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Moralia Dialoghi

Il Dio della vita

Per affrontare le problematiche ecologiche, a cui la Laudato si’ dedica il primo capitolo, Papa Francesco rilegge i racconti della Bibbia arrivando ad offrire una visione complessiva che viene dalla tradizione ebraico-cristiana e dalla rivelazione del Dio della vita che questa ci dona.

Questa visione articola la «tremenda responsabilità» (LS 90) dell’essere umano nei confronti del creato che è fondata sull’intimo legame tra tutte le creature e il fatto che «l’ambiente è un bene collettivo, patrimonio di tutta l’umanità e responsabilità di tutti» (LS 95). Nella Bibbia, «il Dio che libera e salva è lo stesso che ha creato l’universo» e «in lui affetto e forza si coniugano» (LS 73). Questo Dio liberatore è il Dio della vita tuttavia chi cercasse la voce «vita» in un dizionario biblico si imbatte in un fenomeno singolare: non si trova alcun chiaro equivalente del nostro concetto di vita, bensì un campo semantico ramificato, che in una terminologia fluida guarda di volta in volta da un determinato punto di vista alla vita degli uomini e degli animali (ma stranamente non delle piante).

Per comprendere in che misura la Laudato si’ fondi la comprensione dei problemi connessi alla cura della casa comune nella rivelazione di un Dio che si qualifica come Dio della vita ci sembra opportuno approfondire questa singolarità terminologica.

1. Vita

Partendo dai testi dell’Antico Testamento dobbiamo rilevare come non esista nella lingua ebraica alcun chiaro termine collettivo, che possa essere applicato a tutte le forme della vita: a differenza del pensiero greco che fondava la comprensione della vita sull’automazione, per quello ebraico la vita non è affatto in primo luogo un concetto antropologico o zoologico, bensì un concetto eminentemente teologico.

Vita non esprime una qualità che comprende uomini e animali, un sostrato biologico comune di tutti gli esseri viventi, ma l’azione di Dio verso il creato. Una delle convinzioni fondamentali della fede veterotestamentaria è la certezza che Jahvé è un Dio vivo. L’uomo biblico, consapevole della propria impotenza e caducità, riconosce che solo Dio è il vivente (cf. Dt 5,23; 2 Re 19,4; Sal 42,3), l’eternamente vivente (cf. Dt 32,40; Is 3,10; Dan 12,7; Sir 18,1), che fa partecipare le creature alla pienezza della propria vita. Egli è la «sorgente della vita» (Sal 36,10) e la «sorgente di acqua viva» (Ger 2,13; 17,13), cui tutto il creato deve la propria vita.

Al Dio vivente corrisponde l’uomo vivente: un essere relazionale che secondo il racconto biblico più antico della creazione Dio forma l’uomo dalla terra, gli inspira il proprio alito vivo e ne fa così un essere vivente a lui affine (cf. Gen 2,7). Fondamentale è che Dio, l’eternamente vivente, è sempre l’origine della vita umana: «Se togli loro il respiro muoiono e ritornano nella loro polvere» (Sal 104,29).

Fra tutti gli esseri viventi l’uomo emerge come il plenipotenziario di Dio, perché a lui è affidata la custodia del patrimonio del creato. Qui l’uomo sta in una relazione particolarmente stretta con gli animali, che sono messi in risalto come sue concreature. Assieme agli animali l’uomo riceve la benedizione divina della fecondità, che concede a tutti gli esseri viventi la capacità di procreare e figliare. La creazione degli animali della terraferma e la creazione dell’uomo avvengono lo stesso giorno, così come ad ambedue è assegnato lo stesso spazio vitale. Anche se lo schema letterario della creazione in sette giorni non ha la funzione di indicare un ordine generale intrinseco fra le opere della creazione, esso va comunque interpretato come un’allusione alla vicinanza pacifica che, secondo il primo racconto della creazione, collega fra di loro l’uomo e l’animale.

Continuando la nostra indagine bisogna notare come il più delle volte nell’Antico Testamento l’uomo è indicato con il termine nefeš, termine che nelle moderne traduzioni della Bibbia è di regola reso con «anima» o con altri termini equivalenti. In 600 su 755 passi i Settanta traducono questo termine fondamentale dell’antropologia biblica con psyché, mentre la Bibbia latina lo traduce in maniera corrispondente con anima. Questo scarto statistico mostra che già i primi traduttori si resero conto in numerosi passi di come la lingua greca fosse inadeguata a rendere il pensiero biblico. Questo termine serve quindi, anche se in maniera contraddittoria, non solo al fine di caratterizzare l’uomo per quel che egli è in sé, bensì anche al fine di distinguerlo dall’animale.

