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Moralia Dialoghi

Per un fruttuoso scambio e confronto tra prospettive disciplinari

Vorrei incominciare queste brevi riflessioni dichiarando che la mia conoscenza della letteratura teologico–morale cattolica prodotta nel nostro paese non ha carattere sistematico. La mia frequentazione di riviste e volumi di carattere teologico, in particolare con riferimento a tematiche etico-pratiche, è senza dubbio non episodica, ma non posso dire di avere una conoscenza approfondita dell’insieme della produzione in questo settore.

Perciò, è possibile che le impressioni che qui verrò esponendo siano viziate da un’insufficiente dimestichezza con quest’area disciplinare. In linea generale, mi pare di poter dire che, in molte sue espressioni, la teologia morale italiana possieda una notevole profondità di analisi e un profilo scientifico di grande valore. Alcuni dei contributi pubblicati nelle principali collane degli editori che si occupano principalmente di teologia si collocano su livelli di valore internazionale, per ricchezza e raffinatezza di analisi, sia storica, sia esegetica, sia concettuale e argomentativa.

In diversi di questi casi, il confronto con la ricerca etico–filosofica è significativo e approfondito; il che potrebbe far ipotizzare un fruttuoso scambio e confronto tra prospettive disciplinari, che consenta all’una di beneficiare del lavoro svolto dell’altra. Un simile confronto – per quanto mi è dato di vedere – avviene, tuttavia, solo in misura limitata. Le ragioni di ciò mi pare si possano ricondurre a un duplice ordine di considerazioni.

Le ragioni di un limitato confronto: da parte della filosofia morale…

Da un lato, un limite al confronto tra ricerca teologica e ricerca filosofica è dato dal carattere parziale del riferimento operato dalla teologia alla ricerca filosofica. Intendo dire, con ciò, che, quando si istituisce un confronto con la ricerca filosofica, accade spesso che si selezionino quegli autori che appaiono per vari aspetti già prossimi a una ricerca teologica, o quanto meno che propongono prospettive filosofiche ispirate a tradizioni religiose: è il caso, per fare alcuni esempi, di filosofi come Blondel, Marcel, Buber, Lévinas o Ricoeur.

Questo è ovviamente naturale, ma fa correre il rischio di presentare come punto di vista de “la filosofia contemporanea” una parte che oggigiorno si deve ritenere minoritaria nel panorama delle posizioni filosofiche. In molti casi, si tratta infatti di autori i cui contributi principali risalgono a molti decenni fa e che non possono dirsi contemporanei nell’accezione più ristretta del termine. Un ulteriore elemento di parzialità è dato dal riferimento privilegiato ad autori della filosofia francese o tedesca; ciò è pienamente in linea con le tendenze culturali più generali del nostro paese, ma ha comunque il limite di trascurare il fatto che una parte molto consistente della ricerca etico–filosofica odierna proviene dalle aree di lingua inglese, o che hanno adottato l’inglese come lingua veicolare della ricerca accademica.

Dall’altro versante, il confronto fruttuoso che potrebbe instaurarsi tra teologia e filosofia è limitato – in misura assai rilevante – dalla sostanziale ignoranza, da parte dei filosofi, della letteratura in ambito teologico. Per ragioni storiche e istituzionali ben note, in Italia la teologia non fa parte del novero delle discipline accademiche, sicché la stessa idea di concepirla come argomento di riflessione scientifica è spesso considerata dubbia dagli ambienti accademici “laici”.

L’idea che molto spesso viene sottintesa è che la teologia non costituisca una disciplina votata a una ricerca autonoma, con propri criteri scientifici, ma sia invece una sorta di strumento per ripetere e illustrare verità elaborate altrove, le quali costituiscono in fondo il suo reale criterio di scientificità.

…e della teologia morale

Questa figura scadente del lavoro teologico deriva, appunto, dalla scarsa dimestichezza dei filosofi con la ricerca teologica di alto livello; ma è in qualche misura anche responsabilità della teologia stessa, che, almeno in alcuni casi, tende effettivamente a presentarsi in questa veste puramente ancillare.

