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Moralia Dialoghi

La cultura dello scarto e lo spreco alimentare

Lo spreco di cibo è un fatto cronico e strutturale: potrebbe essere definita una «struttura di peccato» del nostro tempo. Che gli sprechi alimentari ammontino a 1,3 miliardi di tonnellate di cibo ogni anno, cioè un terzo della produzione mondiale, fa riflettere. Di questi, 670 milioni di tonnellate sono buttati nei paesi industrializzati, mentre 630 milioni in quelli in via di sviluppo.

1. Lo scandalo dello spreco

Ogni anno negli USA viene buttato il 40% dell’alimentazione disponibile, che significa lo sperpero di un quarto dell’acqua dolce utilizzata in un anno nel paese e dell’equivalente energetico di 300 milioni di barili di petrolio. In Italia ogni giorno finiscono nella spazzatura 4.000 tonnellate di cibo ancora buono, che al termine di un anno raggiungono i 6 milioni di tonnellate, ossia poco meno di un quinto dei rifiuti urbani prodotti.

La disponibilità di cibo nel mondo supera di oltre il 20% quanto basta a far mangiare tutti. Sarebbe sufficiente un quarto del cibo gettato ogni anno per risolvere il problema della denutrizione. Per questo cibo prodotto e sprecato in 12 mesi nel mondo s’investe un volume di acqua pari al flusso annuo di un fiume come il Volga, si utilizzano 1,4 miliardi di ettari di terreno e si provocano 3,3 miliardi di tonnellate di gas serra. Il cibo scartato ha un’impronta ecologica enorme: sono in gioco sia la sostenibilità ecologica, sia la giustizia tra le generazioni.

Papa Francesco in un passaggio della Evangelii gaudium (n. 191) afferma: «Ci scandalizza il fatto di sapere che esiste cibo sufficiente per tutti e che la fame si deve alla cattiva distribuzione dei beni e del reddito. Il problema si aggrava con la pratica generalizzata dello spreco». Il troppo e il troppo poco sono due facce della stessa medaglia: il non riconoscimento etico dell’altro.

2. Il cibo nella Bibbia: dono della Provvidenza
per una convivialità

Si spreca ciò che non è riconosciuto come dono. Nella Bibbia, invece, Dio si lega al cibo. Il popolo d’Israele dipende dalla Provvidenza di un Dio che si lascia consumare dalla logica del nutrimento, dal bisogno di sopravvivenza del popolo. Il patto di alleanza è anche risposta a quest’esigenza: il popolo non morirà perché sarà Dio a sostenerlo in vita.

Il racconto della manna in Esodo 16 è emblematico della risposta che Dio offre alla fame umana. Mentre il popolo rimpiange il cibo garantito in Egitto, Dio prospetta un cammino di liberazione dove è Lui stesso a provvedere. Ognuno può mangiare a sazietà: ciò significa che Dio elargisce la vita. Il cibo non si limita a un solo giorno, ma lungo tutto il tempo del cammino. È dono che si rinnova.

La manna si sostiene sul dono della Legge. La regola del «quanto basta per un giorno» salvaguarda la provvidenza di Dio, contesta logiche di accumulo e lega il cibo alla legge dell’uomo. È il modo con cui impariamo che Dio dà sempre e lo fa con abbondanza. È cibo da ricercarsi ogni giorno, a testimonianza che l’azione di Dio non può essere accolta una volta per tutte ma richieda un’adesione rinnovata nell'obbedienza alla Parola. Anche noi facciamo esperienza della scadenza del cibo. La legge dell'accumulo non è vincente: lo è invece quella della novità data dalla semina, raccolto, lavorazione, preparazione che si rinnova al ritmo delle stagioni e dei giorni. Tutti gli anni si semina e tutti i giorni ci si mette ai fornelli.

Non esiste la possibilità di fare incetta di cibo per sempre, nonostante la disponibilità di dispense, frigoriferi e congelatori: è pura illusione. Il cibo sottoposto all'usura del tempo ci rivela una dipendenza quotidiana e la necessità di un dono che ogni volta è nuova provvidenza.

3. Oltre la cultura dello scarto

Il cibo che finisce nella spazzatura è frutto della cultura dello scarto. Papa Francesco è tornato a più riprese sull’argomento, denunciando logiche di esclusione sociale a partire dal consumismo odierno. Nel discorso ai movimenti popolari del 28 ottobre 2014 sui temi della terra, della casa e del lavoro, ha associato le contraddizioni del mondo odierno alle disuguaglianze sociali. La fame è frutto di un processo globale: «Quando la speculazione finanziaria condiziona il prezzo degli alimenti trattandoli come una merce qualsiasi, milioni di persone soffrono e muoiono di fame. Dall'altra parte si scartano tonnellate di alimenti. Ciò costituisce un vero scandalo. La fame è criminale, l’alimentazione è un diritto inalienabile».

Se il livello di competitività diventa assoluto, il criterio vincente sottostà alla legge del più forte. Il più potente strumentalizza ed esclude il più debole. Mentre fa notizia il calo di percentuale della borsa, diviene trascurabile o inevitabile alla logica del sistema la morte di una persona per povertà. Così «grandi masse di popolazione si vedono escluse ed emarginate: senza lavoro, senza prospettive, senza vie di uscita. Si considera l’essere umano in se stesso come un bene di consumo, che si può usare e poi gettare» (Evangelii gaudium, n. 53).

È una cultura che non scarta solo rifiuti-oggetti, ma genera rifiuti umani. Non scarta solo il cibo, ma anche le persone che sono considerate strumenti nel tritacarne del desiderio individuale di consumare. Questa mentalità contagia tutti: la persona non è più considerata un valore primario da promuovere, ma scarto da buttare.

Questa struttura di peccato va trasformata. Lo si può fare solo a condizione di rimettere al centro il valore della persona umana. La soluzione alternativa sta nell’affidare ai poveri il ruolo di protagonisti. Si tratta di organizzare le persone e camminare con i poveri. Serve un cambio di paradigma: il riconoscimento cioè che in diverse situazioni le periferie sanno adottare logiche inclusive attraverso il confronto, la contaminazione dei modelli di vita, l’affidarsi a stili di vita non consumistici. La fede alimenta una consapevolezza: ciò che l’uomo scarta può divenire pietra angolare agli occhi di Dio. È già capitato con Gesù Cristo, che rivela un modo di agire di Dio. Simone Weil amava parlare di un Dio che «pratica il recupero degli scarti».

Vi è un potenziale salvifico racchiuso negli scarti: sono un invito ad accogliere il limite e a comprendere il senso profondo della convivialità. Infatti, solo a partire dal gesto dello spezzare il pane è possibile capire il messaggio di Cristo. Sulla scia dell’Angelo della storia di Walter Benjamin il futuro dell’umanità cova sotto le ceneri dei nostri fallimenti. Non per ripeterli, ma per trasformarli.

La strategia dello scarto oggi produce esclusione e reificazione. Ripartire dai rifiuti umani perché siano al centro di una nuova cultura della condivisione finirà per rinnovare la nostra umanità. Ai credenti in Cristo il compito di servire questo progetto. Del resto è quello che sperimentano ogni domenica nell’eucaristia. È la Pasqua che continua.


Bruno Bignami
Istituto superiore di Scienze religiose di Crema-Cremona-Lodi-Vigevano
Studio Teologico Interdiocesano

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