m
Moralia Blog

Un tram chiamato disuguaglianza

Salire su un tram che porti dal paradiso all’inferno (e ritorno) nel giro di tre quarti d’ora è l’idea che ha mosso Riccardo Staglianò, de La Repubblica, ad attraversare Torino per toccare con mano quanto documentato dall’epidemiologo Giuseppe Costa, curatore dello studio L’equità nella salute in Italia (2015): chi abita nella zona precollinare della città ha un’aspettativa di vita superiore di quasi cinque anni rispetto a chi risiede nel quartiere (post)operaio delle Vallette.

L’intuizione si deve al sociologo di Oxford Göran Therborn, che in un’analoga ricerca su Londra mostrava il progressivo aumento del gap tra aspettativa di vita di ricchi e poveri residenti in quartieri diversi di una stessa città (divario raddoppiato nell’ultimo decennio, fino a toccare i 15 anni a Glasgow).

Certamente nel caso di Torino come delle altre metropoli italiane il paradiso ha il tratto contenuto e sobrio della collina oltre il fiume, e l’inferno ospita oasi e presidi che non lo condannano del tutto all’assenza di speranza; ma il dato conferma la complessità stratificata della città industriale e postindustriale, già denunciata negli anni Settanta come l’irrigidimento e il simbolo, allo stesso tempo, di strutture gerarchiche sociali con una scarsa possibilità di riscatto nell’arco di una generazione.

Nella smart city...

Nel tempo della smart city, la città intelligente che attraverso la rete di rapporti virtuali intenderebbe agevolare l’accesso per tutti a servizi e risorse, il quartiere in cui si abita determina ancora la durata e la qualità di vita: fattori occupazionali (da cui discendono comportamenti e abitudini con profonda incidenza sulla salute) e culturali (da cui dipende la capacità di «controllo sulla propria vita», come la definisce l’epidemiologo) fanno la differenza sotto il profilo della cura di sé e dei propri cari, così come della competenza nel partecipare ai processi decisionali da cui dipende l’effettiva integrazione di tutti i cittadini entro standard di vita omogenei.

Finché non saprà offrire a tutti uguali strumenti di consapevolezza, oltre che canali di accesso, anche la città smart resterà soggiogata al peso delle disuguaglianze e le stesse strategie dell’equity planning (progettazione condivisa, bilanci partecipati, ecc.) rimarranno svuotate del loro valore effettivo.

Gli investimenti che pure la governance di ogni media e grande città già mette in conto, hanno bisogno di fondarsi su di una visione promettente della vita urbana e di attivarsi mediante scelte progettuali puntuali.

 

La città come bene comune

Promettente sarà la città non tanto, o non solo, se continuerà a far brillare le luci del centro e i locali della movida, ma se diventerà fruibile come bene comune a partire dalla condizione di ciascuno dei suoi quartieri, in termini di abitabilità, dignità, socialità e prospettive di esistenza: un senso del vivere urbano, questo, non così scontato, data la tendenza storicamente costante a riprodurre nella città di pietra le gerarchie e le ingiustizie dei rapporti sociali che vi si innervano; ma un senso da promuovere urgentemente per superare le inequità che producono senso di abbandono, antagonismi e paure.

Così le scelte progettuali puntuali dovranno ispirarsi e perfezionare quel «rammendo delle periferie» già suggerito da Renzo Piano per alcune realtà (Catania, Roma, Torino, Milano), che passa attraverso ordinari interventi urbanistici di ripristino di spazi comuni, vie pedonali e ciclabili, edilizia popolare dignitosa, nonché luoghi di aggregazione, cultura, e discussione dove maturino forme di partecipazione diffusa e dal basso, che non sempre sono garantite dall’affidamento di tale istanza politica a professionisti del coinvolgimento (replicando quei rischi di utopia, demagogia, dilettantismo e clientelismo che Bruno Zanardi denunciava in riferimento all’urbanistica dei decenni passati ma che non si possono considerare del tutto superati nemmeno oggi).

La via è quella tracciata anche in Laudato si’, che riprende le linee di un’urbanistica inclusiva: ricercare, nella bellezza del progetto, la qualità di vita delle persone e favorire il punto di vista degli abitanti del luogo (cf. 150), nonché integrare le diverse parti della città – specie quelle disagiate - e dotarne gli abitanti di una visione d’insieme (cf. 151-152).

Lascia un commento

{{resultMessage}}