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Moralia Blog

L'etica protestante, etica del comandamento

In un’intervista rilasciata negli anni ‘80 alla rivista della Federazione giovanile evangelica in Italia, Gioventù evangelica, il teologo valdese Vittorio Subilia, per molti anni ordinario di teologia dogmatica presso la Facoltà valdese di teologia di Roma, rispondeva a una domanda sulla riflessione etica con una frase divenuta ben presto “famosa”, che cito a memoria: «Siamo una facoltà teologica protestante, non ci occupiamo di etica».

Con questa frase paradossale Subilia intendeva certamente sottolineare il fatto che il rapporto tra l’agire di Dio verso l’uomo e l’agire umano suscitato dalla relazione con Dio mantengono sempre tra loro una dialettica paradossale. Compito della riflessione teologica, in una prospettiva protestante, sarebbe allora quello di mantenere vivo il senso di tale paradosso, evitando quindi di cristallizzare la dimensione dell’agire umano in una serie di norme morali assolute e definitive, che costituirebbero, appunto, il campo di ricerca dell’etica. 

Al di là delle intenzioni originarie di questa affermazione, si deve riconoscere che, anche in casa protestante, vale il detto nemo propheta in patria: il dibattito relativo ai diversi ambiti dell’etica (sociale, familiare, sessuale, ambientale, relativa alle scelte di inizio e fine vita, ecc.) si è potentemente imposto, non solo all’interno delle facoltà teologiche ma, più in generale, nella vita delle Chiese della Riforma.

Anch'esse, infatti, nel corso degli ultimi decenni, hanno visto un impetuoso aumento delle discussioni su questioni etiche, con un'abbondante produzione di documenti. Non essendo possibile entrare nel merito dei singoli capitoli, può essere interessante cercare di esplorare un’altra questione: quale definizione può essere offerta per un’etica protestante? In quale orizzonte si articola il suo contributo?

Un'etica ecclesiale, un'etica del comandamento

Già recentemente, proprio sulle pagine di Moralia, si è riflettuto su alcuni criteri di fondo dell’elaborazione etica e teologica del mondo protestante. Non intendo riprendere questi aspetti e non vorrei neanche affrontare la questione – che pure alcuni pongono – se sia corretto parlare di un’etica specificamente protestante.

A questo problema risponderò semplicemente dicendo che la riflessione etica sviluppata nelle Chiese protestanti altro non può essere se non un’etica protestante. In tal modo, si corregge anche un (pre)giudizio spesso espresso nei confronti del protestantesimo (e quindi anche della sua elaborazione etica): l’idea che la centralità dell’individuo, soggetto del proprio rapporto con Dio, determini un'assoluta irrilevanza del corpo ecclesiale.

Si tratta, sia detto con la massima chiarezza, di una caricatura, che solo un protestantesimo inconsapevole dei propri fondamenti potrebbe avvalorare con il proprio atteggiamento. Credo pertanto che una definizione – perfettibile ma appropriata – dell’etica protestante, alla luce dell’eredità della Riforma, sia la seguente: l’etica è il tentativo, provvisorio ma necessario, della comunità credente di vivere l’ubbidienza concreta al comandamento di Dio nella situazione data.

In tale prospettiva, l’elaborazione etica protestante si distingue tanto dal tentativo di individuare dei principi assoluti, dati una volta per tutte, che indirizzano (o dovrebbero indirizzare) l’agire del credente, quanto dall’idea di poter applicare sic et simpliciter delle norme – anche tratte dalla Scrittura – senza considerare il contesto specifico. L’unico principio di orientamento di fondo è appunto l’obbedienza al comandamento, che deve però, di volta in volta, essere articolata ed espressa, proprio in considerazione del fatto che nessuna realizzazione umana può essere assolutizzata.

Nella fede e nell'amore

In uno dei suoi testi più belli, La libertà del cristiano (1520), Martin Lutero pone la dimensione dell’operare umano in diretta relazione con il servizio svolto per gli altri. L’azione di servizio è uno dei due modi in cui si manifesta il fatto che il cristiano non vive in se stesso ma, al contrario, in Cristo per la fede e nel prossimo, appunto, per l’amore.

L’agire etico, in questa prospettiva, non è centrato sull’individuo, sulla sua autorealizzazione, bensì rivolto in maniera esclusiva verso l’esterno. Forse proprio questa riflessione potrebbe essere ripresa maggiormente anche in seno alle Chiese protestanti, dove talvolta si ha l’impressione che determinati dibattiti sull’etica divengano marcatori d’identità, rispetto ai quali la Chiesa sta o cade.

La comunità credente è sfidata a vivere con coerenza la propria ubbidienza al comandamento, senza però mai dimenticare che tale ubbidienza ha un carattere prospettico e, come tale, provvisorio e senza scordare che lo scopo di tale ubbidienza non è definire la propria identità, ma portare beneficio al di fuori di sé.      

 

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