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l'Ospite

Concorso insegnanti di religione: una proposta

Gli insegnanti di religione sono gli unici che sono rimasti esclusi dal piano di stabilizzazione avviato dallo stato italiano per gli insegnanti precari. Ora il concorso di cui si attende l'indizione potrebbe sanare la discriminazione. Ma quali caratteristiche dovrebbe avere?

In «Vaticano, parlando di lavoro, c’è un problema (...) Il famoso articolo 11, che è un articolo valido per una prova, ma una prova di uno o due anni, non di più (…) Così dico: dobbiamo lavorare qui dentro perché non ci siano lavori e lavoratori precari. È un problema di coscienza per me, perché non possiamo insegnare la dottrina sociale della Chiesa e poi fare queste cose che non vanno bene (…) Aiutatemi, aiutate anche i superiori (…) a risolvere questi problemi della Santa Sede».1

Anche in Italia è presente un problema analogo. Certificato dalla nota sentenza Mascolo che ha condannato il nostro paese per l’abuso, anche nel comparto scuola, della reiterazione oltre il periodo di 36 mesi dei contratti a tempo determinato.2 Di conseguenza, la necessità d’individuare una soluzione adeguata è divenuta talmente urgente che nell’ambito della scuola e della Pubblica Amministrazione si è preso atto dell’insufficienza delle forme ordinarie di concorso e si è deciso di procedere con forme straordinarie d’assunzione,3 più confacenti al vulnus creato dallo Stato.

Solo gli insegnanti di religione cattolica (IdRC), però, sono rimasti esclusi da questo piano di stabilizzazione. Senza motivo alcuno. Circostanza tanto più grave, in quanto su circa 25.000 docenti, oltre 13.000 sono assunti ogni 1o settembre con contratti a tempo determinato.

Non solo perché lo Stato prevede che il 70% dei posti disponibili per l’insegnamento della religione cattolica (IRC) sia «di ruolo» (con contratti a tempo indeterminato), a differenza del restante 30% «non di ruolo» (coperto da contratti a tempo determinato);4 ma soprattutto perché lo Stato stesso, dopo il primo e unico concorso bandito nel 2004 (cf. Regno-att. 16,2004,261), ha disatteso per ben 4 volte il forte impegno legislativo di bandire ogni 3 anni concorsi per titoli ed esami al fine di reintegrare la quota prevista di posti a tempo indeterminato.5

Questa situazione da un lato espone lo Stato a richieste risarcitorie (perché i docenti di ruolo coprono su scala nazionale appena il 45% dei posti); dall’altro rende impossibile per l’IdRC precario il soddisfacimento di importanti diritti della vita singola e familiare, ampiamente riconosciuti dalla dottrina sociale della Chiesa.6 Anzitutto il diritto alla casa, che resterà inaccessibile – in assenza di garanzie altre – sin quando gli IdRC dovranno presentarsi alle banche e ai locatori con contratto e busta paga a termine. Inoltre il diritto al lavoro, il cui mantenimento è seriamente messo a rischio per quegli IdRC che rimarranno, per diversi motivi, nel 30% a tempo determinato.

Ingiustamente a termine

Infatti, le possibilità di licenziamento – o di riduzione insostenibile dello stipendio mensile – sono decisamente alte soprattutto nell’attuale prospettiva: di contrazione demografica degli studenti (in prevalenza al Sud e nelle piccole diocesi); di riduzione degli anni scolastici e accorpamento dei cicli già in fase di sperimentazione; di un possibile concorso per IdRC espletato in forme (ordinarie) tali da permettere l’entrata in ruolo di qualche giovane munito di titolo d’accesso all’insegnamento, ma attualmente privo di ore di docenza affidate (o con semplice supplenza), le quali andrebbero necessariamente sottratte a quelle attualmente attribuite ai docenti incaricati del 30% a tempo determinato.7

