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Moralia Blog

Genitorialità responsabile I | Discernimento

Carissima Carla,

in questi giorni ho terminato la lettura di Amoris laetitia. Seguendo il consiglio di papa Francesco (cf. AL, n. 7) ho cercato di approfondire alcuni aspetti dell’amore coniugale e della sua fecondità, in particolare il cap. V.

Mi ha colpito il modo con cui viene affrontato il tema con un tono che, senza rinunciare alla riflessione teologica e all’analisi psicologica, cerca la prossimità con l’esperienza concreta, per far percepire la bellezza dei valori morali tra le pieghe dell’esistenza (cf. AL, n. 265).

È così che la fecondità viene declinata nelle sue specifiche sfumature di genere rivolgendosi alle madri e ai padri, ai loro dubbi e timori, alle gioie intime e alle attese cariche di speranza di fronte all’attesa della vita nascente. Il loro compito viene valorizzato in senso molto ampio, ben al di là della procreazione, per declinarsi nelle molteplici forme della generatività che accoglie e include le persone, soprattutto quelle più fragili, superando i confini del nucleo familiare per divenire segno e strumento dell’amore di Dio nella società e nella storia (cf. AL, n. 184). In tal modo l’accento sugli aspetti procreativi risulta ben integrato nel contesto dell’amore coniugale (cf. cap. IV) e da esso sgorga come da una sorgente, attrae e affascina, pur nell’indispensabile responsabilità che vi è connessa, senza imporsi come un peso o un dovere imposto dall’esterno (cf. AL, n. 35).

Sessualità e metodi naturali: la logica del "bene possibile"

Proprio per questo mi ha colpito il fatto che nel cap. V non sia mai citata l’enciclica Humanae vitae e che in tutta l’esortazione non si faccia mai riferimento esplicito alla norma morale dell’inscindibile unità dei significati unitivo e procreativo di ogni atto coniugale (cf. HV, n. 12), in base alla quale solo i metodi naturali risultano eticamente adeguati alla regolazione delle nascite (cf. HV, n. 14). L’intera impostazione del documento sembra aprire spazi al discernimento di ogni singola coppia chiamata a prendere una decisione in coscienza sul proprio progetto generativo, tenuto conto delle circostanze concrete in cui si trova a vivere la propria famiglia. Sebbene i metodi naturali continuino a essere lodati e vadano fatti conoscere specie tra le giovani coppie (cf. AL, n. 222), sembra che in base alla logica del “bene possibile” anche altri mezzi possano essere utilizzati, purché non abortivi.

Infatti, si riconosce come «vero che la retta coscienza degli sposi, quando sono stati molto generosi nella trasmissione della vita, può orientarli alla decisione di limitare il numero dei figli per motivi sufficientemente seri» (AL, n. 42) e che «la sessualità dev’essere una questione da trattare tra coniugi… di comune accordo» (AL, n. 154). Alcune coppie «non sono in condizione di comprendere, di apprezzare o di praticare pienamente le esigenze della legge» (AL, n. 259) oppure si trovano «in condizioni concrete che non permettono di agire diversamente e di prendere altre decisioni senza nuova colpa» (AL, n. 301). Con umiltà e discrezione una coppia potrebbe giungere a «riconoscere non solo che una situazione non risponde obiettivamente alla proposta generale del Vangelo; può anche riconoscere con sincerità e onestà ciò che per il momento è la risposta generosa che si può offrire a Dio, e scoprire con una certa sicurezza morale che quella è la donazione che Dio stesso sta richiedendo in mezzo alla complessità concreta dei limiti, benché non sia ancora pienamente l’ideale oggettivo». (AL, n. 303). In tal caso il ricorso a metodi diversi da quelli naturali non andrebbe più considerato come un male in tutti i casi, almeno sul piano soggettivo…

Ti sembra che questa lettura sia pertinente? Oppure il teologo “a tavolino” si è lasciato sedurre da suggestioni che niente hanno a che vedere con la verità morale e l’umana esperienza? Attendo una tua reazione come teologa e come donna a cui sta a cuore la ricerca del vero e la gioia delle famiglie.

A presto, Giovanni

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