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Moralia Dialoghi

A 50 anni dalla Gaudium et spes

La pubblicazione della Laudato si’ (LS) a cinquant’anni dalla Gaudium et spes (1965 - GS) invita a riprendere l’enciclica di papa Francesco nello specchio dell’innovativo documento conciliare, ideale punto di riferimento per il ripensamento del successivo magistero sociale della chiesa. Lo sforzo di ridefinire un quadro antropologico per la lettura dei problemi socio-culturali, che caratterizza l’articolazione tra la prima e la seconda parte della costituzione conciliare, appare guidata dalla preoccupazione di non produrre solo una disamina «orizzontalista» e «sociologica» dei fatti, quanto piuttosto di offrire un tentativo di lettura teologica come paradigma interpretativo all’analisi sociale, senza per questo negare l’indipendenza metodologica di quest’ultima.

L’esito del documento fu di «dislocare» i contenuti consolidati della dottrina sociale ecclesiale dal contesto di origine, segnato da una critica nei confronti di alcuni aspetti della modernità, verso una maggiore capacità di lettura del mutamento sociale contemporaneo. Nondimeno emergeva la complessità delle problematiche, la cui vastità non poteva essere adeguatamente affrontata senza fare riferimento a più puntuali considerazioni, legate ai saperi delle singole scienze, accanto alla chiarificazione dei principi irrinunciabili per la lettura cristiana del sociale. Analoga preoccupazione è ravvisabile nel disegno complessivo di LS.

A riguardo può essere istruttivo fare riferimento ai numeri dell’enciclica in cui compaiono dirette riprese di GS e, a partire da esse, svolgere qualche considerazione di portata generale.

 

1. L’autonomia delle realtà terrene e la ricomprensione dell’antropocentrismo (GS 36 – LS 80)

Uno dei punti nodali di GS conciliare risulta l’attenzione riservata alla «autonomia delle realtà terrene», secondo la quale «le cose create e le stesse società hanno leggi e valori propri, che l’uomo gradatamente deve scoprire, usare e ordinare». Tale esigenza è giudicata «legittima» e «non solo è postulata dagli uomini del nostro tempo, ma anche è conforme al volere del Creatore» (GS 36). Nello sviluppo della costituzione pastorale l’affermazione si soffermava sulla bontà e la pertinenza della conoscenza scientifica, contribuendo, almeno nelle intenzioni, ad appianare il secolare dissidio tra scienza e fede, pur prendendo le distanze da una concezione dell’autonomia come radicale indipendenza dal Creatore, «il quale, mantenendo in esistenza tutte le cose, fa che siano quello che sono» (ivi).

Il documento conciliare è ripreso, pur allusivamente, da papa Francesco in LS 80, più che in riferimento alla questione del confronto tra prospettiva scientifica e religiosa, sotto il profilo teologico, comprendendo l’atto creatore come «autolimitazione di Dio» che lascia spazio ai dinamismi evolutivi autonomi degli esseri e della specifica azione umana. Il testo invita ad aprire la sobria indicazione conciliare del Creatore che «mantiene» e conferisce la realtà propria di ciascun essere creato, verso una sua presenza in ogni cosa. La collaborazione con il Creatore, assume, pertanto, la sua particolare espressione là dove si comprende che «egli è presente nel più intimo di ogni cosa senza condizionare l’autonomia della sua creature, e anche questo dà luogo alla legittima autonomia delle realtà terrene» (LS 80).

Questa autonomia non è soltanto da comprendere, come in GS, in riferimento all’attività dell’uomo nell’universo e alla libertà del suo conoscere, ma nel riconoscimento che ogni realtà creata contiene in sé un particolare valore, che domanda di essere rispettato da parte dell’essere umano (cf. LS 69). L’affermazione di Francesco, prolunga e approfondisce, con una significativa tangenza alle contemporanee teologie più attente alla prospettiva ecocentrica, quanto GS indicava, già temperando una possibile accentuazione antropocentrica presente nel documento conciliare, suggerendo che «l’uomo può e deve amare anche le cose che Dio ha creato. Da Dio le riceve, e le guarda [respicit, nel senso implicito anche di «rispetto»] e le onora come se al presente uscissero dalle mani di Dio» (GS 37).

 

2. La centralità dell’uomo nell’attività economica (GS 63 – LS 127)

Il secondo richiamo esplicito alla costituzione pastorale conciliare in LS è rintracciato al n.127, dove - nella prospettiva dell’ecologia integrale - si esamina il valore dell’attività umana. Riprendendo il significato del lavoro, come realtà non puramente strumentale bensì atto espressivo della persona, Francesco cita GS 63, che riconosce nell’uomo «l’autore, il centro e il fine di tutta la vita economico-sociale». L’indicazione conciliare va al di là di un semplice richiamo poiché il paragrafo di GS contiene in nuce numerosi elementi presenti in LS: attraverso la trasformazione dei beni e la loro distribuzione mediante l’attività economica non solo si coglie il senso dell’attività umana sulla creazione, ma anche si realizzano rapporti crescenti di interdipendenza, per soddisfare «le aumentate esigenze della famiglia umana» (GS 63).