Attesa inoltre l’attuale congiuntura economica negativa, quale «serenità»8 potrà esservi nell’affrontare un concorso che lascerà in ogni caso a tempo determinato il 30% degli IdRC, fin quando la norma9 che vieta nella scuola – a partire dal 1o settembre 2019 –10 la reiterazione dei contratti a tempo determinato oltre i 36 mesi non sarà abrogata? Ovvero fin quando non verrà chiarita da parte del MIUR – con «interpretazione autentica» contestuale alla futura pubblicazione del bando di concorso – la sua non applicabilità al 30% di IdRC a tempo determinato, in quanto occupanti posti cosiddetti disponibili – perché funzionanti di fatto e conteggiati nell’organico di diritto – ma non vacanti, in quanto non facenti parte della dotazione organica «di ruolo»?

Sono questi i veri motivi che da sempre e soprattutto oggi hanno spinto e spingono gli IdRC a desiderare, come ogni lavoratore, il passaggio al «ruolo» e al contratto a tempo indeterminato. Infatti, ammesso ma non concesso che la generazione entrata in ruolo nel 2004-2007 abbia ambito al concorso come forma di emancipazione dall’autorità ecclesiale o come via per avviarsi verso nuovi scenari istituzionali,11 la generazione attuale degli IdRC è contenta della propria appartenenza e fedeltà alla Chiesa – auspicando, anzi, un vero e proprio «mandato culturale» (o teologico-fondamentale) per il nostro IdRC «trapezista».12

Non a caso questa generazione di IdRC ha mantenuto altissime l’avvalenza e la qualità dell’insegnamento contro ogni aspettativa del mondo laico13 e, forse, di parte di quello cattolico,14 permettendogli d’incontrare ragazzi che ormai non passano più per i luoghi ecclesiali classici: ciò mentre tutti gli altri indicatori (iniziazione cristiana, matrimoni, frequenza alla Messa etc.) vanno nella direzione di un’ampia secolarizzazione.

Inoltre l’IRC – soprattutto nei contesti ostili per motivi ideologici o sociologici – sta riavvicinando gradualmente una generazione di ragazzi consapevole d’essere individualista (ma che vorrebbe non esserlo più) ad attività di prossimità ai poveri (Caritas, Sant’Egidio ecc.) e, soprattutto nell’ultimo periodo, di vera accoglienza dei migranti (a partire dalle scuole d’insegnamento dell’italiano come la Penny Wirton).

Alla luce di questo quadro valoriale, giuridico ed economico è possibile, anzi è doveroso ipotizzare – sia dal punto di vista dello Stato (similmente alla via che l’Amministrazione sta percorrendo per le altre discipline), sia dal punto di vista della Chiesa (impegnata da papa Francesco a «uscire» verso una tipologia di giovane che soprattutto e forse solo l’IdRC oggi incontra) – un piano straordinario di stabilizzazione di questi IdRC, affinché tale ricchezza non venga perduta.

Lo snodo dell’idoneità ecclesiale e dei titoli accademici

Questo piano straordinario dovrebbe avvenire attraverso modalità proprie di concorso pubblico: preferibilmente per soli titoli culturali e di servizio (quantomeno riguardo gli IdRC con ricostruzione di carriera); solo in subordine anche per esami, ma con sola prova orale senza punteggio minimo e assegnando un maggior punteggio ai titoli rispetto alla prova.

Queste modalità, utilizzate – rispettivamente – anche nelle cosiddette Fasi Zero, A, B e C del piano assunzionale ex lege 107/15 e nel bando del febbraio 2018 per i docenti abilitati delle altre discipline –15 ma, come subito vedremo, per motivi ben diversi – non potranno non trovare il sicuro appoggio da parte di quei gruppi parlamentari di destra, di centro e di sinistra che hanno fatto della lotta al precariato, soprattutto quello creato dallo Stato stesso, una parte preponderante del loro programma.

