi con impatti e conseguenze che si prospettano come devastanti. Comprendiamo ormai, sottolineava lo stesso Alston, che rischia di disegnarsi in effetti un vero e proprio apartheid climatico.

Certo, il fenomeno è costitutivamente globale e interesserà evidentemente l’intero pianeta, ma saranno soprattutto le nazioni economicamente più fragili – specie nell’Asia meridionale, nell’Africa subshariana e in America Latina – a subirne l’impatto economico. In una perversa asimmetria, quindi,

«i ricchi, che hanno maggiore capacità di adattamento, che sono responsabili per gran parte delle emissioni climalteranti e maggiormente ne hanno beneficiato, sono in posizione migliore per affrontare il mutamento climatico, mentre i più poveri, che meno hanno contribuito alle emissioni e meno hanno capacità di reazione, saranno i più danneggiati» (n. 14).

Appare in tal senso in una luce davvero inquietante l’inerzia di alcune delle nazioni più economicamente avanzate nel contrastare il mutamento e nel contenere le emissioni. C’è molto cinismo dietro l’inerzia politica, lo scetticismo dichiarato, l’inadeguatezza delle misure di contenimento, l’assunzione di impegni deboli e spesso neppure mantenuti. Uno sguardo davvero lungimirante dovrebbe sapere che oggi il mutamento climatico è la vera grande sfida che sta dinanzi alla famiglia umana.

Pensare di acquisire vantaggi di posizione rispetto alla debolezza di altre nazioni con inadeguate politiche di contrasto non può essere una strategia vincente, a fronte di un futuro che per tutti si prospetta come minaccioso.

Del tutto irrazionale è poi la strategia che mira a bloccare i flussi di persone in fuga da paesi che stanno diventando inabitabili semplicemente chiudendo le frontiere: la famiglia umana è una e le relazioni che ci legano su questo fragile pianeta sono troppo strette per essere recise. L’apartheid climatico è cioè tanto immorale quanto impraticabile.

Per lo sviluppo sostenibile

Una volta di più, invece, l’unica via possibile è quella che assume gli Obiettivi di sviluppo sostenibile approvati dalle Nazioni Unite come riferimenti per un orizzonte di cambiamento, verso un’umanità più giusta, sostenibile, pacifica.

Solo l’assunzione di strategie integrate – capaci a un tempo di lottare contro la povertà e la diseguaglianza, promuovere la sicurezza alimentare, favorire la formazione e la convivenza civile – può disegnare scenari di futuro abitabile.

Ciò però presuppone un deciso impegno per la cura della casa comune, un’azione condivisa di contrasto al degrado ambientale globale, un incisivo contenimento delle emissioni climalteranti. L’attenzione per le generazioni future s’intreccia qui con quella per la terra e per i più poveri, prime vittime del cambiamento, in una responsabilità multidimensionale.

 

Simone Morandini* è coordinatore del progetto «Etica, teologia, filosofia» della Fondazione Lanza e insegna all’Istituto di studi ecumenici San Bernardino di Venezia; è coordinatore del blog Moralia.

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