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Moralia Dialoghi

Il Vangelo e la Chiesa nel sociale

Nella presente sezione di Dialoghi dedicata al tema «carisma e istituzione» rivive una problematica forse non molto definita e piuttosto controversa, tipica degli anni post-conciliari del secolo scorso, ma che ha ancor oggi alcune risonanze, anche se evidentemente non più la stessa forma e la stessa portata: diverse congiunture culturali, intellettuali e teologiche sono nel frattempo mutate.

Nel vivere sociale, la secca incidenza della globalizzazione ha accentuato notevolmente il dato tecnico e pragmatico, lasciando opacizzare la trasparenza antropologica ed etica di molti suoi ambiti, a partire dalla politica e dall’economia e finanza per giungere alla mediatica e alla bioetica, diminuendo notevolmente la rilevanza – e quindi la percezione – della competenza ecclesiale e ancor di più evangelica (cf. P. Carlotti, La virtù e la sua etica. Per l’educazione alla vita buona, LDC, Torino 2013).

Il dato tecnico sembrerebbe esaurire il bisogno: ma può essere veramente così? Oppure «il mondo interiore è rilevante nella valutazione normativa, e fa la differenza per la nostra concezione di ciò che dovremmo essere come cittadini, anche laddove non fa alcuna differenza in termini di effettivo comportamento. […] Perché mai, allora, dovremmo supporre che in uno dei più importanti ambiti della nostra esistenza, quello di cittadini, un guscio vuoto sia tutto ciò di cui abbiamo bisogno? [...] Chi obietta pensa che le nazioni abbiano bisogno di competenza tecnica: pensiero economico, dottrina militare, versatilità nella scienza e nella tecnologia informatica. Dunque le nazioni hanno bisogno di queste cose, ma non hanno bisogno di cuore»? (M. Nussbaum, Emozioni politiche. Perché l'amore conta per la giustizia , Il Mulino, Bologna 2013, 472s).

Nella stessa direzione, Paul Ricoeur aveva confrontato la “poetica” dell’amore con la “prosa” della giustizia, rispettivamente la logica della sovrabbondanza con la logica dell'equivalenza, nella consapevolezza della necessità di entrambe, verso un approccio alla realtà mosso da un “interesse disinteressato” suscitato da un’economia del dono, non solo “economica”. «L’economia del dono sopravanza da tutte le parti l'etica. A un’estremità di questo ventaglio troviamo il simbolismo... della creazione, nel senso fondamentale di donazione originaria dell'esistenza; appartiene a questo simbolismo il primo uso del predicato “buono” applicato in Genesi 1 a tutte le cose create [...] All'estremità opposta del ventaglio di significati in cui si declina l'economia del dono, troviamo il simbolismo, simmetrico a quello della creazione e non meno complesso dei fini ultimi, ove Dio appare la fonte di possibilità sconosciute» (P. Ricoeur, Amore e giustizia, Morcelliana, Brescia 2007, 32s).

Una nuova autocoscienza ecclesiale

Per altro verso, in molti modi, con la ricorrente fine delle molte “cristianità” la Chiesa è uscita dalla sua cittadella privilegiata e protetta e ha riscoperto il compito di annunciare non tanto se stessa, ma il Vangelo «in modo nuovo, come una nuova tappa dell’evangelizzazione di sempre» (Francesco, Misericordiae vultus, n. 4). È determinante questo giro di volta, che passa dall’ecclesiocentrismo al cristocentrismo, all’annuncio di quel Vangelo che è Gesù Cristo in persona. La concezione della Chiesa come cittadella protetta e privilegiata l’aveva poi resa particolarmente solidale con lo status quo sociale, di fatto esistente e prevalente, di cui si interpretava ultima garante e da cui si attendeva ritorni in benefici e riconoscimenti in privilegi. Era vigente una certa solidarietà tra il trono e l’altare, come era in uso dire, che talora vedeva la “ragion di stato” praticata oltre il suo naturale ambito, con qualche oscillazione in fatto di coerenza e di trasparenza, che ha reso meno luminosa se non opaca la posizione “ufficiale” della Chiesa.