L’idoneità ecclesiale – istituto giuridico che ex parte ecclesiae dice molto più che ex parte administrationis (riferendosi alla correttezza non solo dei contenuti e delle competenze didattiche, ma anche della condotta morale e dell’appartenenza ecclesiale) – è stata sempre messa in analogia, dal punto di vista dello Stato, con l’abilitazione all’insegnamento, in quanto essa comporta trattamento economico, disciplina delle assenze e delle ferie, ma soprattutto ricostruzione di carriera equiparati a quelli dei docenti di ruolo.16 Solo la Chiesa infatti, nell’attuale sistema dell’IRC, può verificare e garantire i contenuti teologici che ogni docente insegna nelle classi.

È dunque la medesima struttura confessionale dell’IRC che implica l’impossibilità di parlare di concorso tout court ordinario, o di pensare che l’IdRC venga legittimato di fronte all’opinione pubblica laica dalle modalità ordinarie di concorso (prova scritta e orale – entrambe con punteggio minimo e con peso di 80/100 sul punteggio complessivo – su contenuti giuridici e pedadogici, conoscenza di una lingua comunitaria e delle tecniche informatiche).

L’IdRC, infatti, resterebbe sempre selezionato dalla Chiesa, mentre la propria autorevolezza nelle classi e con i colleghi deriverebbe da competenze (didattiche e contenutistiche) teologiche, certificate dai titoli universitari e verificate dall’ordinario diocesano (esami di idoneità e anni di formazione in servizio/tutoraggio).

Non a caso la CEI, con il comunicato del gennaio scorso, sta legittimamente pensando a un’apposita «idoneità concorsuale» rilasciata dall’ordinario diocesano, la quale richiede il riconoscimento – provato negli anni – della preparazione contenutistico-disciplinare e delle abilità e competenze didattiche.

Non a caso, inoltre, la legge 186/03 – quale lex specialis17 che regola, a oggi, le modalità del concorso per l’immissione in ruolo degli IdRC – richiama esplicitamente le norme di carattere generale sui concorsi per titoli ed esami del personale docente di altre discipline solamente per quanto riguarda: i contenuti non teologici delle prove d’esame;18 la frequenza triennale e l’articolazione regionale;19 lo stato giuridico (diritti/doveri) e il trattamento economico degli IdRC successivo all’immissione in ruolo, a procedure concorsuali espletate e concluse.20

Non richiama invece, dunque derogandole, le norme relative: all’articolazione ordinaria del punteggio;21 alla previsione che le prove siano considerate superate e utili per l’accesso alla graduatoria di merito, e dunque altresì al computo dei titoli, solo in presenza di un punteggio minimo;22 all’accertamento delle conoscenze informatiche e di lingue straniere.23

Infine, non si può dimenticare che la legge 186/03 assegna un notevole peso specifico ai titoli accademici d’accesso all’insegnamento (spesso a indirizzo pedagogico-didattico), rinnovati nella loro importanza e centralità dall’Intesa del 2012. Sono unicamente tali titoli e l’idoneità ecclesiale, infatti, a certificare la padronanza delle competenze disciplinari e didattico-pedagogiche dell’IRC, verificate in moltissime diocesi attraverso prove scritte e orali, e un percorso pluriennale di tutoraggio successivo al primo incarico.

Punteggi, lingua comunitaria e informatica

Di conseguenza – nell’ipotesi (in subordine e di seconda scelta) del concorso per titoli ed esami – sarebbe legittima e coerente al principio generale di ragionevolezza dell’atto amministrativo una distribuzione dei punteggi che assegni un peso specifico maggiore ai titoli.24 Anche più – in ragione della riduzione del rapporto «posti a concorso/candidati» dall’80% al 40% rispetto al 2004 – di quanto avvenne nel bando di concorso del 2004 il quale, in modo altrettanto ragionevole e legittimo, derogava la norma generale.25 L’articolazione «ordinaria» del punteggio, infatti, non sarà mai in grado di valorizzare i titoli di qualificazione professionale.26

Per lo stesso motivo, sarebbe altrettanto legittima e ragionevole la non previsione di un punteggio minimo per il superamento della prova prevista.27 Il punteggio ottenuto, in tal modo, conterebbe pienamente nella formazione della graduatoria di merito, senza tuttavia che ne sia precluso l’accesso e il successivo computo del punteggio dei titoli.

