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Il dovere di riposare: per non ritornare schiavi

Tempo libero e riposo non esprimono propriamente la stessa interpretazione del tempo. Il primo, infatti, rimanda alla libertà rispetto a un tempo schiavizzato dal lavoro; il secondo, invece, rimanda a una comprensione del lavoro come opportunità di esistenza umana.

Detto diversamente e seguendo Hannah Arendt,[1] il lavoro è la maniera umana di sperimentare la felicità di essere vivi, in quanto nell’azione l’uomo compie faticosamente se stesso e non solo «fa delle cose». Lavoro, dunque, come via privilegiata verso sé, perché nella cura operosa del qui e ora, propria del lavoro, l’uomo si conosce, si ritrova e si compie.

Quando il lavoro diventa un idolo

Tuttavia questo percorso non è automatico. Il rischio che il lavoro sia compreso in modo strumentale, cioè in vista di altro – e dunque in termini di «pausa dalla vita» – è sempre possibile. Al contrario, ma seguendo una stessa logica interpretativa, si trova l’assolutizzazione del lavoro: il lavoro esaurisce il tempo della vita diventando un idolo.

Entrambe queste prospettive sono povere e inadatte al interpretare il tempo dell’esistenza come tempo propizio di vita.

Il tempo del riposo apre una prospettiva nuova. Il riposo, non solo come bisogno di recuperare le forze per lavorare meglio, ma come «dovere» inscritto nelle leggi della biologia e del cosmo, ridona la giusta prospettiva al lavoro. Infatti inserisce quest’ultimo in un’ermeneutica più ampia dell’esistere umano: quella del dare e del ricevere.

C’è un tempo per ogni cosa…

Nel ciclo sonno-veglia e riposo-lavoro, infatti, s’inscrive la verità dell’uomo: c’è un tempo per dare e un tempo per ricevere, un tempo per collaborare attivamente alla costruzione del mondo e un tempo per abbandonarsi.

Il riposo, dunque, si propone sia come abbandono fiducioso di chi accetta che non tutto dipenda da lui, sia come una condivisione del tempo di chi sa dare e sa ricevere. Detto diversamente: riposo colto come riconoscimento del primato della relazione, come sospensione della presa della realtà in nome di quest’ultima.[2]

In quest’ottica il riposo acquisisce priorità sul lavoro, altrimenti quest’ultimo cessa di essere cura per il qui e ora per diventare un fine in sé, una forma disperante di distrazione da sé.

In altri termini, il lavoro rischia di separarsi dal lavoratore, perdendo il senso per la sua vita. Al contrario, il lavoro è il lavoratore che nell’atto stesso del lavorare vive la sua vita e il riposo è propriamente ciò che apre questa possibilità.

Il riposo come astensione

Ma il significato del riposo non si ferma qui. Nella Bibbia il sabato è l’unica opera che il Creatore benedice e consacra (cf. Gen 2,3), cioè riserva per sé. Ne consegue che in questo giorno che Dio riserva per sé l’uomo è chiamato a partecipare coscientemente a quell’eternità che già vive in lui.

Il riposo si presenta così come ingresso in una dimensione più profonda del tempo, in cui la rinuncia al lavoro dice la relazione per eccellenza dell’uomo, quella con Dio. In altre parole, astenersi dal lavoro esprime la decisione di affidarsi: riposarsi, cioè, non solo dal lavoro, ma anche dal pensiero del lavoro. Questo è possibile in quanto si riconosce di non essere solipsisticamente padroni dello spazio manipolabile e del tempo fruibile, ma in relazione a un Altro che ha costituito e ha donato lo spazio e il tempo perché l’uomo potesse fare questa esperienza di libertà.

Se, infatti, l’uomo ha coscienza di sé e del mondo attraverso la propria opera, il riposo sabbatico, ordinato per ricordare la liberazione dalla schiavitù dell’Egitto (Dt 5,15) consente di non divenirne schiavi. Il dovere del riposo serve per non dimenticarlo.

 

[1] H. Arendt, Vita activa. La condizione umana, Bompiani 172012.

[2] S. Biancu, Presente. Una piccola etica del tempo, San Paolo, Milano 2014, 34.

Commenti

  • 04/04/2018 uomoplanetario@alice.it

    In un'epoca come la nostra dove dal diritto al lavoro si è passati ad un lavoro senza diritti mi sembra arduo pensare che chi lavora senza usufruire del meritato riposo lo faccia intenzionalmente e con una idolatrizzazazione dello stesso. Per la maggioranza delle persone non è così. Lavoro in ambio sanitario dove è nota la carenza di personale di tutte le figure professionali, in particolare infermieri e medici. Ci sono lavoratori che sono costretti a saltare i riposi previsti perché dopo il proprio turno di lavoro sono richiamati in servizio per sostituire un proprio collega ammalato o assente. E' etico assistere e curare delle persone malate ed inferme in una situazione di stanchezza estrema e senza avere riposato? Eppure questo è quello che capita ogni giorno negli ospedali e nei luoghi di cura. La riflessione sul dovere di riposare e sul diritto al riposo andrebbe allargata, da un lato, ad una normativa che consente di non usufruire di una adeguato riposo e, dall'altro, sulla mancanza di politiche che impongano l'assunzione stabile e duratura delle persone. Il declino del nostro paese passa anche dal fatto che oggi il lavoro è senza diritti e che il lavoro è molto spesso precario e senza prospettive dignitose. Paolo Veronese

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