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Moralia Blog

I vescovi: l’ospitalità come imperativo

L’intervento di Camillo Ripamonti della scorsa settimana ha evidenziato una volta di più quanto centrali siano in questi mesi i temi dell’accoglienza e delle migrazioni; a essi Moralia ha già dedicato il primo Dialoghi del 2018, curato da René Micallef, ma anche altri interventi (come, ad esempio, quelli di M. Dal Corso, S. Morandini, F. Compagnoni...). In questo post ci limitiamo a richiamare alcuni elementi della bella lettera Comunità accoglienti. Uscire dalla paura della Commissione episcopale per le migrazioni della CEI, che significativamente porta la data del 15 maggio 2018, festa di Pentecoste.[1]

Con realismo e intelligenza

A 25 anni dal precedente documento Ero forestiero e mi avete ospitato, la Commissione ritorna su un tema la cui ampiezza e complessità sono nel frattempo cresciute, fino a farne uno degli elementi qualificanti del dibattito pubblico.

Lo fa con un testo essenziale, ma incisivo, che muove da un veloce esame dei relativi dati (nn. 2-3): l’intento è quello di superare facili stereotipi, ma anche di evidenziare la rilevanza – demografica ed economica – ormai legata alla presenza delle persone migranti. Tali profondi mutamenti vanno affrontati – nota la lettera – «con realismo e intelligenza, con creatività e audacia e al tempo stesso con prudenza, evitando soluzioni semplicistiche» (n. 4).

In tal senso la consapevolezza dei limiti alle possibilità di accoglienza, particolarmente acuta in un tempo di crisi, non impedisce di porre al centro l’ospitalità, quale categoria chiave per pensare la questione. Occorre però articolarla nel segno della complessità: le migrazioni vanno percepite come «segno dei tempi», che richiede «uno sguardo profondo (...), capace di andare oltre letture superficiali o di comodo» (n. 5a), per coglierne i legami con l’inequità di un’economia globale che spesso uccide.

La via lunga della relazione

C’è, allora, uno sguardo da purificare (n. 5b), c’è da ritrovare «un linguaggio che non giudica e discrimina prima ancora di incontrare», c’è da costruire «una convivialità delle differenze» (n. 5c). Ciò significa, però, passare dalla paura, che spesso avvelena gli animi e i rapporti sociali, all’incontro con la persona migrante, con la concreta realtà che egli porta con sé, con la sua cultura. Qui può innestarsi un passaggio intelligente alla relazione, avviando dinamiche in cui si ricerca un con-sentire anche «a partire da presupposti differenti» (n. 5e).

Così è possibile avviare pure un’integrazione come «processo che non assimila, non omologa, ma riconosce e valorizza le differenze», in vista della «formazione di società plurali», che riconoscono i diritti e promuovono la partecipazione di tutti alla vita sociale ed economica (n.5.f).

Una sfida pastorale, una sfida culturale

Non sfugge al lettore la delicatezza del tono del testo, espressiva della coscienza di intervenire su un tema critico. Non sfugge, però, neppure la chiarezza della posizione assunta, che dà voce a un imperativo di accoglienza che attraversa del resto l’intero canone delle Scritture: l’icona di Abramo alle querce di Mamre (cf. Gen 18) viene ripesa fino alla lettera gli Ebrei (cf. Eb 13,2) proprio per invitare a praticare l’ospitalità.

Ma potremmo ricordare anche lo stesso stile di relazione di Gesù, quello che Christoph Theobald definisce la sua «santità ospitale». Non si tratta però solo di un dato confessionale: giungere a riconoscere nello straniero non il nemico, ma l’ospite – conclude il documento citando il card. Danielou – è un passaggio decisivo nella dinamica della civiltà.

La sfida è allora quella di tradurre tale istanza teologica e pastorale anche in un lavoro culturale, teso a superare facili stereotipi e comprensioni superficiali di situazioni complesse. Per esse le soluzioni non possono venire da gesti eclatanti o da posizioni di rottura, ma da un lavoro faticoso: di analisi, di comprensione, di costruzione di relazioni. Da un lavoro animato da quella parola chiave che è l’accoglienza ed espresso nella pratica tipicamente morale del discernimento.

 

[1] Cf. Regno-doc. 11,2018,364ss.

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