Sarebbe, invece, decisamente poco ragionevole creare degli sbarramenti legati esclusivamente a nozioni giuridiche e pedagogiche – peraltro solo teoriche – i quali porterebbero a selezionare IdRC dotati di rudimenti dal punto di vista teorico-giuridico e teorico-pedagogico, ma privi di adeguate conoscenze disciplinari e competenze didattiche verificate sotto il profilo teorico e pratico.

Infine sarebbe assolutamente legittimo – come già avvenuto nel bando di concorso del 2004 – non prevedere la verifica delle conoscenze della lingua straniera e dell’informatica. Qualsiasi previsione in tal senso, oltre a essere a rischio di legittimità, potrebbe essere inquadrabile solo come «deroga alla deroga», e dunque accoglibile se: controbilanciata da qualche concessione in materia di punteggi e prove; volta all’accertamento degli «elementi» (A1) di una lingua comunitaria a scelta del candidato (scelta sempre garantita nei concorsi del 2011, 2016, 2018 per le altre discipline) e delle conoscenze informatiche di base inerenti l’uso degli strumenti didattici nel solo ambito della prova orale.28

Graduatorie e dotazione organica

Queste modalità proprie di concorso – sia esso per soli titoli o per titoli ed esami – sarebbero comunque volte a certificare quanto già dimostrato da anni sul campo da parte degli IdRC, senza impedire che si creino puntuali graduatorie da cui via via attingere.

Queste ultime, poi, fermo l’aspetto del «merito», dovrebbero essere di durata pluriennale (almeno decennale se non permanenti) e a scorrimento – in seguito a qualsivoglia forma di quiescenza lavorativa che renda necessaria l’integrazione del 70% di posti a tempo indeterminato –, affinché non ci si ritrovi nell’arco di un breve periodo nella necessità di gestire nuovamente una situazione d’emergenza come quella attuale.

Tali modalità permetterebbero: da un lato di evitare la sicura impugnazione del bando di concorso ordinario da parte di portatori d’interesse legittimo quali gli IdRC incaricati storici che, a vario titolo (idoneità concorso 2004, idoneità ecclesiale definitiva) e in quanto abilitati di lungo corso, possono aspirare a essere destinatari di procedure d’assunzione coerenti con la fase transitoria prevista dalla legge 107/15; dall’altro lato, d’impedire quelle speculazioni economiche intorno al concorso ordinario da cui ha giustamente posto in guardia di recente il segretario della CEI, mons. Nunzio Galantino.

Nel caso però in cui questo piano generale di stabilizzazione prenda la forma del concorso per titoli ed esami, dovrebbe essere anche prevista, come avvenne nel 2013 (passando al Senato, ma bocciata – non si sa ancora il perché – alla Camera), una norma per ridare vita alla graduatoria degli idonei al concorso del 2004 (che restarono nella quota del 30%, essendosi esaurita nelle loro regioni quella del 70%).

In tal caso, tuttavia, diminuirebbero della metà i posti a disposizione nella prima tornata di assunzioni. Si potrebbe allora proporre da parte dello Stato un graduale, prudente e condiviso (con la CEI) aumento della percentuale della dotazione organica dei ruoli dal 70% al 80%, in considerazione delle attuali mutate condizioni rispetto al 2003 (minore numero di sacerdoti e religiosi/e nel corpo docente IRC, sostanziale tenuta di lungo periodo dell’avvalenza, necessità di salvaguardare la continuità didattica e una proporzionata quota di flessibilità a disposizione degli ordinari diocesani).