Una seconda coppia di termini dal significato affine sono rûah e léb. Il primo, quando lo traduciamo in italiano, acquista i suoi lineamenti biblici precisi solo alla luce del secondo. Spirito e cuore indicano insieme il centro personale vitale dell’uomo, la sede dei suoi sentimenti e delle sue passioni, nonché il luogo della volontà e della decisione, della presa razionale di posizione e dell’esperienza della coscienza morale. La traduzione di rûah con pnéuma o spiritus mette invece unilateralmente in risalto l’accezione razionale, che nel pensiero biblico è più fortemente legata al termine cuore.

Il quarto termine fondamentale della concezione biblica della vita è basar, carne. L’esame accurato dei 273 passi in cui ricorre ci dice che esso, diversamente dagli altri termini, che esprimono sempre una relazione fondata da Dio e includente l’uomo, viene applicato esclusivamente a uomini e animali e mai a Dio. Esso indica l’elemento comune a uomini e animali e anzitutto, in questo senso, la loro vita corporea irrorata di sangue. L’espressione collettiva «ogni carne» indica spesso tutta l’umanità (così nel Deuteroisaia; cf. Is 40,5s.; 49,26), ma può anche indicare la totalità degli esseri viventi (cf. Gen 6,17; 9,16) o perlomeno la comunità degli uomini e degli animali (così in Nm 18,15).

2. Il Nuovo Testamento

La concezione veterotestamentaria della vita si ispira in tutto e per tutto al fenomeno della vita naturale e anche per il Nuovo Testamento la vita non è un termine indicante un possesso statico, ma un concetto relazionale dinamico. La vita è espressione della relazione con il Dio vivo, da cui deriva tutta la vita (cf. At 17,25-28). Dio solo è il vero vivente (cf. Mt 16,16; 26,63; Rom 9,26); nell’uso senza articolo della terminologia missionaria cristiana primitiva questa professione di fede diventa addirittura un nome proprio, che distingue il Dio vivente dagli idoli morti (cf. At 14,15)19. Dio solo è il padrone della vita e della morte (cf. Mt 10,28); egli fa vivere, così come può uccidere (cf. Rom 4,17). Da lui proviene tutta la vita; lui è giudice dei vivi e dei morti (cf. 1Tm 6,13; 1Pt 4,5).

Lo sguardo, anche se nel Nuovo Testamento è rivolto più decisamente alla vita futura quale bene salvifico escatologico dei cristiani, è tuttavia consapevole dell’unicità di questa vita terrena. In Mc 8,37 la nostra vita attuale è presentata come un bene impagabile: «Che cosa potrebbe mai dare un uomo in cambio della propria vita?». In particolare le molte guarigioni miracolose operate da Gesù testimoniano un’alta valutazione della vita terrena. Il suo potere e la sua missione messianica si manifestano proprio nel fatto che egli ridona agli uomini sofferenti, fisicamente o spiritualmente malati, la loro vita integra. Si fa appello al potere di Gesù affinché egli restituisca la vita terrena perduta (cf. Lc 7,7.15). Il regno di Dio avanza se si ristabilisce il regno della vita anche nella sua forma esperienziale visibile.

3. Conclusioni

Da quanto emerso a motivo di questo suo intrinseco e ampio significato l’idea di vita poté addirittura divenire un concetto chiave della rivelazione biblica, concetto che offre alle sue più alte affermazioni sul compimento finale dell’uomo un punto di riferimento nell’esperienza della vita quotidiana. Laudato si’, nel centrare la cura della casa comune sul Dio della vita pone la questione ecologica nel centro del dato rivelato e non come una tema secondario che si aggiunge ad altri di maggiore importanza.

Il messaggio del cristianesimo parte dall’esperienza concreta della vita umana, che sperimentiamo come la nostra vita, e la interpreta come inaugurazione e preludio della vita eterna che vivremo nella comunione del Dio eterno. Così il termine che più ci è vicino e che collega la vita umana con la materia e con la vita di tutto il creato è adatto più di qualsiasi altro vocabolo del nostro linguaggio a esprimere la totalità e la pienezza che nel Credo della Chiesa confessiamo come la vita eterna.

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