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Moralia Blog

Cinque parole per un tempo nuovo

Nel pericolo si trasformano la comprensione e la gerarchia dei valori, i modi e i tempi delle scelte e delle azioni, il percorso di vita del singolo e delle comunità: per questo l’etica, in una situazione di difficoltà, è sempre una sfida particolare.

L’attuale crisi, determinata dalla diffusione globale di un virus letale, ha messo in discussione i rapporti internazionali, ma anche quelli locali, le istituzioni e le relazioni; sta modificando il modo di pensare allo spazio e al tempo e concetti come vita, salute e libertà.

Sta anche però, misteriosamente, incidendo positivamente nelle scelte e nelle azioni del popolo, facendo riscopre il valore dello stare insieme, la solidarietà verso i più bisognosi, il senso di piccole e grandi cose che ci sono o che mancano…

La mia impressione è che siamo a un punto di svolta, alla conclusione di una fase storico-culturale particolare caratterizzata soprattutto dall’autoreferenzialità e dall’incapacità di aprirsi correttamente all’altro e al mondo, e da tanti altri aspetti problematici, purtroppo ben conosciuti, del nostro tempo.

Non è questa la sede per analizzare questa ipotesi, condivisa – comunque – da tanta gente «comune». Si tratta piuttosto di leggere i «segni dei tempi» nel modo e nelle sedi opportune e, soprattutto, di iniziare a pensare a ciò che si potrà e si dovrà fare nella nuova fase storica che tutti attendiamo, con ferma speranza, dopo la fine della situazione straordinaria in cui stiamo ancora vivendo.

Cinque verbi da attualizzare…

Per questo «tempo nuovo», vorrei riproporre alcune parole che ci sono state consegnate 5 anni fa nell’ambito del Convegno ecclesiale di Firenze. Si tratta di idee e di impegni per la Chiesa del nuovo millennio che oggi possono assumere un senso nuovo.

  • Uscire. È una delle attese più grandi in questo momento. Uscire per tornare a lavorare, certamente. Ma c’è soprattutto il desiderio di venire fuori da una situazione di dolore e paura e di allontanarsi da un mondo con norme, spazi e tempi che sono stati «co-stretti» dagli eventi. Ripensare all’ uscire, oggi, mi sembra un invito a recuperare il senso dell’uomo in cammino, dell’homo viator, chiamato a non dimenticare il punto di partenza e di arrivo e a riscoprire il tema della migrazione capendo che, in qualche modo, tutti vogliamo lasciare una condizione di sofferenza per vivere bene una vita nuova.
  • Annunciare. È il dire (e il dirsi di) Dio in ogni tempo. È la chiamata splendida ed eterna a incontrare il Signore, a seguirlo, ad amarlo, e, di conseguenza, a pensarlo e a raccontare questa esperienza vitale. Testimoniare Dio oggi, significa vivere in maniera adulta e responsabile il dono della fede, animati dalla speranza e realizzando progetti di amore che si fanno storia e che trasformano l’intera società.
  • Abitare. È un’azione che facciamo «normalmente». Stiamo in un luogo, in una situazione, ma senza grande consapevolezza. Oggi ci siamo resi conto che lo stare in una casa, in una città, in una nazione (o fuori di essa), non è indifferente. Alla luce dell’esperienza forte di questo periodo, occorre vivere in ogni luogo come «veri» esseri umani: distinti, ma uniti; differenti ma orientati verso un’unica meta; buoni cittadini di un mondo bello, ma fragile.
  • Educare. È una grande sfida, sempre. L’attenzione in questa fase si è concentrata sui mezzi (soprattutto tecnologici), ma anche sui contenuti del processo educativo. Forse occorre porre l’attenzione ancora di più sulle persone. C’è bisogno di una grande cura per «valorizzare i valori», per evidenziare l’essenziale e per trarre fuori il vero bene da ogni persona, in ogni contesto e situazione contingente.
  • Trasfigurare: occorre percorrere la strada (anche quelle in salita) nella consapevolezza che non si è soli; giunti alla meta, possiamo – come gli apostoli – vedere la Luce vera che mostra il Cristo come l’Uomo nuovo; possiamo e dobbiamo ascoltare il passato (Mosè ed Elia) e il presente (Gesù); collaborare alla progettazione di nuove case accoglienti (la proposta di Pietro nel testo evangelico), ma nella consapevolezza che «se il Signore non costruisce la casa, invano faticano i costruttori» (Sal 126). Possiamo e dobbiamo, infine, accogliere la Parola del Padre e l’invito del Figlio a rialzarci e a riprendere con coraggio – trasformati interiormente – il cammino (cf. Mt17,1-9).
… e altri 3 verbi da integrare

A queste parole la Chiesa e «i cercatori della verità» hanno l’urgenza di aggiungerne altre: ascoltare, comprendere, ripensare. Ma anche su questo ci sarà il tempo e il luogo per re-agire, riprendendo la nostra riflessione insieme.

 

Alessandro Rovello, prete della diocesi di Caltanissetta, insegna presso lo Studio teologico San Gregorio Agrigentino.

Commenti

  • 24/04/2020 F. D.

    Grazie. È una riflessione che, per chi la legge, non può essere spore, apprezzata solo dalla mente e dal cuore come si può fare per un brano musicale dopo averlo udito. A proposito di lettura dei "segni dei tempi", i segnali che ci provengono da chi esercita il potere politico e quello economico vanno nella direzione opposta a quella auspicata da don Alessandro. Spetta, quindi, ad ogni donna e uomo di buona volontà esercitare l'etica della responsabilità, trasformando i pensieri e le esortazioni in azioni tali da essere efficaci. Per fare ciò non si può essere bravi e buoni solo singolarmente... occorre organizzarsi e agire comunitariamente in modo da sollecitare i "costruttori di guerra" e i codardi a dire non solo "guardate come si amano" quando anche guardate come amano.

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