Modalità speciali come per tutti gli altri insegnamenti

Avendo atteso, dunque, quasi 15 anni per riparlare di un concorso per IdRC; essendosi ormai espresse ufficialmente in modo molto critico verso le modalità ordinarie del concorso le sigle SNALS-ANAPS e UIL ed essendoci state forti aperture da parte di FGU-SNADIR e CISL verso un ripensamento di esse alla luce dei nuovi equilibri parlamentari; essendo cresciuta l’associazione nazionale ANIRC di «IdRC idonei 2004 & precari storici», che richiede le modalità straordinarie del concorso, al punto da abbracciare centinaia di docenti in tutta Italia; avendo il direttore del Servizio nazionale IRC della CEI invitato tutti a praticare «il dialogo e il confronto» nell’apertura a un futuro «ricco di novità» possibili; potendosi tranquillamente prevedere, in funzione della scadenza del 1° settembre 2019, qualche altro mese di attesa per l’emanazione del bando; alla luce di tutto ciò, crediamo che la sapienza – di cui la Chiesa è maestra – e la prudenza – quale virtù apprezzata dai sindacati e nei ministeri – indichino come prima istanza quella di lasciare esplorare in questo tempo la via politica, nel senso ampio e nobile del termine, capace di portare all’approvazione dell’articolo necessario a fondare un bando di concorso pubblico che dia vita a una graduatoria pluriennale (almeno decennale se non permanente) a scorrimento, sulla scia di quelle previste per i docenti delle altre discipline dalla fase assunzionale ex lege 107/2015 e dal bando di concorso del febbraio 2018. Un orizzonte questo che deve incoraggiarci perché, provvidenzialmente, si apre proprio nel tempo liturgico dello Spirito…

 

Sergio Ventura, Massimo Pieggi

 

1 Francesco, Discorso ai dipendenti vaticani con i familiari, 21.12.2017, https://bit.ly/2Hq3gQo.

2 Cf. Corte di giustizia UE, 26.11.2014 (applicazione al comparto scuola della Direttiva UE 70/99, attuata nell’ordinamento italiano dal D.Lgs. 368/01).

3 Stabilizzazione straordinaria del precariato storico (2015) e avvio di una fase transitoria volta a sanare il pregresso (cf. L. 107/15 e decreti attuativi, in particolare D.Lgs. 59/17). Cf. anche i D.Lgs. 74-75/2017 (la cosiddetta «Riforma Madia» della della Pubblica Amministrazione).

4 Cf. L. 186/03, art. 2 § 2.

5 Cf. L. 186/03, art. 3 § 2.

6 Tale aspetto è ancor più evidente laddove la L. 107/15 (cosiddetta «Buona scuola») ha assimilato gli IdRC agli altri precari della scuola, impedendo loro di svolgere una serie di funzioni (collaboratore del dirigente scolastico, animatore digitale etc.) e di fruire del riconoscimento professionale, sociale ed economico previsto per i docenti di ruolo (bonus premiale, 500 euro annui per la formazione e aggiornamento etc.). Per i documenti della dottrina sociale: cf. Caritas in veritate, n. 25; Evangelii gaudium, nn. 52. 187. 203; Laudato si’ nn. 152. 162; Amoris laetitia nn. 25. 44.

7 Questo è uno dei motivi che rese negativa l’esperienza del concorso con modalità ordinarie bandito nel 2014 per la provincia autonoma di Trento, che portò alla frattura interna un corpo docenti diocesano dapprima armonioso e affiatato in tutte le attività d’aggiornamento culturale e spirituale, con ricadute dolorose per l’ordinario diocesano, che subì in prima istanza gli effetti di una procedura concorsuale non rispettosa degli articolati percorsi diocesani di formazione in servizio e permanente.

8 Commissione episcopale per l’educazione cattolica, la scuola e l’università della CEI, Lettera agli insegnanti di religione, 1.9.2017, in https://bit.ly/2GQ5UhD.

