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Moralia Blog

Nostra Signora devastata

Lo splendore di una grande chiesa, la ricchezza di un patrimonio culturale, d’arte e di fede che ha attraversato otto secoli: in una notte, rovine (molto tempo ci vorrà per ripararle).

Un monumento che è uno dei simboli di una grande città e di una nazione che vi ha celebrato momenti chiave della storia propria, ma anche dell’Europa stessa: in una notte, cenere.

Il dolore per la perdita di una bellezza così grande, amata da tanti, l’indignazione per l’accaduto (e l’interrogativo sulle responsabilità che lo hanno reso possibile) sono solo le prime reazioni dinanzi all’evento. Carico di una portata simbolica forte, esso chiede anche meditazione.

Sarebbe facile leggere qui l’espressione simbolica di quell’irreversibile decadenza della Chiesa contro cui si volgono tanti «profeti di sventura» (quanto attuale in questi giorni il richiamo di Giovanni XXIII nei loro confronti, nel discorso di apertura del Concilio!).

Altrettanto facile il richiamo - un po’ sapiente, un po’ cinico - all’umana caducità, alla finitezza di una condizione che nulla può ritenere stabile e definitivo.

Addirittura i due discorsi potrebbero convergere, in una dolente meditazione sulla fine di un’epoca, sull’inevitabile progressiva messa al margine di un sistema di credenze e di valori che hanno informato di sé tanta parte della storia europea; sulla profondità di una crisi che sembra lasciare posto solo per una cultura dalla violenza devastante.

Nostra Signora

Preferiamo uno sguardo diverso, memore della dedicazione della chiesa alla Madre di Gesù. Preferiamo cioè cogliere in un evento così drammatico l’invito ad assumere gli occhi di questo tempo pasquale, di questa settimana santa in cui contempliamo Maria stessa devastata dal dolore, per una morte apparentemente senza ritorno.

Qui ella comprenderà davvero il senso delle parole indirizzatele dall’anziano Simeone, pochi giorni dopo la nascita del figlio. «Anche a te una spada trafiggerà l’anima» (Lc 2,35), ad annunciare di un’esistenza in cui l’affetto senza riserve si sarebbe intrecciato con eventi senza alcun senso apparente.

Maria è «nostra signora» proprio anche perché ha saputo attraversare anche questa incomprensibile sofferenza, senza deporre la speranza. Maria è restata la donna del Magnificat, che anche nella notte del non-senso apparente continua a confessare «di generazione in generazione la sua misericordia per quelli che lo temono» (Lc 1, 50).

Il suo canto, allora, è sostegno per la speranza dei tempi difficili, quelli segnati da negatività devastanti. Ella, infatti, sa stare tenacemente accanto alla croce, in attesa di una luce che vada aldilà di essa; sa vivere anche la piccolezza come segno di una promessa più grande.

Far memoria di chi sia la «nostra signora» cui è dedicata la cattedrale parigina aiuta forse anche a una diversa meditazione del nostro tempo; sostiene la speranza in una diversa Europa, memore anche di colui che «ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote» (Lc 1,53).

 

Simone Morandini è coordinatore del progetto «Etica, teologia, filosofia» della Fondazione Lanza e insegna all’Istituto di studi ecumenici San Bernardino di Venezia; è coordinatore del blog Moralia.

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