Naturalmente la Chiesa non è mai stata solo la Chiesa gerarchica, al suo interno non sono mai mancate persone che, istituzionalmente irrilevanti o marginali e pur tuttavia realmente Chiesa, non hanno mancato di segnare una traccia convinta e convincente di vita cristiana, fraternamente solidale con l’uomo ultimo nel bisogno e nella necessità. Poveri in aiuto dei poveri, scarsamente provvisti di mezzi materiali, ma altamente dotati in stili di vita umanamente e cristianamente qualificati, quasi a ribadire l’ovvia verità della priorità dell’amore – e non dei suoi mezzi – per la sua autenticità: per essere caritatevoli ci vuole prima di tutto la carità e poi i soldi, e non è vero che senza i soldi non si possa essere caritatevoli e che con i soldi senz’altro lo si possa.

L’insegnamento sociale della Chiesa si è andato progressivamente riallineando con l’evoluzione di questa autocoscienza ecclesiale, anche con le sue alterne, ma alla fin fine anche orientative vicende, che hanno raggiunto un momento significativo con papa Francesco. La Chiesa con il suo insegnamento sociale ha saputo interrogare e anche sfidare i nuovi potentati e le nuove lobby economiche, finanziarie, politiche e mediatiche con riflessioni e pratiche strettamente corrispondenti, attivate anche in revisione sostanziale delle proprie posizioni tradizionali. Questa novità, dovuta – mi sembra – anche a un ascolto più attento e a un dialogo più tempestivo nel frattempo intervenuto tra magistero e teologia, è stata notata e riconosciuta anche da coloro che, dentro e fuori la Chiesa, la desidererebbero più incisiva e più conseguente nel riferimento profetico all’Evangelo e meno incline verso considerazioni “troppo umane”.

Un magistero sociale che evolve

Ne è un esempio emblematico la vicenda del magistero sulla pena di morte, che è culminata con la recente richiesta della sua abolizione da parte di Benedetto XVI e di Francesco, pur stante la relativa accettazione di Giovanni Paolo II nell’Evangelium vitae e l’approvazione di Pio XII. Lo stesso potrebbe dirsi a proposito del rifiuto della cosiddetta guerra giusta, pur nel delicato e concreto discernimento delle lecite azioni di legittima difesa, come i casi delle ricorrenti e gravi guerre civili ripropongono.

Si pensi pure, per il suo tempo, tempo che continua a essere significativo anche oggi, alla tempestiva recezione, operata dalla Pacem in terris di Giovanni XXIII, dei diritti dell’uomo, la cui “Carta” era stata emanata appena da qualche anno dall’ONU, nonostante il difficoltoso retroterra ecclesiale che li caratterizzava, specialmente alcuni di essi. Anche oggi non tutti nella Chiesa e nella società hanno la stessa disponibilità all’accoglienza concretamente sollecitata da papa Francesco verso il popolo del mare “nostrum”, tale che superi una facile indifferenza di fronte alle disgrazie altrui. È questa profezia quotidiana e possibile una novità della dottrina sociale della Chiesa.

Sul fronte dell’economia e della finanza globale si sono avuti importanti segnali di cambiamento, quando a un’economia segnata dalla logica della massimizzazione del profitto e dello scambio contrattuale si è avuto il coraggio di proporre un’economia del dono e di comunione, tesa in primis alla qualificazione umana e cristiana delle relazioni e delle loro reti, di modo che nell’esercizio della professione e del lavoro non si sia costretti a decurtare o a dimenticare la propria comune umanità. Il crescente “scarto” umano, fatto di povertà endemica e di miseria senza speranza – che il sistema economico induce –, è stato ben identificato e denunciato, non solo enfaticamente, ma prospettando efficacemente alternative oggi praticabili (P. Carlotti, Carità persona e sviluppo. La novità della Caritas in veritate, LAS, Roma 2011).

Anche la questione ecologica, svolta con pertinenza come ecologia umana, cioè come quella riflessione sulla custodia e la salvaguardia del creato che procede dalla considerazione dell’impatto ambientale dell’agire moralmente problematico dell’uomo, è segnale positivo e promettente. Non siamo di fronte a un semplice moralismo, disattento della complessità della questione nelle sue numerose dimensioni variamente tra loro embricate, quanto di fronte al tentativo di una lettura realmente profonda, che coinvolge l’uomo, che col proprio standard e stile di vita è agente ecologico primario. Anche la questione ecologica non può essere solo un guscio vuoto, fatto solo di tecnologie e di tecniche, ha bisogno di un cuore, di un cuore nuovo: non è forse questa la profezia di cui proprio oggi c’è bisogno?

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