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Moralia Dialoghi

Francesco: una prospettiva ecologica per pensare la giustizia

«Il “coltivare e custodire” non comprende solo il rapporto tra noi e l’ambiente, tra l’uomo e il creato, riguarda anche i rapporti umani» (Udienza generale, 5.6.2013). Se Francesco parla di ecologia quindi non lo fa in senso strettamente ambientalista, ma neanche a prescindere dall’ambiente.

La sua prospettiva coniuga l’attenzione alle relazioni umane con la considerazione e il rispetto del contesto dove queste si svolgono. Una prospettiva di “ecologia umana”, che articola quindi ambiente naturale, persone, comunità, popolazioni; si preoccupa degli spazi vitali in cui possano fiorire relazioni sociali giuste e cammini di sviluppo umano: è un modo di vivere il mondo – una spiritualità incarnata –, che genera vita e stili di vita e un indicatore di responsabilità umana e sociale. L’ecologia è così un paradigma di fondo con cui pensare oggi la giustizia.

Un ambiente corrotto

«L’inequità è la radice dei mali sociali». (Evangelii gaudium [EG], n. 202). In questo senso, ciò che innanzitutto minaccia l’ecologia umana è quella che il papa ha in più occasioni nominato come “cultura dello scarto”. Egli ricorre – è interessante notarlo – a un termine che ha un’immediata valenza ambientale, ma il cui significato viene esteso anche alle relazioni tra le persone, a segnalare che in radice si riconosce all’opera la medesima logica: «Quelli che non si possono integrare, gli esclusi sono scarti, “eccedenze”» (Discorso ai partecipanti all'incontro mondiale dei movimenti popolari, 28.10.2014).

Queste operazioni di scarto facilitano il passaggio a una “globalizzazione dell’indifferenza” − altra espressione ricorrente di Francesco − che anestetizza le coscienze e svuota di significato il termine responsabilità: «Ma perché allora ci abituiamo a vedere come si distrugge il lavoro dignitoso, si sfrattano tante famiglie, si cacciano i contadini, si fa la guerra e si abusa della natura? [...] Perché si è globalizzata l’indifferenza! […] che cosa importa a me di quello che succede agli altri finché difendo ciò che è mio?» (ivi). Come aveva già denunciato a Lampedusa l’8 luglio 2013, la globalizzazione dell’indifferenza «ci rende tutti “innominati”, responsabili senza nome e senza volto».

Il passo verso la corruzione è così sempre più breve. Vale la pena approfondire le pagine del papa sull’uomo corrotto (cf. L. Biagi, Corruzione, Messaggero, 2014) che «arriva a interiorizzare la sua maschera di uomo onesto» e «non percepisce la sua corruzione, proprio come succede con chi ha “l’alito cattivo”: sono gli altri a doverglielo dire» (Discorso alla delegazione dell'Associazione internazionale di diritto penale, 23.10.2014).

Ma la corruzione non è solo a livello personale. È contagiosa e degrada ulteriormente l’ambiente umano proprio come i rifiuti e l’inquinamento degradano l’ambiente. Gli episodi di corruzione che affiorano sui giornali sono solo il sintomo di un malessere più vasto e profondo, che incide radicalmente sull’ecologia umana: Se pur si manifesta in singoli atti, la corruzione infatti ha bisogno di un terreno su cui attecchire. Se la famiglia non è messa in grado di svolgere il proprio compito educativo, se leggi contrarie all’autentico bene dell’uomo diseducano i cittadini, se la giustizia procede con eccessiva lentezza, se la moralità viene indebolita dalla trasgressione tollerata, se le condizioni di vita sono degradate, se la scuola non accoglie e non emancipa, non è possibile garantire quella “ecologia umana” sulla cui mancanza alligna poi il fenomeno della corruzione (cf. Pontificio consiglio della giustizia e della pace, La lotta contro la corruzione, 2006). Questa, infatti, implica un insieme di relazioni, di complicità, di oscuramento delle coscienze, di ricatti e minacce, di patti non scritti e connivenze che chiamano in causa, prima delle strutture, le persone e la loro coscienza morale.

L’uragano di speranza

A tutto ciò l’antidoto non può che essere la solidarietà, nel suo senso profondo ed etimologico di consapevolezza etica dell’esistenza di un legame che non può essere rescisso: una solidarietà fra le persone, fra i popoli e anche fra le generazioni, che implica la conservazione dell’ambiente per quelle future. È il legame che la prospettiva olistica dell’ecologia umana ribadisce e che la dinamica dello scarto e dell’indifferenza pretendono di spezzare.

Anche la solidarietà verso i poveri assume la prospettiva ecologica della biodiversità e della valorizzazione delle differenze; non riduce i poveri ai loro bisogni, ma li riconosce e li promuove per ciò che sono: soggetti attivi, capaci di protagonismo sociale e di creazione di soluzioni innovative: «Che triste vedere che, dietro a presunte opere altruistiche, si riduce l’altro alla passività, lo si nega o, peggio ancora, si nascondono affari e ambizioni personali» (Discorso ai partecipanti all'incontro mondiale dei movimenti popolari).

La periferia verso cui papa Francesco spinge con decisione la Chiesa va quindi intesa come luogo preferenziale di salvezza, epifania della dignità della vita umana, riscatto e risurrezione dalla miseria collettiva attraverso l’esperienza della propria povertà e del bisogno dell’altro. Paradossalmente diventa chiaro che sono i contesti “sviluppati” a non poter fare a meno del contributo di quelli “sottosviluppati” per ridisegnare il proprio futuro. È, questa, un’ecologia della reciprocità e della comunione fraterna, che spinge in avanti la prospettiva della globalizzazione della solidarietà: «Che bello invece quando vediamo in movimento popoli e soprattutto i loro membri più poveri e i giovani. Allora sì, si sente il vento di promessa che ravviva la speranza di un mondo migliore. Che questo vento si trasformi in uragano di speranza. Questo è il mio desiderio» (ivi).

 

Giacomo Costa sj
direttore di Aggiornamenti sociali
presidente della Fondazione culturale San Fedele di Milano

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