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Moralia Dialoghi

Teologia morale e filosofia morale in Italia. Per un’interazione

Un po’ di storia…

Per capire quali sono i rapporti tra la teologia morale e la filosofia morale, e più generalmente la cultura, in Italia, mancando una documentazione analitica (volumi, riviste, discussioni) ci si deve basare su una percezione complessiva che è di natura intuitiva, nella speranza che non sia troppo condizionata da eventuali pregiudizi.

Il dibattito etico in Italia ha ripreso lentamente vigore a partire dalla fine degli anni Ottanta del Novecento grazie agli effetti della “fine delle ideologie” e alla contemporanea affermazione della demistificazione nietzschiana della morale (il “pensiero negativo” nella definizione di I. Mancini). Prima di quel tornante una riflessione morale, accademica e non, non aveva un particolare rilievo pubblico, se non in contesti ristretti: basterebbe consultare i cataloghi delle case editrici del tempo per averne una conferma.

Spesso l’innesco della riflessione è derivata dall’introduzione di opere di pensatori di altre aeree culturali (anglosassone: J. Rawls, A. MacIntyre; tedesca: riabilitazione della filosofia pratica, K.O. Apel, J. Habermas, H. Jonas; francese: E. Levinas, P. Ricœur; …); di lì in poi anche la filosofia italiana ha incominciato a produrre, prima in dipendenza da questioni provenienti da altrove e poi progressivamente con l’apporto di percorsi originali di ricerca, in particolare sul crinale tra antropologia ed etica.

Attiva in questa ripresa è stata ed è ancora oggi un’antica pregiudiziale “kantiana”, soprattutto nei confronti di un contesto considerato “cattolico”, per quanto in via di rapida secolarizzazione: la rivendicazione dell’autonomia dell’etica dalla religione, da un lato, ha impedito un confronto diretto e tranquillo con le istanze religiose e teologiche; dall’altro, spesso ha eretto l’istanza etica a unica valutazione critica, severa o distaccata, dell’atteggiamento religioso.

Due dimensioni

In questa storia hanno pesato due momenti. Le nuove frontiere morali sono diventate sensibili particolarmente in campo bioetico, ove la rivendicazione di “valori non negoziabili” ha reso difficile una ricerca più spassionata in questo e in altri campi. D’altra parte, nonostante gli appelli, una vera e propria “morale laica” autorevole non ha mai preso forma, nonostante il predominio sulle cattedre universitarie.

Talvolta queste due dimensioni si sono presentate con una forte connotazione fantasmatica e meramente ideologica: da un lato la contrazione moralistica si affermava in termini di egemonia, dall’altro l’assenza di una “morale laica” capace di ethos o di “religione civile” accentuava a vuoto la sua prestazione.

Se nella produzione di teologia morale si può scorgere un’attenzione reale, anche se non sempre molto approfondita, alla ricerca filosofica, è raro trovare in campo filosofico un qualche atteggiamento corrispondente. La pregiudiziale “kantiana” e gli steccati culturali con le loro ricadute politiche e accademiche, pur non essendo così marcati come altrove (ad es. in Francia), hanno di fatto impedito una qualche attenzione al possibile lato religioso della questione morale. Solo quando J. Habermas nella svolta del millennio ha tolto una sorta di veto da lui stesso in precedenza formulato, l’atteggiamento anche in Italia è diventato più possibilista, senza però mutare l’assetto finora descritto.

In questi ultimi cinque decenni la teologia morale ha dovuto innanzitutto accogliere l’invito a rinnovarsi proveniente dal magistero conciliare e poi affrontare alcune sfibranti questioni di assetto interno che non potevano essere di significativo stimolo ad un’interlocuzione esterna (morale autonoma, opzione fondamentale …). A lungo, poi, l’insegnamento della morale (in particolare nel campo sessuale e nella bioetica, quest’ultima cresciuta a dismisura rispetto ad altri aspetti ugualmente importanti) è stato sottoposto a particolare sorveglianza, che non ha certamente favorito il dibattito interno né soprattutto il rapporto con altre componenti della cultura e della società.