9 Cf. L. 107/15, § 131.

10 Cf. L. 232/16, § 375.

11 Cf. S. Cicatelli, «Il ruolo non è tutto», in L’ora di religione, (2017-2018) 7, 10s.

12 Cf. S. Ventura, «Ora di religione: il trapezista», in Regno-att. 16,2016,457; Id., «Ora di religione/2: riaccendere una passione», in Regno-att. 20,2016, 588.

13 Cf. S. Ventura, «Ora di religione, deserto e pregiudizi», in www.vinonuovo.it, 2.11.2015; S. Ventura, G.P. Bortone, «Non c’è più religione!», in www.vinonuovo.it, 24.11.2016.

14 Cf. S. Cicatelli, G. Malizia (a cura di), Una disciplina alla prova, Elledici, Torino, 2017.

15 Cf. Gazzetta ufficiale n.14 del 16.2.2018.

16 Cf. Consiglio di Stato, parere n. 76/58, circolari ministeriali nn.127 (14.5.1975) e 217 (11.9.1978).

17 Tale specialità non deriva dal fatto d’essere oggetto di formale intesa con la CEI (il cui consenso verso tale legge rientrerebbe comunque nella fase pre-giuridica/politica di formazione della legge stessa), bensì in quanto essa norma un ambito professionale con caratteristiche proprie (assenza di classe di concorso, ambito territoriale diocesano, idoneità ecclesiale, nomina d’intesa, verifica ecclesiale dei contenuti didattici etc.).

18 Cf. L. 186/03, art. 3 § 5 (che richiama l’art. 400 § 6 del T.U. D.Lgs. 297/94, fatto salvo l’art. 5 § 2 L. 186/03).

19 Cf. L.186/03, art. 3 §2 (che richiama l’art. 400 § 1 del T.U. D.Lgs. 297/94).

20 L’art. 1 § 2 della L. 186/03, quindi, non può essere inteso quale clausola generale di rimando al T.U. per quanto non esplicitamente disciplinato dalla L. 186/03 in merito alle procedure concorsuali.

21 Cf. D.Lgs. 297/94 art.400 § 9.

22 Cf. D.Lgs. 297/94 art.400 § 10.

23 La L. 186/03 non richiama, infatti, il § 5 dell’art. 400 T.U. e deroga, quindi, anche al § 1 dell’art. 37 D.Lgs 165/2001 – già art. 36-ter D.Lgs. 29/1993 – aggiunto dall’art. 13 D.Lgs. 387/1998.

24 Si potrebbero, ad esempio, articolare i punteggi (qualora espressi in centesimi) – rispettivamente per prova/e e per titoli culturali e di servizio – nel modo seguente: 20 (prova/e) +80 (titoli), o 30+70, o 40+60 (articolazione, quest’ultima, utilizzata dal già citato bando di concorso docenti abilitati del Febbraio 2018).

25 Cf. T.U., art. 400 § 9 (diversamente dal quale il bando 2004 esprimeva il punteggio in cinquantesimi e assegnava un punteggio maggiore [20] ai titoli – culturali e di servizio – rispetto a quello di ogni prova [15]).

26 Essa, infatti, assegnando solo 20 punti su 100 ai titoli culturali e di servizio – e di questi, 10 per l’anzianità di servizio e 5 per l’idoneità concorsuale 2004 – comprimerebbe in soli 5/100 il punteggio a essi ascrivibile, penalizzando così i docenti in possesso di master, licenze, dottorati, seconde lauree, PhD e titoli teologici o di scienze religiose con il massimo dei voti.

27 Soluzione già utilizzata dal recente bando di concorso per docenti abilitati per la sola prova orale prevista (G.U. n. 14 del 16.2.2018).

28 Infatti, in base a quanto già detto in nota (23), non si rende necessaria la conoscenza dell’inglese a livello B1 o B2 per i docenti di Religione, anche perché essi non insegnano inglese nelle proprie classi di scuola primaria, né utilizzano la metodologia CLIL in quelle di scuola secondaria.

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