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Moralia Blog

Big Brother is watching you!

«Big brother is watching you!». Così riportavano gli enormi manifesti affissi per le strade della Londra descritta da George Orwell nel suo romanzo più famoso, 1984. Il Grande Fratello, capo del partito unico dell’Oceania, ha occhi dappertutto. Può guardare, attraverso i teleschermi, ogni abitazione in ogni punto della città, controllando tutti i cittadini, anche nella loro vita privata, condotta sessuale compresa! Molti sociologi e letterati hanno esaltato la portata profetica del messaggio di Orwell, constatando l’inevitabile avvento di una società in cui tutto è controllato, tutto è spiato.

In realtà, oggi, la diffusione e l’uso dei social network, più che rappresentare un Grande Fratello onnipotente e onnipresente, ci fanno abitare in un “palazzo di vetro senza pietà”, secondo una felice espressione di Chiara Giaccardi a commento di due tristi vicende che interrogano profondamente la teologia morale a dare risposte concrete e adeguate.

Tiziana, 31 anni, napoletana. Suicida dopo la diffusione sul web del video di un suo rapporto intimo, che ha ottenuto milioni di visualizzazioni. Così la ragazza è diventata oggetto di spietati commenti che hanno reso la sua vita un inferno, costringendola prima a cambiare città e poi a togliersi la vita.

Giovane 17enne riminese, ubriaca, viene violentata da un ragazzo mentre le sue amiche, in un generale contesto di ilarità e di totale assenza di compassione, filmano lo stupro inviandolo poi su WhatsApp.

Rabbia, vergogna e disprezzo si accompagnano spesso a inutili moralismi che tendono ad attribuire colpe alle due ragazze per la facilità dei loro costumi (la prima aveva acconsentito a farsi filmare, la seconda era completamente ubriaca). Credo, tuttavia, che queste due angoscianti vicende debbano far risvegliare in noi interrogativi più profondi su come l’uso dei social stia modificando la nostra stessa identità.

La rete ha consentito ai vari commentatori del video della ragazza napoletana di esprimere i commenti più squallidi, rimanendo, tuttavia, nell’anonimato. Non si valuta l’importanza di un’azione o di un commento perché si pensa alla rete come al luogo della sperimentazione e del gioco senza regole.

Utilizzare la rete come moratorium può tuttavia condurre a esiti negativi nella formazione della propria morale, trascinando l’individuo a forme estreme di alienazione, sostituendo completamente le dimensioni fisiche dell’esperienza con quelle virtuali, prolungando all’infinito una condizione d’irresponsabilità e consentendo di trattare l’altro come un oggetto inerme. La persona incorre così nel pericolo di sottrarsi alla responsabilità di scegliere e di comprendere che alcune delle sue scelte possono essere irreversibili e possono causare nell’altro danni irreparabili.

Un uso eticamente corretto dei new media deve quindi innanzitutto sventare ogni attacco all’integrità dell’identità personale e ricomporla nel confronto con la differenza. Il concetto di identità è un concetto relazionale e, quindi, si costruisce nel rapporto con l’altro e nella promozione dell’altro.

La forte crisi delle relazioni – spesso accentuata dal predominio di un virtuale sempre più distaccato dal reale – rende artificiosi i rapporti interumani e conduce il processo di costruzione dell’identità a derive individualiste, a omologazione e solipsismo (tutto, infatti, è legato al numero di like più che all’idea di bene e di giustizia). Un’autentica etica dell’alterità, attenta – come sosteneva Lévinas – al “volto dell’altro”, appare la strada più corretta perché i social media possano sorreggere la persona nel suo processo di crescita e maturazione.

Non si tratta di intervenire, limitando o controllando l’uso dei social, ma di investire nella formazione delle coscienze perché scelgano di abitare non “palazzi di vetro senza pietà”, ma “piazze aperte di condivisione” e di riconoscimento dell’altro.

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