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Moralia Blog

Che papa sorprendente: anche sul fine-vita!

Papa Francesco continua a sorprendere il mondo: scrive una lettera sulle questioni del fine-vita al vescovo Paglia, presidente della Pontificia accademia per la vita, proponendo una riflessione ai partecipanti all’incontro regionale europeo dell’Associazione medica mondiale e i media si scatenano e titolano: «Svolta epocale. Papa Francesco apre al fine vita con una sorprendente dichiarazione».

I teologi allarmati (anche i moralisti dell’ATISM) si affrettano a leggere il testo e intervenire per rassicurare l’opinione pubblica ecclesiale ed evitare un nuovo scontro: il papa ha addirittura citato Pio XII (1957!) riaffermando la dottrina tradizionale sulla proporzionalità delle cure.

Quando gli interventi medici, soprattutto di terapia intensiva, «non giovano al bene integrale della persona» e assumono i tratti disumani dell’accanimento terapeutico, non vanno attivati oppure devono essere sospesi proprio perché sproporzionati alla situazione clinica concreta, cioè inefficaci a promuovere la salute o addirittura dannosi per il paziente.

Tale decisione non costituisce una forma di eutanasia (neppure passiva), ma semplicemente riconosce i limiti dell’intervento medico e la mortalità della condizione umana. Infatti, «non si vuole così procurare la morte: si accetta di non poterla impedire» (CCC, 2278).

Il comandamento della "prossimità responsabile"

Francesco sottolinea, inoltre, la difficoltà pratica di prendere decisioni in frangenti molto delicati, la condizione della medicina contemporanea iper-specializzata che tende a frammentare la relazione terapeutica e a perdere di vista l’identità del paziente, che se è cosciente deve essere coinvolto nel discernimento prudente della situazione e sostenuto nella decisione intorno alle cure che spetta solo a lui fare.

Senza dimenticare le profonde ingiustizie che segnano l’attuale sistema sanitario su scala globale e non permettono a tutti neppure di accedere alle cure di base, il papa ricorda che in ogni caso, però, anche quando non c’è più nulla da fare sul piano della terapia, rimane molto da fare sul versante umano della cura.

Infatti, mai viene meno il «comandamento supremo della prossimità responsabile» che impone di non abbandonare il malato e, senza sottrarsi alla relazione umana, di circondarlo di amore secondo il ruolo di ciascuno: parenti, infermieri e medici.

«E se sappiamo che della malattia non possiamo sempre garantire la guarigione, della persona vivente possiamo e dobbiamo sempre prenderci cura: senza abbreviare noi stessi la sua vita, ma anche senza accanirci inutilmente contro la sua morte. In questa linea si muove la medicina palliativa. Essa riveste una grande importanza anche sul piano culturale, impegnandosi a combattere tutto ciò che rende il morire più angoscioso e sofferto, ossia il dolore e la solitudine». 

Educarci al discernimento

Come mai allora tanto stupore, mentre viene confermata la posizione tradizionale della Chiesa su questo tema? Forse anche perché l’opinione pubblica non è più abituata a ragionamenti bioetici adeguati alla complessità del reale. Francesco ricorda che tra ciò che non si deve mai fare (eutanasia e accanimento terapeutico) e ciò che si deve sempre fare (cure ordinarie di base e assistenza umana) esiste una gamma di opzioni terapeutiche e assistenziali che sono facoltative e devono essere oggetto di scelta prudenziale, adulta e responsabile, del malato, aiutato e sostenuto da quanti lottano con lui contro il male.

Al letto del malato – come sempre nella vita concreta – l’opzione click on-off, bianco-nero, giusto-sbagliato è solo un’astrazione teorica, una semplificazione utile solo agli scontri mediatici: la realtà è articolata e caratterizzata da molte sfumature di grigio.

Per questo è indispensabile educarci reciprocamente al discernimento della scelta etica: una sfida a ricercare nella situazione data il vero bene, ciò che fa fiorire pienamente la dignità umana dei soggetti coinvolti, sempre, anche sulla soglia della morte. Così la persona concreta, unico bene morale assoluto, può essere davvero riconosciuta nella sua incommensurabile dignità.

 

 

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