Il documento del Vaticano II è consapevole, tuttavia, dei rischi insiti nell’esasperazione della mentalità economicista, a discapito di più significative modalità di espressione dei legami inter-soggettivi, e nell’allargamento delle disparità sociali, con il conseguente «regresso delle condizioni sociali dei deboli» e il «disprezzo dei poveri» (ivi). Il tema della cultura dello scarto, ampiamente presente nel testo di Francesco (cf. LS 16, 20-22, 43), trova una sua radice nell’insegnamento cinquantennale della GS e, parimenti, risulta ulteriormente precisato alla luce dell’evoluzione dell’economia globalizzata.

Raccogliendo l’insegnamento del concilio e dei successivi approfondimenti del magistero sociale dei pontefici, Francesco chiama ad un ripensamento non solo del modello di sviluppo, ma anche della stessa economia, come già auspicava GS 63, richiedendo «molte riforme nella vita economico-sociale e in tutti un mutamento nella mentalità e nelle abitudini di vita». I pesanti problemi dell’inquinamento e la difficoltà ad adottare un «modello circolare di produzione», in LS sono «intimamente legati alla cultura dello scarto, che colpisce tanto gli esseri umani esclusi, quanto le cose che si trasformano velocemente in spazzatura» (cfr. LS 22).

Non si tratta, nella lettura di Francesco, di considerare unicamente le «interconnessioni», descrivibili attraverso la sequenza dei processi innescati nella produzione e distribuzione dei beni estratti dalle risorse naturali, ma di cogliere le molteplici «relazioni». Anche una buona riflessione sui nessi causali non può essere sufficiente. Occorre piuttosto scendere a un livello più profondo e originario. Cardine di tale prospettiva, con un evidente riverbero sulla comprensione di sé da parte dell’essere umano, risulta essere il nesso relazionale che lega i viventi: «La tecnologia che, legata alla finanza, pretende di essere l’unica soluzione dei problemi, di fatto non è in grado di vedere il mistero delle molteplici relazioni che esistono tra le cose, e per questo a volte risolva un problema creandone altri» (LS 20).

 

3. Il primato del politico sull’economico (GS 26 – LS 156)

La via ipotizzata da papa Francesco per superare l’accentuazione unilaterale del potere economico è quella di restituire un più evidente ed efficace primato al «politico» (cf. LS 189) nelle decisioni che riguardano il ripensamento dei modelli economici, anche in vista di una significativa «decrescita» (cf. LS 193), per una ridistribuzione nell’accesso ai beni della terra secondo giustizia e sostenibilità.

Aspetti che, per certi versi non erano del tutto rimasti in ombra nella GS, ma che sono ben visibili nel successivo magistero di Paolo VI che, già nella Populorum progressio (1967), aveva suggerito come la rilevanza del politico all’interno delle scelte economiche contribuisce ad introdurre un processo di democratizzazione attento ai limiti di un libero scambio nello scenario di un mondo fortemente attraversato dal divario tra paesi ricchi e poveri. Lo stesso papa Montini nella Octogesima adveniens (1971) suggeriva una corrispettiva attenzione alla complessiva realtà storico-sociale entro la quale collocare il contributo dell’economia:

«L’attività economica, che è necessaria, può essere “sorgente di fraternità e segno della Provvidenza” se posta al servizio dell’uomo; essa è l’occasione di scambi concreti tra gli uomini, di diritti riconosciuti, di servizi resi, di dignità affermata nel lavoro. Terreno spesso di confronto e di dominio, essa può instaurare dialoghi e favorire cooperazioni. Tuttavia essa rischia di assorbire, se eccede, le forze e la libertà. È la ragione per cui si palesa necessario il passaggio dall’economia alla politica. È vero che sotto il termine “politica” sono possibili molte confusioni che devono essere chiarite; ma ciascuno sente che nel settore sociale ed economico, sia nazionale che internazionale, l’ultima decisione spetta al potere politico» (OA 46).

A riguardo il terzo richiamo esplicito alla GS in LS riguarda il tema del bene comune, principio centrale e unificante dell’etica socio-politica, inseparabile, per una sua corretta comprensione, dall’idea di ecologia umana. Francesco in LS 156 richiama la definizione conciliare di GS 26, facendo tesoro sia di una corretta articolazione degli altri principi di sussidiarietà e di solidarietà, sia connettendo nella prospettiva del bene comune l’opzione preferenziale per i poveri compresa come diretta conseguenza della «destinazione comune dei beni della terra».

Il principio del bene comune, pur sobriamente richiamato, è assunto nella sua duttilità interpretativa in riferimento ad una costante ridefinizione aderente ai mutamenti sociali. A riguardo Francesco ne offre, anche sulla scia del magistero di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, un ampliamento non solo in prospettiva mondiale, ma anche con attenzione alla «giustizia intergenerazionale» (LS 159): «Non si può parlare di sviluppo sostenibile senza una solidarietà fra le generazioni. (…) Non stiamo parlando di un atteggiamento opzionale, bensì di una questione essenziale di giustizia, dal momento che la terra che abbiamo ricevuto appartiene anche a coloro che verranno».

Pertanto la possibilità di articolare all’interno del bene comune la custodia del creato trae forza dalla centralità del principio di solidarietà e, particolarmente, dalla ripresa del criterio della destinazione universale dei beni, già espresso in GS 69. La responsabilità che unisce le generazioni non scaturisce solo dall’attenta considerazione dei dati previsionali della crisi ecologica, ma, con Francesco, acquista una precisa connotazione morale alla luce della dilatazione delle capacità decisionali attualmente affidate alla libertà umana (cf. LS 162).

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