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Moralia Dialoghi

Nella vita della Chiesa: quando le persone sono una risorsa

Il riconoscimento e la valorizzazione dei carismi, indispensabili perché il popolo di Dio torni davvero a essere il soggetto principale della missione della Chiesa, restano ancora pesantemente condizionati da molti equivoci. Lo è, a dire il vero, già l’asserto or ora dichiarato, per il quale il principale soggetto della missione della Chiesa sarebbe il popolo di Dio e non il vescovo. E questo nonostante che Lumen gentium definisca l’intero corpo dei cristiani come “popolo messianico” e “strumento della redenzione”, e nonostante che il Codice di diritto canonico investa tutti i fedeli della più grande di tutte le responsabilità che la Chiesa ha nei confronti del mondo, cioè il compito di evangelizzare: “Il compito dell’evangelizzazione …dovere fondamentale del popolo di Dio” (can. 781).

Nonostante sia stato spesso denunciata, stenta a morire anche l’idea che le istituzioni della Chiesa nulla abbiano a che fare con i carismi, e che l’attività carismatica sia ovviamente estranea o contrapposta alle attività istituzionali della Chiesa. Per smentirla basta ricordare che le istituzioni fondamentali della Chiesa sono basate sui sacramenti del battesimo, dell’ordine e del matrimonio, che sono azione divina nel cuore dell’uomo, tesa a trasformarlo dotandolo di una grazia specifica, cioè di un carisma.

Il carisma nell’ordinario

L’impressione diffusa, poi, che i carismi debbano svelarsi per qualche loro connotazione fuori dell’ordinario, ormai da nessuno dichiarata esplicitamente, opera nel sottofondo così efficacemente da aver permesso ai pastoralisti, ai moralisti e ai teologi in genere di studiare e progettare la missione della Chiesa senza prestare alcuna attenzione a quei carismi, diffusissimi e di grande importanza, che sono inscritti nelle competenze professionali e nelle esperienze acquisite dai fedeli nella loro operosità quotidiana, come se queste nulla avessero a che fare con i doni dello Spirito che formano la personalità del fedele.

Il superamento di questi equivoci deve venire da un’impostazione della visione della Chiesa che non si arresti alla considerazione delle sue istituzioni, quasi che sul suo vivere quotidiano, non inscritto nel quadro istituzionale ecclesiastico, oppure operante dentro le istituzioni civili, l’ecclesiologia nulla avesse da dire: “Quod non est in registro non est in mundo”.

L’appassionata ricerca di una possibile definizione adeguata della Chiesa ha inseguito molte categorie, tutte dotate di una loro fecondità, come comunione, società, comunità, popolo, corpo, corpo di Cristo. Anche la categoria di “persona” è apparsa spesso sulla scena: si ricorderà degli anni Sessanta il bel libro Una mystica persona di Heribert Műhlen. Ma poco si sono considerate le “persone”, come uomini e donne in carne e ossa, nonostante l’ovvio riconoscimento che la Chiesa esiste solo se alcune “persone” si coinvolgono reciprocamente nella comunicazione della fede.

Detto questo, bisognerebbe riconoscere che ogni nuova persona che entri nella Chiesa vi apporta la sua singolare dotazione carismatica, contribuendo così a trasformarne il volto intero e determinare di sé la sua azione nel mondo. Dopo il celebre saggio di Von Balthasar Chi è la Chiesa?, Joseph Komonchak ha intitolato un suo recente saggio Who are the Church? che, tradotto, suonerebbe in maniera un po’ bizzarra: “Chi sono (o siamo) la Chiesa?”.

Per parlare adeguatamente dell’apporto dei carismi alla forma della Chiesa sarebbe opportuno cominciare utilizzando gli schemi tipologici elementari, con cui abitualmente si definiscono le singolarità dei diversi tipi umani. Il concetto di carisma si differenzia da quello di istituzione, infatti, perché dice un’azione dello Spirito Santo nell’interiorità del credente, che ne determina in modo nuovo la personalità, dal di dentro della sua esperienza vitale. Tutto in lui sarà invaso da quel carisma dei carismi, che è la fede.

Già l’essere donna o essere uomo diventerà, quindi, una differenza anche carismaticamente determinata dalla determinazione della fede. L’essere giovane o l’essere vecchio non è un dato indifferente in rapporto alla propria collocazione nella Chiesa e la partecipazione alla sua missione.

Un rapporto complesso

Essere dotati di un alto grado di istruzione, oppure essere dotati di un alto sapere pratico, contribuisce a determinare personalità diverse, che apportano alla vita ecclesiale diverse dotazioni carismatiche. Essere contadino o magistrato, manovale dell’edilizia o imprenditore, insegnante o cuoco, medico o impiegato comunale, meccanico o ingegnere spaziale non possono essere considerati dati irrilevanti, se è vero che la fede investe la totalità della persona.

I doni dello Spirito, i cammini di perfezione e la santità, come la multiformità della missione non sono determinati solo dalla posizione istituzionale del fedele nella Chiesa. La vita, e la vita di fede, viene prima del suo ordinamento.

Per questo, una volta censurata l’ipotesi di un’alternativa fra carisma e istituzione, bisogna affrontare seriamente il complesso rapporto fra i due. Ci sono, infatti, anche situazioni nelle quali, di fatto, istituzione e carisma divaricano. Indicherei solo due esempi. Ci sono vescovi dediti a compiti istituzionali, per esempio all’amministrazione dei beni della Chiesa, che non hanno molto a che vedere con il carisma del ministero episcopale.

Un secondo esempio è assai drammatico: ci sono situazioni matrimoniali istituzionalmente corrette, nelle quali il carisma dell’amore reciproco non c’è, e ci sono situazioni istituzionalmente scorrette, nelle quali l’amore famigliare è realmente vissuto. Ma il problema più di fondo per la Chiesa resta ancora quello di un suo ordinamento, tuttora incapace di dare voce in capitolo, in una vera struttura sinodale di carattere decisionale, ai carismi dei fedeli comuni, perdendo in tal modo, nell’efficacia del suo funzionamento, le grandi ricchezze di attitudini, competenze ed esperienze nelle quali agisce e si manifesta l’azione dello Spirito.

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