Mi riferisco, in particolare, a una certa pubblicistica su temi bioetici, nella quale lo sforzo argomentativo e di libera ricerca è talvolta ridotto al minimo, per enfatizzare piuttosto la presentazione di alcune tesi, la cui verità viene in certo modo data per acquisita anteriormente allo svolgimento della ricerca. Accade spesso di osservare, in questo tipo di letteratura, un sostanziale disinteresse nei confronti dell’analisi dettagliata delle ragioni e degli argomenti avanzati dalle diverse prospettive dell’etica “laica”; si presuppone, in sostanza, che questa ricerca non abbia nulla da offrire a una riflessione morale ispirata alla fede religiosa, dal momento che, tolto il riferimento a Dio e ai valori o alle norme assolute, non resterebbe lo spazio se non per concezioni relativiste, soggettiviste o procedurali.

Questa sostanziale liquidazione delle prospettive non religiose che talvolta si osserva nella letteratura teologica è di per sé criticabile, ma soprattutto rischia di alimentare il corrispondente disinteresse della ricerca filosofica per quanto di rilevante e di scientificamente sviluppato viene proposto dalla ricerca teologica. Questa situazione è indubbiamente poco auspicabile, perché tende inesorabilmente a protrarre la contrapposizione, per molti versi inappropriata e infruttuosa, tra etica cattolica ed etica laica; contrapposizione che serve più a rivendicare identità culturali forti e non negoziabili che a portare avanti programmi di ricerca che possano condurre a soluzioni condivise. Da questo punto di vista, il ruolo della teologia morale nel dibattito etico del nostro paese potrebbe essere molto più rilevante e fruttuoso di quello che è stato negli ultimi vent’anni.

Una teologia morale percepita – talvolta a torto, ma spesso a ragione – come una sorta di megafono (se mi si passa il termine) del magistero rappresenta, per molti aspetti, una risorsa sprecata: in primo luogo, perché, in un paese come l’Italia, il magistero non ha granché bisogno di megafoni per far sentire la sua parola; in secondo luogo, perché in questo modo la teologia rinuncia a svolgere quel ruolo di mediazione tra la fede e la cultura che è costitutivo della sua vocazione. Mediazione che, per l’appunto, si realizza nel propiziare un’intelligenza della fede, ovvero un’argomentazione pacata e dialogante delle ragioni che la fede propone a ogni persona di buona volontà.

Prospettive di convergenza

Volendo indicare, molto timidamente, delle possibili vie per migliorare la qualità e l’impatto della ricerca teologico–morale italiana, mi concentrerei su due elementi, entrambi importanti. Da un lato, è vitale attivare un confronto più sistematico e costante con le tendenze attuali della ricerca etico–filosofica; lo sforzo sincero di comprenderne le ragioni può condurre sia a una critica più efficace e persuasiva dei loro limiti, sia all’individuazione di percorsi parzialmente comuni, che possano essere utili anche in vista dei riflessi pubblici, politici o legislativi, di molti argomenti attuali.

D’altro lato, e sempre nella medesima prospettiva di un dialogo più profondo e più proficuo con il mondo contemporaneo, è importante che la teologia ripensi il proprio ruolo pubblico, attivando forme di presenza nuove e più incisive. È strano che, benché vi sia una cospicua presenza mediatica del papa o dei vescovi, la presenza sulla scena culturale italiana dei teologi costituisca un fatto raro e poco diffuso.

La teologia esce con molta difficoltà dalle facoltà teologiche, dalle librerie teologiche e dagli ambienti associativi e culturali di ispirazione religiosa. Certo, non solo e forse non primariamente per colpa sua, ma in larga parte per il suddetto disinteresse della cultura laica. Cionondimeno, uno sforzo di immaginazione per trovare strade che consentano di fare del discorso teologico un elemento non episodico della discussione culturale pubblica sulle grandi questioni etiche della nostra società è un compito non differibile: per il bene della teologia e della fede, ma in ultima istanza per il bene della stessa società.

Commenti

  • 13/11/2017 fcomp@pust.it

    Trovo il contributo di M. Reichlin corrispondente con l mia esperienza italiana. Il problema come lo imposta lui poterebbe essere utilmente un tema di discussione per l'ATISM Nord in un incontro prossimo. Francesco Compagnoni

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