Parlare di estraneità, in questo caso, è certamente corretto. I recenti manuali hanno portato ad un buon livello il risultato complessivo della produzione teologica morale proposta nell’insegnamento nelle facoltà teologiche, ma probabilmente risulta essere come una torre d’avorio, non propriamente in grado per interloquire con la filosofia e più in generale con la cultura, non solo quella laica ma anche quella cosiddetta cattolica. Ad altre possibilità può contribuire lo studio storico della disciplina, non solo al suo interno, ma nella sua reale collocazione sociale e culturale, come ha proposto Paolo Prodi.

Teologia morale vs Filosofia morale: quali vie di confronto?

Se questa ricostruzione sommaria è corretta, ci si può interrogare su quali vie si aprano ora davanti a noi. La prima constatazione da fare è che il mondo sta cambiando ad “alta velocità”. Possiamo prendere come punto di riferimento simbolico ciò che tenta di dire U. Beck nel suo libro postumo, quando adotta la categoria di metamorfosi. Non siamo più nel cambiamento (moderno), ma nella metamorfosi indotta dalla rivoluzione tecnica e informatica, che rende superati i riferimenti abituali ancora in vigore.

È a partire da questo mondo in via di trasformazione – strutturale, culturale, antropologica – che si stanno ponendo le domande di sempre ma in modo del tutto nuovo per quanto non ancora in forma articolata. La sfida è rivolta tanto alla filosofia quanto alla teologia. Non è una questione di presunta e transeunte attualità. Dobbiamo ad H. Jonas averla colta se non in tutta la sua articolazione almeno nella sua decisività con l’elaborazione di Il principio responsabilità già nel 1979. È guardando al futuro incombente che si possono individuare domande che coinvolgono tutti e ciascuno, le culture le religioni, e dunque anche la filosofia e la teologia.

Un punto di convergenza e di interpellazione reciproca potrebbe riguardare il senso dell’etica. Il sommovimento antropologico in cui stiamo entrando, richiederà questo impegno in un mondo dove la pervasività della tecnica e il controllo sociale avranno un peso ora inimmaginabile. Altrimenti sarà dominante l’imperativo tecnico: se puoi, devi! Grazie a questo dissodamento sarà possibile avvicinarsi a qualcosa come l’umano fondamentale in cui l’etica è implicata come costitutiva non solo in forma difensiva ma anche propositiva. Su questo punto la teologia morale cristiana deve essere in grado di esplicitare come il Vangelo contribuisca a illuminare e rendere possibile questo umano fondamentale, ma può e deve anche imparare da chiunque sia in grado di comprendere e governare il momento storico in cui ci stiamo inoltrando.

Per quanto riguarda aspetti più concreti la mappa sia teorica che pratica è già ampiamente tracciata dalla Laudato si’ e dalla variazioni libere sul tema in ordine alle convinzioni fondamentali, alle sfide planetarie, agli orizzonti di convivenza, agli orientamenti “spirituali”. La saldatura di questione ecologica e domanda di giustizia, tenendo conto di contesti multiculturali sempre più ampi, apre nuove possibilità di confronto, soprattutto se riesce a rompere certe incrostazioni accademiche che possono isterilire la riflessione tanto filosofica quanto teologica.

Ci sono compiti, infine, che riguardano la teologia in quanto tale. Forse la sfida più grande e delicata per la teologia in generale e quella morale in particolare è pensarsi come sostegno e orientamento ad una testimonianza cristiana pubblica sempre meno istituzionale e sempre più personale e comunitaria. Ma questa è una trasformazione che tocca innanzitutto la chiesa e che la teologia nella sua intera articolazione potrà sia fare propria sia ispirare, con possibili feconde ricadute nel dibattito filosofico e culturale.

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